Funzione sociale educativa dell’urbanistica italiana nelle colonie (1937)

Quando si parla di urbanistica coloniale, occorre intendere il problema in senso assai più lato di quello che comunemente si intende in Italia: non fermarsi alla sistemazione isolata dei centri maggiori e a quei problemi locali a cui l’urbanistica corrente in generale si limita; affrontare invece, fin dall’inizio, il problema totalitario, partendo da presupposti e necessità economiche e sociali che servano di base ad un primo piano schematico di un’organizzazione integrale di tutta la colonia. Esso sarà corredato da una zonizzazione a grandi linee a seconda delle risorse prevalentemente agrarie o minerarie e delle caratteristiche etniche delle popolazioni di ogni regione; e da esso, attraverso lo studio dei mezzi di comunicazione e di una rete stradale a larghe maglie (già tracciata in grandi linee dal Duce), si potrà passare ai piani regionali locali; e da questi, in ultimo, a quelli dei singoli agglomerati urbani.

Errate concezioni urbanistiche possono portare a pericolose promiscuità che lentamente, ma in modo continuo, indeboliscono il senso di rispetto che l’indigeno deve sempre sentire per il bianco. Occorre quindi tenere ben presenti le caratteristiche di vita e di costumi delle diverse popolazioni ed i rapporti che verranno a formarsi fra esse e i coloni metropolitani nelle zone destinate alla colonizzazione intensiva. L’indigeno va indubbiamente elevato nella morale, nell’istruzione, nell’igiene; ma occorre che sempre, in ogni luogo, ed in ogni occasione, senta ben netta e definita la superiorità del bianco e la distanza che vi è fra lui e noi. Ed occorre evitare gli errori commessi nel passato in altre parti dell’Africa ove, in conseguenza di attività industriali o commerciali troppo esclusive (centri minerari del Sud Africa, e commerciali o di sfruttamento del Congo Belga) si sono creati centri urbani a sviluppo immediato ed eccessivo, attirando avventurieri bianchi e grandi masse di indigeni. Ivi la crisi del lavoro ha provocato lo spopolamento e, in qualche caso, l’abbandono dei centri urbani; e gli indigeni hanno riportato alle loro contrade di origine solo i vizi appresi dai bianchi, e dell’opera di questi una impressione di caducità e di inconsistenza che ne ha ridotto enormemente il prestigio.

Si dovrà quindi in primo luogo provvedere a che i nuovi agglomerati urbani non sorgano in esclusiva dipendenza di un’attività industriale o mineraria, ma di un complesso di attività economiche diverse disposte in modo che il fallimento di una non porti alla necessaria inutilizzazione del centro creato; non perdere, quindi, di vista la più sana e più italiana delle passioni: la terra; ad ogni centro nuovo o rinnovato dell’Impero dare un carattere o essenziale o completamente agrario, che sia base di vita per la popolazione metropolitana ed indigena, e quasi un volano economico che permetta a tutti di affrontare con serenità le inevitabili oscillazioni dei valori economici che sono tanto più forti sentite nelle attività coloniali.

Dovrà perciò l’attenzione dei reggitori e degli urbanisti rivolgersi anzitutto a migliorare le condizioni di vita degli agglomerati di carattere più schiettamente commerciale-rurale, curando che non perdano questa sana caratteristica, e migliorandone le condizioni di vita, di igiene e di istruzione, in modo che gli abitanti in essi trovino il necessario benessere, e non siano tentati dalla attrazione dei centri maggiori. Ed in questi, poi, si dovrà dare all’indigeno, che è per sua natura osservatore, il senso della capacità previdente e preordinatrice propria del bianco e che egli, indigeno, avvezzo a vivere alla giornata, del tutto ignora. Quando si mostri all’indigeno un grande spiazzo vuoto; e gli si mostri e si descriva ciò che sarà la zona fra più anni; e poi, ad opera compiuta, l’indigeno veda che ciò che il bianco ha predetto, si è realmente avverato; ne trarrà un senso di ammirazione e di rispetto per chi ha saputo prevedere e attuare. Ma se l’attività edilizia si svolgerà indisciplinata, dispersa, individuale, se si comincerà a fare e disfare, a costruire e demolire dopo pochi anni, la mentalità dell’indigeno dedurrà, con uguale logica, la incapacità dei suoi reggitori.

Tutti gli elementi costitutivi dello sviluppo progressivo di un centro urbano possono concorrere all’opera educatrice dell’indigeno; in prima linea, la casa, che, quale elemento fondamentale della storia della umana civiltà, è stata sempre la prima esplicazione di ogni progresso dell’arte del vivere. La nuova casa dell’indigeno deve seguire le sue abitudini e rispettare le sue tradizioni specie religiose, ma attraverso una trasformazione igienica e sociale che faccia sempre praticamente presente ai suoi abitatori tutti i sani vantaggi del vivere civile. Dopo la casa, gli edifici di uso collettivo, come manifestazione dei vantaggi economici di un disciplinato ed organico ordinamento delle diverse attività commerciali attraverso la loro razionale organizzazione sociale; l’ordinamento dei servizi pubblici come elemento educativo della disciplina della popolazione e come esempio di organica regolazione di ogni singola attività; l’ordinamento e la formazione del movimento sportivo in funzione di educazione fisica e morale della popolazione indigena e quale sana ricreazione di essa; la organica distribuzione, infine, degli edifici destinati alle varie e diverse opere di assistenza del corpo e dello spirito: ospedali, ambulatori, asili, dopolavori, Case del Fascio, ecc.; organica specialmente nel senso che si debbano sempre costruire fabbricati distinti e magari in località diverse per gli indigeni e per i metropolitani, dando a quelli destinati a questi ultimi un aspetto esteriore più grandioso e più ricco, per mantenere netta e marcata in ogni elemento la supremazia della razza.

Così l’urbanistica può costituire la più evidente manifestazione dell’ordine e della disciplina che sono gli elementi fondamentali del Regime, e può portare benefiche e duratore conseguenze sulla opinione e sulle mentalità delle popolazioni soggette, immettendo saldamente nella loro vita questi elementi fondamentali del nostro pensiero politico e sociale.

da: da: Atti del I° Congresso Nazionale di Urbanistica, Vol. 1, Urbanistica Coloniale, INU, Roma 1937
Immagine di copertina, Organizzazione urbana «panottica» per il controllo, da: Mario Bafile, Economia e sorveglianza militare negli aggregati urbani dell’Africa Orientale, ivi

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