Plinio Marconi, Urbanistica oggi: professione, formazione, prospettive (1959)

Plinio Marconi negli anni ’50

È certo superfluo ricordare lo straordinario e continuo ampliamento del campo dell’Urbanistica, intervenuto a cominciare dalla prima metà dell’800, in rapporto al mutamento radicale del clima sociale ed economico di ogni paese.

Allora la grande rarefazione degli atti vitali, funzione della tenuità delle densità residenziali e della limitatezza dei bisogni, consentiva loro piena libertà di movimento e di sviluppo. Anche in mancanza di razionale coordinamento, la spontanea fruttuosità del suolo e la produzione dei beni di consumo dovuta a libere attività artigianali, erano sufficienti a sopperire alle istanze della popolazione. Solo nelle città principali, che iniziavano appena il ciclo dei loro giganteschi accrescimenti, si cominciava a sentire la necessità del coordinamento e della disciplina, con iniziative di pianificazione edilizia, volta pressoché esclusivamente a considerare i problemi di relazione, in senso funzionale e plastico, delle architetture individuali tra loro ed in rapporto agli spazi interposti; quasi prescindendo dalla considerazione del substrato demografico, sociale ed economico presiedente agli sviluppi in atto. Tale modo di vedere si protrasse in Italia fino a pochi decenni da oggi; ed infatti ad un corso di “Edilizia cittadina” per l’appunto si limitò, per alcuni anni , lo studio dell’Urbanistica nella Facoltà di Architettura di Roma, fondata prima delle altre, nel 1927. Ma rapidamente maturavano nuove esigenze.

Il secolo XIX è caratterizzato da un fenomeno biologico di portata determinante: il raddoppio numerico della popolazione del mondo, con passaggio da uno a due miliardi, mentre oggi siamo già a 2,8 miliardi ed il ritmo di incremento tende ad aumenta re ancora; tanto che nel “Demographic Year Book”, redatto dall’O.N.U. nel 1957, si legge la veramente allarmante previsione statisticamente provata che entro quarant’ anni soltanto, cioè nel 2000, la popolazione del mondo potrà raggiungere i 6 miliardi di abitanti, con un ulteriore quasi catastrofico aggravamento dei problemi di nutrizione, di reperimento di fonti di lavoro, di organizzazione di vita nel piano economico e sociale, di tali gigantesche comunità. Ma già nell’800 il fenomeno si rende sensibile; ed eccolo accompagnarsi, in parte quale causa ed insieme quale effetto ed incentivo, ad altri concomitanti grandiosi fenomeni, quali la creazione di una scienza e di una tecnica moderne poliedricamente estese a tutti i rami dello scibile, dalla medicina alla matematica, dalla meccanica alla sociologia, ecc; al massiccio incremento delle strutture produttive necessarie a consentire la vita alle masse umane in rapido aumento; e le conseguenti trasmigrazioni di esse dalle campagne verso le sedi degli impianti industriali, imprevidente mente ubicati nelle immediate vicinanze delle città, che in tal modo crescevano smisuratamente e caoticamente, passando dalle poche decine o centinaia di migliaia di abitanti della fine del settecento, agli attuali otto milioni di New York, otto e mezzo di Londra e Tokio, sei e mezzo di Parigi, ecc. ; con tutte le disfunzioni ed aberrazioni strutturali e plastiche così ampiamente messe in luce da sociologhi, urbanisti ed architetti da un secolo a questa parte. È ben chiaro che a questi grandiosi fenomeni di trasformazione ed espansione dell’ambiente umano debba riconnettersi il manifestarsi delle nuove teorie sociali durante tutto il corso del secolo XIX, dal liberalismo all’anarchia, dal socialismo al comunismo, e l’accentuarsi dei loro dibattiti durante questo secolo, fino all’attuale piuttosto drammatica fase. Dibattiti alla cui base sta soprattutto la esigenza di cercare una forma di organizzazione sociale che si attagli alla complessità della vita moderna, in cui l’angustia degli spazi e dei mezzi operativi in confronto alla densità degli atti vitali è tale da non consentire più ad essi la individuale libertà di movimento che un tempo era possibile; organizzazione che sappia mediare i vantaggi e gli incentivi inerenti alla proprietà ed alla iniziativa privata, colla necessità di una loro limitazione tale da favorire gli interessi della vita collettiva. Cotesta organizzazione ha avuto ed avrà, in grado sempre più accentuato, profondi riflessi sulle strutture tecniche atte a risolvere i problemi della residenza, delle attrezzature di lavoro e di tutti gli altri impianti quali quelli del traffico, dei trasporti, dei servizi commerciali, sanitari, culturali, delle sedi per lo svago ed il riposo, atti a soddisfare le moderne istanze dell’umana comunità . Ed ecco allora tali polemiche, tali ricerche, tali studi trasferirsi dal piano politico-sociale-economico appunto in quello costruttivo, investendo particolarmente lo stesso organismo delle città e degli altri insediamenti umani; ecco insorgere le critiche contro l’elefantiasi delle metropoli e delle megalopoli, le teorie delle città – giardino, le tesi circa la necessità di una organizzazione non più esclusivamente spontanea, ma volontaria e fino a determinati limiti pianificata degli ambienti di vita, la quale preveda un razionale coordinamento di ogni elemento, dalla produttività agricola alle strutture di lavoro, dalla residenza alle sedi ed ai mezzi del traffico e dei trasporti, ecc.; in guisa tale che all’antitesi tra città e campagna si sostituisca la visione della loro armonica coesistenza e della compenetrazione dei rispettivi spazi e delle congruenti strutture.

Ecco l’insieme delle discipline presiedenti allo studio di tali vasti problemi confluire ad una complessa e poliedrica attività in cui consiste appunto l’Urbanistica moderna; la quale, superando di gran lunga il dato etimologico, non si limita più a definire l’organismo delle città , ma considera lo ordinamento di grandissimi territori e tende ad assurgere a rappresentazione costruttiva integrale dell’attuale civiltà.

Questa sostanziale trasformazione del carattere della materia implica, da parte dell’Urbanista moderno, un singolare approfondimento della presa di possesso dei problemi in sue mani. Egli non può fare a meno di estendere la sua competenza a tutti i cosiddetti precedenti dell’attività creatrice che gli è propria, la quale comprende vastissime branche dello scibile; molte scienze fisiche, relative allo studio dei caratteri del sito; quelle economiche, sociali, storiche e giuridiche; l’igiene, l’agronomia, l’arte in tutti i suoi settori e naturalmente in modo speciale l’ architettura; vastissimi campi dell’ingegneria; ecc. .

L’Urbanistica non cessa con ciò di essere una arte, ma è un’arte i cui contenuti vanno diventando sempre più complessi ed articolati, i quali debbono peraltro essere tutti dominati e ricondotti ad unità creati va nelle soluzioni da offrire alla pianificazione nei suoi diversi settori, da quelli dell’assetto di interi vasti comprensori da qualificare nei piani regionali e territoriali, piani paesistici, piani intercomunali e comunali, a quelli più propriamente architettonici che riguardano gli sviluppi edilizi delle città e la trattazione dei problemi dei loro nuclei di origine storica,ecc.,ecc.

Siccome oggi è impossibile una cultura enciclopedica, è chiaro che l’Urbanista, nel dar forma alle sue strutture, si debba avvalere della collaborazione di esperti specializzati nelle singole implicite discipline. Quindi, la necessità dello stretto collegamento della cultura urbanistica con quella delle materie ad essa afferenti; collegamento da realizzare con opportune collaborazioni e stretti contatti da stabilire fra gli Istituti di Urbanistica e le Facoltà di Architettura ed Ingegneria da un lato, e dall’altro i vari Enti ed Istituti, universitari o non, che trattano problemi che interferiscono coi nostri. Di tale collaborazione si sono avuti già alcuni esempi in vari Convegni indetti da Istituti di Scienze Sociali e Statistiche e dal Centro per lo sviluppo dei trasporti aerei, ai quali sono stati invitati anche Urbanisti e cultori di Urbanistica; ed in campo più strettamente universitario, nei corsi di Traffico e Trasporti istituiti in alcune facoltà di Ingegneria; ecc. .Queste ancora sporadiche iniziative vanno incoraggiate, moltiplicate e portate su un piano sistematico se si vogliano attingere i risultati che ci stanno a cuore.

È senza dubbio opportuno che a tale articolazione fra i diversi settori di studio interferenti coi nostri problemi, si associ un’altra articolazione in senso orizzontale fra gli Istituti di Urbanistica propriamente detti, e cioè essenzialmente da un lato dei diversi Istituti Universitari tra loro e dall’altro fra gli Istituti stessi e l’Istituto Nazionale di Urbanistica.

Appunto per dar vita e qualificare tale articolazione, noi siamo qui adunati per la seconda volta, dopo il Convegno di Firenze, proponendoci un programma di lavoro, per settori, del quale parlerò successivamente.

Ma prima non voglio omettere di dedicare qualche parola a quanto ho dianzi accennato circa l’alternativa che si presenta oggi, nel loro fare, agli Urbanisti italiani: se cioè adeguare l’opera loro, indipendentemente dai risultati attingibili, ai paradigmi che l’Urbanistica ha formulati, quale disciplina che ha ormai assunto una precisa fisionomia e posti davanti a sé determinati potenziali obiettivi; ovvero, tenendo strettamente presenti i mezzi operativi effettivamente disponibili, discostarsi fino ad un certo segno da tali paradigmi, predisponendo per ora strutture teoricamente meno qualificate, ma di più sicura ed immediata attuazione; rimandando quindi ad una successiva fase di pianificazione l’adozione di soluzioni più aderenti ai medesimi ideali paradigmi.

Di codeste forme ideali è stato investito, come è noto, ogni settore della pianificazione, da quello territoriale a raggio più o meno vasto a quello propriamente urbano; alla determinazione di esso hanno offerto organico studio e fantasia, sulle orme di celebri trattatisti di ogni età , molti Urbanisti ed Architetti moderni, dal Wolf allo Howard, da Le Corbusier a Wright, da Glein a Gutkind, ecc.

Ma un piano urbanistico non è un quadro e la realizzazione di una forma ideale, ancorché qualificatissima, esige, almeno che non si attui in un clima politico assolutamente dispotico, identità di interessi e di vedute tra chi l’ha concepita a chi dovrà in essa vivere ed operare: cosa assai difficile, secondo quanto dimostra anche l’esperienza del passato.

Ogni struttura basata su criteri astratti potrà quindi soltanto fungere da modello a cui avvicinarsi tenendo conto di tutte le forze contrarie che da esso tenderanno a discostarsi, con tanto maggior forza, quanto più la società a cui esso debba applicarsi sia tenacemente legata all’esigenza dell’individuale libertà di movimento; esigenza in cui sono da riconoscere, insieme a comportamenti negativi nel piano collettivistico, anche insostituibili fermenti positivi.

La realizzazione di una città ideale corrisponde senza dubbio ad un caso limite; ma analoghe difficoltà si producono in qualunque tipo di piano, quando si tratti di applicare a casi concreti rigorosi principi astratti.

Vediamo, ad esempio, quel che accade nel progettare il piano regolatore generale di una città di origine storica. Il principio a cui ci si informa oggi secondo le opinioni più qualificate, è che il nucleo antico debba rimanere inalterato nel la sua interezza e cioè non soltanto per quel che riguarda gli edifici monumentali, ma anche per quanto concerne gli ambienti edilizi che a quei monumenti fanno cornice.

A tale scopo, ben si sa, occorre non soltanto deviare i traffici esterni a grande raggio, colla predisposizione di adatte arterie di scorrimento, attrezzate o meno, ma è necessario altresì non siano incrementati i traffici di penetrazione e di attraversamento inerenti alle interrelazioni producentesi tra il nucleo ed i nuovi quartieri di espansione. Tali quartieri dovrebbero allora essere disposti non già tutt’attorno al nucleo, ma in una sola direzione, ovvero secondo poche direzioni tra loro vicine, ed essere inoltre pressoché autosufficienti nei servizi, così da escludere o minimizzare le esigenze dell’ attraversamento o dell’afferenza al centro. Ecco allora prodursi la necessità della scelta di queste direzioni, oltreché della scelta della dislocazione di tutte le altre aree destinate ai servizi urbani periferici (zone industriali, sportive, carcerarie, ospedaliere e simili), che verranno a costituire delle isole di utilizzazione nell’ambito di un territorio comunale, il quale, fuori di esse, dovrebbe essere integralmente vincolato a verde rurale con pochi edifici strettamente necessari al servizio agrario. Tali scelte rivestono da noi un carattere addirittura drammatico, perché è ben noto che esse producono un notevolissimo avvaloramento dei suoli utilizzati ed una pesante svalutazione di quelli vincolati, e quindi una massiccia reazione dei proprietari di questi ultimi; e provocano altresì una spinta contraria all’attuazione testuale del piano, giacché lo scadimento di valore dei suoli vincolati origina l’interesse alla loro acquisizione per adibirli a scopo edilizio; onde lo stesso piano ospita, in nuce, l’incentivo all’antipiano.

Contro questi negativi riflessi economici del Piano Regolatore, l’Urbanista possiede in Italia, allo stato attuale, soltanto la forza del vincolo che la legge gli consente di apporre, a titolo assolutamente gratuito, a quei suoli che, in base a criteri bensì razionali, ma in fin dei conti in molti casi abbastanza opinabili, l’Urbanista ritiene debbano rimanere esenti da utilizzazione: vincoli il cui rispetto è affidato al rigore di amministrazioni le quali bene spesso non sono interamente convinte delle ragioni prodotte dall’Urbanista e che soprattutto esitano ad inimicarsi gran parte, talvolta la parte maggiore, dei loro amministrati. Onde, secondo la esperienza insegna, i piani tendono purtroppo ad essere messi in non cale, specialmente nei centri urbani minori.

Che fare allora? Tornare ai piani a macchia di olio, i quali, conformandosi agli appetiti economici spontanei, sono certo di più facile e sicura attuazione, ma che inevitabilmente comprometterebbero la sorte delle città storiche e continuerebbero a produrre ogni specie di altre disfunzioni?

Certamente no. Ma è necessario conseguire la conformazione volontariamente articolata delle espansioni sulla base di poche e ben individuate direzioni di sviluppo, le quali si adeguino peraltro a preferenze spontanee, che quasi sempre è possibile individuare in funzione di precedenti storici, di peculiari condizioni del sito, di ostacoli naturali od artificiali della gravitazione di centri urbani viciniori, delle direzioni del traffico e di tanti altri elementi che solo indagini minuziose, felici intuizioni e sagaci previsioni consentono di individuare. Ne risulterà una forma di città non certo aderente a teorici schemi geometrici, ma derivata da questi e tale da non involgere, nella sua attuazione, insormontabili ostacoli, purché naturalmente soccorra una notevole disciplina nella gestione esecutiva del piano.

È questione di misura, di equilibrio, di sagace acume nel mediare i pesi delle diverse esigenze e condizioni, quali sopratutto una lunga esperienza consente di conseguire. Soprattutto è peraltro necessario dar vita a mezzi operativi, di carattere giuridico ed economico, che rendano possibile o facilitino tale gestione: quei mezzi che da noi si mostrano insufficienti, a differenza di quanto accade sovente altrove. A non voler parlare infatti dei paesi a regime comunista ove, essendo abolite quasi totalmente la proprietà privata dei suoli e le intraprese costruttive individuali, qualunque piano si rende attuabile; è da riconoscere che in tanti altri paesi, a regime democratico o socialistico, colla formazione di vasti demani comunali, o con peculiari interpretazioni del diritto di superficie, tale da far ridondare i plus-valori a vantaggio della comunità sottraendoli alla speculazione privata, o con altri sistemi, i mezzi operativi sono stati trovati.

Altrettanto dobbiamo cercare di fare in Italia, prima di tutto usando i mezzi che già fin d’ora la legge ci consente (ad esempio, manovrando opportunamente coll’esazione dei contributi di miglioria generica e specifica; o col meccanismo individuato dagli articoli 18 e 38 della legge, ecc. ) ma che purtroppo assai raramente vengono applicati. Successivamente sarà peraltro necessario reperirne altri, di più immediata efficacia; ed infatti lo si sta già facendo, con provvedimenti quali la legge sulle aree fabbricabili, che peraltro presentano molti punti interrogativi.

Difficoltà analoghe si incontrano nell’individuare la struttura e le forme architettoniche dei quartieri, forme e strutture per cui la cultura Urbanistica ha stabilito ormai paradigmi canonici che riguardano la loro dimensione ottima, la loro autosufficienza nei servizi tale da esentare il nucleo storico dal loro peso; la dislocazione in essi dei servizi medesimi in funzione delle masse edilizie ospitate, opportunamente articolate in settori ed in nuclei, con determinate caratteristiche da offrire agli organi del traffico (strade tangenziali, di penetrazione, esclusivamente pedonali), ecc., ecc. Ma è chiaro che, anche in questo caso, condizione sine qua non per una testuale realizzazione è la presenza di mezzi operativi idonei, i quali siano tali da fornire al pianificatore la totale disponibilità dei suoli, da conseguire coll’acquisto o coll’espropriazione; e la pertinenza dell’iniziativa edilizia, da realizzare coll’affidare ad Enti od Imprese qualificate l’attuazione di un disegno urbanistico-edilizio integrale, completo d’ogni dettaglio. In Italia solo pochi Enti dediti alla gestione dell’edilizia finanziata o sovvenzionata – quale l’INA-Casa, il C.E.P., gli Istituti per le Case Popolari, l’I.N.C.I.S. – sono in grado di giungere a tanto: si tratta sempre di iniziative isolate e poco numerose in confronto alla maggior parte dei quartieri di espansione delle nostre città, i quali si producono di solito quale integrazione di iniziative costruttive individuali, disciplinate soltanto dai regolamenti edilizi, sulla base tutt’al più di piani di lottizzazione che la nostra legge ammette possano essere concordati tra il Comune e gruppi di proprietari di suoli, per comprensori limitati e di forma pressoché casuale, nelle maglie dei tracciati stradali indicate dai Piani Regolatori Generali; mentre invece strutture funzionalmente ed architettonicamente più qualificate possono discendere soltanto da progetti plano-volumetrici che individuino il quartiere in tutta la sua estensione anche nelle singole architetture. Cosicché la presenza o meno di mezzi operativi idonei ha importanza determinante non solo per la individuazione plastica del quartiere, ma anche per la tecnica di elaborazione del Piano Regolatore Generale; il quale, se si appoggi, in fase esecutiva, sulla testuale realizzazione di programmi edilizi assai circostanziati e di sicura attuazione, può limitarsi ad indicazioni di azzonamento assai generiche ed ai tracciati stradali di primissima importanza; mentre, se si preveda una realizzazione sporadica a mezzo di singolari iniziative private o di lottizzazioni, con che si ottengono inevitabilmente quartieri formalmente assai meno qualificati, esso deve considerare l’applicazione di norme urbanistico-edilizie assai più circostanziate e recare un dettaglio assai maggiore nei tracciati stradali.

I mezzi operativi disponibili assumono dunque anche in questo caso la massima importanza, non soltanto per i risultati attingibili in sede funzionale e plastica, nel senso di adeguarsi o meno a determinati paradigmi ideali, ma anche per la determinazione più adatta dell’organismo e delle caratteristiche del piano: ecco ancora la necessità di astrarsi da posizioni strettamente teoriche per adeguarsi al concreto delle possibilità di attuazione esistenti, onde dar luogo a strutture adeguate a tali possibilità ed evitare che, per puntare teoricamente al meglio, si predispongano organismi di pianificazione deficienti. L’esperienza ha infatti in vari casi già dimostrato che un Piano Regolatore Generale, concepito con criteri di genericità ed indeterminatezza tali da implicare necessariamente uno sviluppo graduale per piani particolareggiati assai circostanziati, a cui finora ben di rado fuorché in alcune grandi città le amministrazioni hanno provveduto, e per mezzo di iniziative edilizie unitarie, ha dato luogo, in difetto di esse, a gravi carenze strumentali ed ha provocato lo sviluppo di una fabbricazione caotica. Analogo divario fra posizioni astratte ed esigenze concrete si produce anche nella pianificazione dei nuclei interni delle città di origine storica, per cui prevale oggi, presso gli studiosi il criterio teorico del rigoroso mantenimento dello status quo. Che non sia ulteriormente aggravata la densità dei traffici e non si determinino altre cause estrinseche implicanti la necessità di trasformazione dei nuclei, è fondamentale; ho dianzi accennato ai metodi operativi abitualmente posti in atto a tal fine. Ma ancorché si giunga a tanto in senso assoluto, alcune necessità di trasformazione rimangono inevitabili. Anzitutto le strutture degli antichi edifici, specialmente di età medioevale, murature, solai in legname, tetti, ecc., sono ormai pervenute quasi ovunque, ove non si sia provveduto ad una continua manutenzione, ad uno stato di estrema degradazione. In molti centri urbani minori i crolli spontanei sono all’ordine del giorno; ma anche nelle città (specialmente a Venezia) la fatiscenza di interi rioni ha assunto carattere di gravità.

Le opportunità estetiche e storicistiche vanno inoltre, per imprescindibili motivi umani, mediate con quelle inerenti alla vita igienica e morale delle miserabili folle brulicanti nei vecchi quartieri, ove le densità residenziali e gli indici di affollamento giungono talvolta a limiti inammissibili, come nei rioni più poveri di Napoli, Catanzaro, Salerno, Palermo, ecc. Si provveda, sostengono alcuni, coi metodi teoricamente messi a punto a tal fine in Italia ed all’Estero, e che nell’anteguerra avevano dato in alcune città estere, come a Norimberga, buoni risultati: restauro, cauta riqualificazione, diradamento interno, ecc. Sta bene: ma questo problema assume in Italia un carattere di paurosa vastità. Le Sovrintendenze, già aggravate di impegni e miseramente finanziate, giocoforza dedicano la loro attuazione solo ai monumenti, ai quartieri, ai paesi, di principale importanza. Quel che si sta facendo, per esempio a Caserta Vecchia, difficilmente potrebbe essere ripetuto per tutte le città e paesi della Campania.

Ancora, per evitare che il decadimento dei nuclei divenga estremo, a qualche trasformazione edilizia, tale da adibire ad uso diverso di quello attuale alcuni edifici ed alcuni ambienti, bisognerà pur provvedere. Operazioni difficilissime, perché tra l’altro un restauro od un adattamento che non maggiori l’altezza ed il volume di un precedente edificio, e non trasfiguri quindi l’ambiente, non è quasi mai impresa che rimuneri il capitale impiegato ed è tale quindi che solo eccezionalmente può derivare dall’iniziativa privata. Si esigono cospicue sovvenzioni o meglio sarebbe ricorrere all’opera di speciali Enti qualificati e finanziati. Sarà interessante constatare i risultati delle iniziative che la Gestione INA-Casa si propone di assumere in questo campo. In deficienza di ciò, i pericoli che si possono attendere da manomissioni non rigorosamente pianificate, non attuate con mezzi idonei , specialmente in causa delle forze speculative che tendono a scatenarsi, sollecitate dagli ingenti guadagni che nuove costruzioni in suoli centrali potrebbero consentire qualora fosse tollerato un loro incontrollato sfruttamento, sono gravissimi.

Le alternative poste dai problemi urbanistici dei centri storici sono dunque estremamente delicate: anche in questo settore della pianificazione urbana si prospetta in ogni caso la necessità di uno scostamento della intransigente ma semplicistica posizione teorica dell’integrale mantenimento dello status quo; mentre peraltro il fissare la dimensione di tale scostamento, da mantenere in ogni caso in limiti modesti, e tenendo stretto conto dei mezzi operativi disponibili, deve essere affidato al senso di responsabilità e di moderazione, alla cultura storica, al gusto, ed anche alla competenza, nel campo economico e giuridico, di Urbanisti ed Architetti assai qualificati.

Ho fin qui accennato ai problemi dei Piani Regolatori Generali Comunali.

Nella pianificazione territoriale, a piccolo o grande raggio, si pongono analoghe alternative, tra l’adeguamento delle proposte all’optimum indicato dal le impostazioni teoriche e la necessità di scostarsi da esse predisponendo, se necessario, strutture teoricamente meno qualificate, ma di più sicura ed immediata attuazione; in quanto un piano non realizzabile non serve assolutamente a nulla e può dar luogo anzi a deprecabili disfunzioni.

Ciò accade, ad esempio, quando si tratti di pianificare lo spazio circostante a nuclei urbani di notevole importanza; spazio la cui dimensione dovrebbe essere in ogni caso sufficiente a consentire le interrelazioni producentesi tra il nucleo ed il territorio, mentre invece la grandezza dei comprensori comunali e la dislocazione del nucleo nel territorio sono del tutto casuali. Sovente tale grandezza è del tutto insufficiente: si produce allora l’esigenza dell’intercomunalità; ma i piani intercomunali sono di assai difficile decisione ed attuazione e si presenta quindi molto spesso la necessità di rinunciarvi, comprimendo le strutture relative alle sopracennate interrelazioni nei limiti del Comune principale; ammenoché non si voglia tentare di stringere accordi coi comuni vicini in modo tale che i loro piani, pur redatti indipendentemente, si prestino a soddisfare a talune esigenze di esso: il che non è davvero facile. Ecco anche in questo caso soluzioni teoricamente qualificate doversi flettere per l’intervento di elementi contingenti.

Nel campo della pianificazione territoriale e regionale o nazionale, l’Urbanista potrebbe essere indotto, ad esempio, a proporre opere di trasformazione agraria tali da risollevare, con lungimiranti programmi di opere, la produttività di determinati comprensori; ovvero, nel settore industriale, a ridistribuire gli impianti ed i centri di commercio ecc, , i quali oggi sono dislocati secondo il libito individuale; risolvendo i relativi problemi ubicazionali in base a serie impostazioni scientifiche quali, ad esempio, quella del Weber: ed in funzione di ciò provvedere anche alla ridistribuzione della popolazione intervenendo sulle preferenze residenziali individuali in funzione di precisi programmi.

Ma anche in questi settori i mezzi di attuazione disponibili in Italia, onde forzare la mano all’assoluta libertà delle iniziative di lavoro individuali, sono scarsi: tant’è vero che i piani regionali attualmente in elaborazione stanno segnando il passo o sono addirittura in crisi, date le opposizioni prodottesi e la generale incomprensione ed ostilità manifestate avverso questi pur utilissimi strumenti.

Nel campo delle trasformazioni fondiarie, ad esempio, si è visto che le leggi di bonifica di prima della guerra sono state del tutto inefficaci per quanto riguarda le opere di trasformazione che dovevano essere eseguite dai privati in base ai vincoli posti da ben circostanziati piani redatti da Consorzi espressamente costituiti; mentre invece la legge di Riforma Fondiaria Generale promulgata dopo la guerra, di cui solo la Legge-Stralcio è finora in atto, è stata efficiente, pel semplice fatto che, per mezzo di essa, è stata conseguita, con espropriazioni sagacemente dosate, la disponibilità dei terreni, ed è stata affidata alla gestione di Enti espressamente costituiti e muniti di idonei finanziamenti, l’esecuzione delle opere da realizzare su quei terreni. Preesistevano, del resto, gli esempi delle bonifiche eseguite all’Opera dei Combattenti ed altri Enti.

Talché è da confermare che i piani regionali possono assumere carattere volontario e circostanziato soltanto se siano presenti o sicuramente programmabili idonei strumenti, mentre nel caso contrario essi debbono giocoforza limitarsi ad individuare caute estrapolazioni dei fenomeni economici, produttivi e residenziali in atto.

Dagli esempi dianzi brevemente cennati e riguardanti ogni settore della pianificazione, si può trarre la conclusione che un piano urbanistico risulta idoneo e tale da potersi tradurre efficacemente in atto, quando in esso confluiscano all’unità i seguenti principali fattori:

1°) La cultura dell’Urbanistica che lo deve comporre.

2°) I mezzi operativi, specialmente giuridici ed economici necessari per realizzarlo.

3°) La favorevole disposizione d’animo della società nell’accoglierlo, derivante dalla formazione di una diffusa coscienza urbanistica.

Il primo punto, della cultura, riguarda la capacità dell’urbanista di mettere a fuoco, con approfondita conoscenza di tutti gli elementi concorrenti alla pianificazione ed ogni precedente studio ed esperienza, l’optimum a cui tendere, in ciascun settore, onde avvicinarsi a quei paradigmi a cui ho ripetutamente cennato; ma anche la sua saggezza ed il suo equilibrio nel discostarsi da essi quanto è necessario per tener conto del secondo punto, concernente i mezzi operativi, e del terzo, riguardante la coscienza urbanistica della società per la quale egli opera.

La disponibilità di mezzi operativi idonei è, secondo quanto ho posto in evidenza per ciascun tipo di piano, e secondo quanto è del resto ben noto, di importanza fondamentale. Alla messa in funzione di essi, tanto se già considerati dalla nostra legislazione, quanto se si esigano nuove Leggi, gli urbanisti dovranno dedicare d’ora in poi le maggiori cure.

Ed altrettanto dicasi della coscienza urbanistica, cioè, della disposizione d’animo della società nell’accogliere i piani; la quale potrà maturare tanto più facilmente quanto più efficaci saranno i mezzi di propaganda da mettere in atto e quanto più i piani scenderanno dal limbo di concezioni puramente astratte, ad esse ispirandosi per altro, mediando le loro esigenze colle possibilità e condizioni concrete, operative e psicologiche, dell’ambiente. Trattasi di un cammino lungo, che si deve percorrere con passaggi graduali: a qualificarne la direzione, a stabilirne le tappe, devono provvedere con lavoro concorde, gli urbanisti ed i cultori di tutte le scienze ed arti conferenti all’urbanistica: a tale opera mi riferivo appunto quando accennavo alla auspicabile collaborazione fra gli Enti raggruppanti gli esperti specializzati nelle singole discipline; ed in modo particolare fra gli Istituti di Urbanistica.

A perseguire codesti obiettivi, a stabilire una opportuna articolazione nei nostri studi, noi ci siamo adunati qui adunque per la seconda volta, dopo il Convegno di Firenze, meglio precisando il programma della nostra attività futura e mettendo a fuoco una serie di argomenti di ciascun dei quali ogni Istituto si occuperà in modo particolare. Tali argomenti possono raggrupparsi nei seguenti punti principali: 1°) Espressione e rappresentazione della materia urbanistica; 2°) Informazioni culturali generali e particolari; 3°) Metodologia da adottare per lo studio e la redazione dei piani; 4°) Mezzi operativi di carattere giuridico ed economico; mezzi tecnici; 5°) Ordinamenti didattici ed attrezzature delle Facoltà di Architettura ed Ingegneria per quanto riguarda la materia; nonché dei loro Istituti di Urbanistica.

Del primo punto fanno parte due argomenti principali. Il primo riguarda la raccolta dei termini del linguaggio urbanistico, con la formazione di un nuovo glossario internazionale di sette lingue: di esso continuerà ad occuparsi, coll’Istituto della Facoltà di Ingegneria di Napoli il prof. Andriello, che già da tempo se ne interessa, collaborando con un Comitato di coordinamento nomi nato dalla Federazione: collaboreranno anche le Facoltà di Ingegneria di Roma e di Genova.

L’altro argomento, del quale propongono di occuparsi gli Istituti di Urbanistica delle Facoltà di Architettura di Roma e Milano riguarda l’opportunità che i vari Istituti adottino criteri uniformi per la rappresentazione topografica, la grafia, la simbologia dei piani regolatori delle diverse specie. Del secondo punto, concernente le informazioni urbanistiche generali e particolari, fanno parte i seguenti principali argomenti. Anzitutto la formazione di uno schedario bibliografico per la informazione urbanistica, con tre registrazioni, per autore, per località e per argomento: di esso si occuperanno gli Istituti delle Facoltà di Architettura di Napoli e di Ingegneria di Milano, sulla base del lavoro già da essi sin qui svolto nel tema e coi suggerimenti collegiali degli altri Istituti. Un secondo argomento, a cui collaboreranno le Facoltà di Architettura di Roma, Milano e Venezia e la Facoltà di Ingegneria di Trieste, consiste nella puntualizzazione e nella rappresentazione delle indagini più produttive da premettere allo studio dei piani regolatori delle diverse specie. Si prospetta anche l’opportunità dell’impegno che i diversi Istituti dovrebbero assumere di raccogliere sistematicamente, così anche da renderle accessibili a chi lo desideri, le indagini riguardanti determinati comprensori di pertinenza, da delimitare collegialmente, e dei centri urbani in essi contenuti. Un terzo argomento considera la formazione di un catalogo organico, lo studio e la rappresentazione secondo la grafia e simbologia concordate, dei nuclei urbani di origine storica e dei principali comprensori d’alto valore paesistico: se ne interesseranno le facoltà di Architettura di Napoli, Palermo e Milano e le Facoltà di Ingegneria di Napoli e Genova. Importante è l’iniziativa già assunta ed in avanzata attuazione, per parte della Facoltà di Architettura di Firenze, di provvedere ad una sistematica raccolta di disegni e fotografie dei quartieri già realizzati od in corso di progettazione in Italia (e Successivamente all’estero); ridisegnando le planimetrie con un sistema unificato e traendone i dati metrici caratteristici, con la critica dei criteri funzionali e formali adottati.

Del terzo punto, riguardante la metodologia da assumere per lo studio e la redazione dei piani nelle diverse scale, sono da sottolineare particolarmente i seguenti argomenti. Di primaria importanza è quello di provvedere allo studio ed alla classificazione delle metodologie adottate per la stesura dei piani, ovunque redatti, in Italia o all’estero, anche nel passato, provvedendo ad una sistematica raccolta, con catalogazione e schedatura, dei piani medesimi, a cui dovrebbero provvedere i diversi Istituti, secondo quanto accennerò tra poco. Sarebbe importante sopratutto mettere in lucei criteri posti in atto nei piani progettati o in corso di progettazione, nel momento attuale, in Italia. A tale indagine dovrebbe collegarsi, per i piani già approvati, quella concernente i risultati concreti conseguiti nella loro attuazione, in funzione delle metodologie adottate: al che si presterebbe assai bene uno speciale Convegno fra tutti gli estensori dei piani già approvati, che potrebbe essere opportunamente indetto dall’Istituto Nazionale di Urbanistica. Altro argomento riguarda lo studio di norme urbanistico-edilizie tipo e di regolamenti edilizi tipo; a ciò si impegnano le Facoltà di Architettura di Roma e Firenze.

Del quarto punto, riguardante gli strumenti giuridici ed economici necessari per la testuale attuazione dei piani nelle diverse scale ed alcuni problemi tecnici, si sono messi a fuoco due principali argomenti. Uno di essi riguarda l’esame delle attuali carenze giuridiche ed economiche messe in rilievo nella realizzazione dei piani già approvati, per trarne proposte di provvedimenti idonei, in sostituzione o ad integrazione di quelli esistenti, a consentire tale testuale attuazione; la assegnazione di questo tema è stata procrastinata. Dei problemi del traffico e delle comunicazioni si interesseranno le Facoltà di Architettura di Napoli e d’Ingegneria di Napoli e Padova.

Il quinto punto, concernente l’organizzazione didattica e le attrezzature disponibili, per quanto riguarda l’Urbanistica, delle Facoltà e dei rispettivi Istituti di Urbanistica, è stato oggetto della maggiore attenzione. Le prime questioni, adombrate ma non approfondite, riguardano da un lato i programmi didattici dell’Urbanistica nelle Facoltà di Architettura ed Ingegneria, e specialmente il numero degli anni di studio e la loro collocazione nel Corso di Laurea, per cui sarebbe opportuno provvedere a riforme collegialmente concordate: e dall’altro lato, l’ordinamento degli Istituti di Urbanistica nelle due Facoltà, colla definizione delle materie di insegnamento ad esse afferenti. Altro argomento trattato è quello relativo alla catalogazione delle dotazioni e dei mezzi, delle attività attuali e future dei singoli Istituti o Seminari onde accertare le condizioni di coordinamento del lavoro da compiere. L’Istituto della Facoltà di Architettura di Napoli ha già diramato a tale scopo un questionario suddiviso in tre parti, nelle quali riportare le notizie di carattere generale e particolari.

Di assai pratico interesse, in tale iniziativa, è il proposito di provvedere alla elencazione e classificazione del materiale didattico disponibile presso i vari Istituti (riviste, libri ed opuscoli, carte topografiche e planimetrie antiche e moderne, piani regolatori delle diverse specie, fotografie, diapositive, films, ecc.); ed all’accertamento del miglior sistema di conservazione di tale materiale.

Le Facoltà di Ingegneria di Roma e Milano, che hanno già assunto per conto proprio notevoli iniziative in questo campo, si associano alla Facoltà di Architettura di Napoli nel proseguire il lavoro.

Si sono infine discusse, in merito a questo gruppo di argomenti, due importanti questioni. La prima riguarda la possibilità e convenienza che gli Istituti di Urbanistica delle Facoltà possano assumere in proprio non soltanto compiti di ricerche scientifiche relative a determinati problemi urbanistici, ma anche incarichi professionali di pianificazione (piani regolatori generali, piani particolareggiati, ecc. ) così da porre gli studenti a diretto contatto colla realtà urbanistica, da sollevarli dalle notèvoli spese relative allo svolgimento dei temi di Urbanistica; e da ricavarne un certo margine per alimentare la vita degli Istituti.

Mentre sui compiti di ricerca e consulenza scientifica tutti sono stati d’accordo, circa gli incarichi professionali le opinioni sono state discordi e si è stabilito di assumere decisioni quando si siano interpellati in proposito gli Ordini professionali ed il Ministero della P.I.

L’ultima questione trattata concerne la forma ed il preciso nome da offrire alla preconizzata Associazione o Federazione fra gli Istituti o Seminari di Urbanistica delle Facoltà di Architettura e di Ingegneria: si è decisa la nomina di un piccolo comitato il quale studi la questione e riferisca in un prossimo convegno, dopo aver preso cognizione di eventuali precedenti verificatesi per Istituti di altre Facoltà , ed aver sentito l’opinione degli organi responsabili in materia, quali il Ministero della Pubblica Istruzione, i Rettorati delle Università, ecc.

Dopo queste succinte informazioni sul lavoro compiuto nelle due giornate del nostro Convegno e sui programmi di attività che ci siamo posti, desidero offrire qualche cenno sulla esposizione, così opportunamente allestita, dei lavori degli allievi del primo e del secondo anno di Urbanistica che, pure a Napoli, han luogo al quarto e al quinto anno del corso di laurea: lavori dai quali traspare anche la solida preparazione scientifica loro impartita nelle lezioni, i cui programmi abbiamo potuto convenientemente apprezzare. Il legamento delle esercitazioni grafiche ai corsi cattedratici, tale che fin dall’inizio il discente apprenda ad applicare la teoria a casi concreti, appare evidente fin dalle soluzioni offerte nei due temi assegnati il primo anno; dei quali uno, che riguarda più spesso la progettazione di un quartiere residenziale in un settore di espansione di Napoli ma che talvolta prende ad oggetto centri agricoli, industriali, turistici, ecc. viene svolto con la guida del prof. D’Ambrosio, il cui corso riguarda gli elementi dell’Urbanistica nel loro insieme: mentre l’altro tema, che considera generalmente gli interventi ammissibili in qualche zona della vecchia Napoli o di nuclei urbani minori di origine storica, viene svolto con la guida del prof. Zocca, il quale nel corso teorico tratta la parte storica per l’appunto, colla competenza ben riconosciutagli in questo settore.

Secondo quanto è ormai abituale anche nella Facoltà di Roma ed altrove, si ammette opportunamente che i progetti, se eccedano determinate dimensioni, vengano eseguiti da gruppi di studenti associati, più o meno numerosi a seconda della vastità del tema; e si procura che mentre all’impostazione del tema nel suo complesso partecipino tutti i componenti dell’équipe con la guida del professore e degli assistenti, a ciascun d’essi singolarmente spetti lo sviluppo di una parte, così da poter distinguere le singole individualità.

Tra i quartieri ci è sembrato ragguardevole, anche per lo sforzo didattico di ricondurre all’unità il contributo di 25 studenti, quello sito in località Cinzia presso Soccavo; capace di trentamila unità divise in sei nuclei; la cui impostazione generale è tecnicamente rigorosa e plasticamente persuasiva nell’assecondare l’accidentalità del terreno e nel fondere in un tutto organico i nuclei edilizi e le vaste zone verdi. Interessante anche la soluzione offerta al tema dell’ampliamento di un esistente centro di villeggiatura per la viva aderenza della composizione ai caratteri del paesaggio. Fra i temi di sistemazione nella vecchia Napoli abbiamo apprezzato quello di Monte Echia a Santa Lucia e quello della zona ad est di Via del Duomo; il primo data l’estrema fatiscenza ed insalubrità e dato lo scarsissimo valore architettonico dell’ambiente, trattato colla pressoché integrale ricomposizione di esso; salvo la cura di un adeguamento dei nuovi edifici ai valori volumetrici preesistenti; l’altro invece trattato con cauti ritocchi verso strada e con risanamento interno. I caratteri dei due quartieri, a cui applicare le due diverse tecniche operative risultano da diligenti indagini, sul duplice piano della stratigrafia storico-urbanistica e della struttura economico-sociale; essendosi opportunamente applicata, per non far deviare l’attenzione degli studenti dalla considerazione degli elementi essenziali, la scheda adottata dal Comune di Vienna, debitamente modificata.

Il risultato della diligente ed approfondita preparazione conseguita dagli allievi nel primo anno di insegnamento dà apprezzabili frutti nel secondo anno, nel quale il prof. Cancellotti, di cui sono note la lunga esperienza, la pratica concretezza ed il gusto, tiene i corsi di Composizione Urbanistica e di Arte dei giardini; facendo svolgere agli studenti il progetto di un piano regolatore generale comunale od intercomunale, con tutti gli elaborati previsti dalla nostra legge del 1942; e, per l’Arte dei giardini, il rilievo di ville o parchi o la compilazione dei piani paesistici. Fra i lavori esposti abbiamo potuto apprezzare, per la completezza delle indagini e per l’adeguatezza delle soluzioni, anche per quanto riguarda la trattazione dei nuclei interni, un piano generale intercomunale di parte della costiera Amalfitana, coi piani urbani di Amalfi, Ravello e Minori ; ed un piano paesistico della penisola Sorrentina . Per l’Arte dei giardini, assai diligenti e talvolta gustosissimi nel disegno sono apparsi i rilievi di Villa Pignatelli alla Riviera di Chiaia e della Villa Floridiana.

Ritengo in conclusione di poter rinnovare al Magnifico Rettore dell’Università ed al Preside della Facoltà, anche a nome dei colleghi qui convenuti, la nostra soddisfazione per il risultato degli studi di urbanistica presso la Facoltà; il quale testimonia di un metodo didattico efficiente, di un insegnamento amorevole, dell’entusiasmo e diligenza di un complesso studentesco dotato di notevoli capacità tecniche ed artistiche. Aggiungo l’augurio che dai vostri sforzi, come da quelli di tutti noi, intesi a far progredire ed alzare il tono degli studi urbanistici nelle Facoltà, derivi un concreto progresso, davvero necessario, in ogni settore della pianificazione nel nostro Paese.

Estratto dalla Relazione finale agli Atti del II Convegno Nazionale dei Docenti di Urbanistica, Palazzo Gravina, 20-21 Marzo 1959, Università degli Studi di Napoli, Facoltà di Architettura, Istituto di Urbanistica, Napoli 1959
Immagine di copertina: Ministero della Cultura, Archivi degli Architetti, Plinio Marconi negli anni ’50 

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