Introduzione
Premesse
Queste riflessioni nascono da un programma di ricerca più ampio dedicato alle applicazioni dell’idea di densità nel XXI secolo. Le città si confrontano con una rapida crescita di popolazione – 2,5 miliardi di abitanti in più entro il 2050 — e a fronte degli effetti devastanti di un certo tipo di dispersione urbana, la politica l’urbanistica e l’architettura rivolgono sempre più il proprio interesse verso il paradigma di una crescita in verticale. Purtroppo appare come le città in tutto il mondo siano a dir poco impreparate a adottare questa densità verticale, che potrebbe aggravare su varie dimensioni la loro sostenibilità e risolversi in una sorta di nuovo «sprawl» con conseguenze anche peggiori della dispersione «orizzontale» sul territorio. Tra le questioni chiave della città futura spicca quella di trasportare grandi quantità di alimenti per una popolazione così addensata: il modello della vertical farm può offrire una soluzione a questo problema.
Obiettivi della ricerca
Mentre la popolazione urbana continua a crescere e diminuisce invece rapidamente in tutto il globo la superficie coltivabile, emerge l’esigenza di un cambiamento fondamentale nella produzione di alimenti. In particolare verso una agricoltura urbana integrata all’edificato, e un panorama delle tecniche attuali di coltivazione può contribuire al dibattito scientifico. Dato che il vertical farming coinvolge molte discipline, dalle scienze della natura all’architettura all’ingegneria, oltre ad agire sia sulle persone che sull’ambiente. Vorremmo qui provare a rispondere ad alcune domande:
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Cos’è una vertical farm?
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Quali sono le spinte principali per realizzarla?
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Che metodi tecnologici di coltura vengono utilizzati?
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Quali sono i principali progetti di vertical farming in corso?
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Quali le implicazioni per la città verticale?
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Vertical Farm: cos’è
La coltura verticale persegue in molo propositivo la sostenibilità urbana promuovendo sicurezza alimentare per la popolazione in continua crescita delle città. In termini di principio, si tratta di un concetto semplice: svilupparsi verso l’alto anziché allargarsi sul territorio. La letteratura sull’argomento distingue fra tre tipi di vertical farming. Il primo è la costruzione di strutture sviluppate in altezza con diversi livelli destinati alle colture spesso gestiti con l’aiuto dell’illuminazione artificiale. Questo genere di impianti urbani di dimensioni contenute è sperimentato in ogni parte del mondo. Parecchie città l’hanno introdotto in edifici vecchi e nuovi, come vecchi magazzini riconvertiti dalla proprietà ad usi agricoli.
Il secondo tipo di coltura verticale è quello sui tetti di edifici esistenti o di nuova realizzazione, sopra spazi residenziali o terziari o commerciali, alberghieri e via dicendo. Il terzo tipo di vertical farm è quello più visionario dell’edificio molto alto. Nell’ultimo decennio in particolare se ne sono viste sempre di più di queste proposte, nessuna però realizzata. Pare però importante sottolineare lo stretto rapporto che esiste fra le tre tipologie là dove la riuscita dei progetti di dimensioni contenute e il perfezionamento delle tecnologie sembra aprire la strada ai più ambiziosi impianti a grattacielo.
Ambientalisti, coltivatori urbani, architetti, agronomi, esperti di salute e altri, hanno unito le proprie forze in una piccola rivoluzione associandosi nella ricerca di un metodo per affrontare un futuro che si prospetta ultra-urbanizzato e insicuro dal punto di vista alimentare. Moltissimi esperti di tecnologie convergono verso il concetto di vertical farming, dalla robotica, all’aeroponia, acquaponia, idroponia. Molte organizzazioni senza scopo di lucro, che promuovono tutela ambientale e sviluppo locale, sostengono il concetto della vertical farm. Ma anche imprese private operanti sul mercato e interessate alle produzioni locali. Esistono poi le pubbliche amministrazioni che ne condividono gli scopi di sicurezza alimentare. Numerosi paesi tra cui Corea, Giappone, Cina, Germania, Emirati Arabi Uniti, Francia, India, Svezia, Singapore, Stati Uniti, partecipano al dibattito sulla coltura verticale, integrando l’idea in quella di sostenibilità urbana di lungo termine.
Non si tratta in realtà di un’idea totalmente nuova. Se ne possono trovare tracce andando indietro nel tempo sino agli antichi Giardini Pensili di Babilonia, una delle Sette Meraviglie del Mondo, risalenti al 600 A.C. Il termine vertical farm viene coniato nel 1915, da Gilbert Ellis Bailey, quando pubblica il libro dal titolo Vertical Farming. Sostenendo i vantaggi economici e ambientali di colture idroponiche verticali in ambiente controllato.Nei primi anni ’30, William Frederick Gericke sperimenta le colture idroponiche all’Università della California di Berkley. E negli anni ’80 Åke Olsson, coltivatore e ambientalista svedese, propone la coltura verticale insediata in città per produrre localmente. Inventa anche un sistema su rotaia a spirale ascendente per la coltivazione.
Verso la fine del secolo scorso, l’ecologista americano Dickson Despommier, professore di discipline sanitarie, rilancia con passione il concetto di vertical farming. Descrivendo il metodo come «coltivazione generalizzata di piante e allevamento di animali a scopo commerciale in grattacieli. Usando tecnologie avanzate di serra come l’idroponia la vertical farm può teoricamente produrre frutta, verdura, carne, pesce». Si ritiene promuova pratiche colturali sostenibili molto più dell’agricoltura tradizionale, su superfici estese all’aperto che richiedono mola più irrigazione, lavorazione del terreno, uso di fertilizzanti pesticidi ed erbicidi.
Vertical Farm: perché
Sicurezza alimentare
La sicurezza alimentare si è affermata come problema di grande importanza. I demografi prevedono una popolazione urbana in preoccupante crescita nei decenni a venire. E contemporaneamente gli esperti nell’uso del territorio (agronomi, ecologi, geologi) avvertono sul progressivo esaurimento delle superfici coltivabili. Per questi motivi la domanda di alimenti potrebbe superare di gran lunga l’offerta portandoci ad una situazione di vera e propria fame mondiale. Le Nazioni Unite stimano una crescita della popolazione mondiale del 40%, a superare i 9 miliardi di persone nel 2050, e che a quella data l’80% risiederà nelle città. Le previsioni riguardano anche il fatto che nel 2050 dovremmo produrre il 70% in più di alimenti per una domanda cresciuta di tre miliardi di persone. I prezzi del cibo sono già schizzati alle stelle negli ultimi decenni, e gli agricoltori prevedono cresceranno ulteriormente a causa di quelli del petrolio, acqua, energia, riduzione delle disponibilità di superfici. La dispersione suburbana prosegue nel divorarsi sempre più campagne. E anche l’agricoltura urbana affronta problemi di scarsità di terreni e costi elevati. Abbiamo urgente bisogno di soluzioni radicali per combattere una immensa sfida globale.
La logica del vertical farming è semplice: produrre più alimenti sfruttando meno superfici. È il medesimo ragionamento del sovrapporre case o uffici su poco costoso terreno, come accaduto a Hong Kong o Manhattan, applicato all’agricoltura. I promotori della coltura verticale sostengono che possa creare ecosistemi compatti e autosufficienti in grado svolgere diverse funzioni, dalla produzione alimentare alla gestione dei rifiuti. Una produzione efficiente e sostenibile, che risparmia acqua ed energia, stimola l’economia, riduce l’inquinamento, crea nuove occasioni di lavoro, ripristina ecosistemi, garantisce accesso a cibi sani. In un ambiente controllato i raccolti sono meno soggetti all’instabilità del clima, alle infestazioni, si gestiscono i cicli delle sostanze nutrienti, le rotazioni, gli scarichi inquinanti, pesticidi, polveri. Le coltivazioni al chiuso sono potenzialmente in un ambiente più sano che all’aperto. L’agricoltura indoor opera su tutto l’arco dell’anno indipendentemente dalle condizioni atmosferiche, e potrebbe garantire maggiori raccolti e redditività continua. Si tratta peraltro di un sistema a basso impatto in grado di ridurre i costi di trasporto e le relative emissioni di gas serra, riducendo le distanze tra luoghi di produzione e mercati di consumo. Il vertical farming si integra alle economie locali creando posi di lavoro qualificati green collar nelle aree urbane.
Cosa importante, le colture verticali contribuiscono ad affrontare il problema dalle riduzione delle superfici coltivabili. Secondo la FAO nel 1961 c’erano 0,42 ettari agricoli per abitante della terra. Nel 2002, con la crescita di popolazione e urbanizzazione, quella superficie si è ridotta circa alla metà a soli 0,23 ettari. Nel 2011, le Nazioni Unite hanno portato a termine una valutazione sulle risorse planetarie di tali terreni, stabilendo come un quarto di tutte le superfici coltivabili sia gravemente alterato. Si aggiunga che solo negli Stati Uniti dal 1960 ha cessato l’attività un milione di coltivatori. Oggi nel paese abbiamo invece «23 milioni di persone che abitano ciò che definiamo deserti alimentari ovvero nei termini dello U.S. Department of Agriculture zone urbane o cittadine rurali in cui è impossibile accedere ad una alimentazione economica sana di cibi freschi». Dickson Despommier spiega che l’attuale offerta agricola si dimostrerà in breve tempo ampiamente inadeguata. Un essere umano mediamente necessita di 1.500 calorie al giorno, e per coprire quel bisogno dovremmo in teoria aggiungere entro il 2050 terreni agricoli pari alla superficie totale del Brasile.
Cambiamento Climatico
Il cambiamento climatico contribuisce alla diminuzione delle superfici coltivabili, inducendo fenomeni estremi di alluvioni, uragani, tempeste, siccità, con un calo drastico che danneggia anche l’economia mondiale. Per esempio, con la grave siccità del 2011, gli Stati Uniti hanno avuto perdite valutabili in 110 miliardi di dollari. Gli scienziati prevedono che i fenomeni estremi indotti dal cambiamento climatico si faranno anche sempre più frequenti. Portando alla devastazione e impoverimento di estese superfici agricole rendendole improduttive. Di norma le pubbliche amministrazioni distribuiscono sussidi all’agricoltura tradizionale attraverso meccanismi assicurativi sui raccolti andati perduti per cause naturali. Inoltre le forme correnti di coltivazione richiedono un forte dispendio di combustibili fossili (per arare, fertilizzare, seminare, diserbare, raccogliere), con una quota che raggiunge nel caso degli USA il 20% del consumo totale di benzina e gasolio. Dobbiamo convincerci che la quantità di «chilometri-cibo» riguarda le distanze dai luoghi di produzione alle aree urbane abitate.
In media gli alimenti viaggiano ben oltre duemila chilometri dal campo alla nostra tavola. E in circostanze particolari – come il tempo freddo per esempio – le distanze crescono ancora di parecchio perché negozi ristoranti mense importano anche per via aerea da molto lontano ciò di cui si ha bisogno. A regime oltre il 90% del cibo consumato nelle grandi città americane viene importato da altri territori. Una ricerca del 2008 alla Carnegie Mellon concludeva che questo trasporto di alimenti genera 0,4 tonnellate di emissioni di anidride carbonica ogni anno per nucleo familiare. Cosa particolarmente importante dato che cresce la distanza tra campagne produttive e città a causa dell’urbanizzazione globale. E parallelamente le emissioni di gas serra da trasporto alimentare contribuiscono al cambiamento climatico.
Densificazione Urbana
La coltura verticale rispetto a quella in orizzontale offre il vantaggio di liberare superfici di terreno da desinare ad attività urbane diverse (case, servizi, verde). Le ricerche rilevano come destinazioni d’uso urbane agricole si traducano in meno densità di popolazione e quindi spostamenti pendolari più lunghi. «Se l’America sostituisse anche solo del 7,9% l’enorme superficie di centinaia di milioni di ettari oggi a pascolo o agricoltura con colture urbane, si dimezzerebbero le densità metropolitane». Meno densità significa più consumi energetici e più inquinamento atmosferico e dell’acqua. Come spiega il National Highway Travel Survey (NHTS), «Diminuendo del 50% le densità urbane, le famiglie consumeranno quasi 400 litri di carburante in più ogni anno. Questo aumento risultante dalla conversione di una piccola quota di superfici agricole da extraurbane a urbane produrrebbe 1,77 tonnellate di anidride carbonica l’anno per ogni nucleo familiare». Dixon Despommier descrive particolarmente l’efficienza spaziale della sua vertical farm. Ritiene che un edificio di 30 piani (alto circa 100 metri) che occupa alla base poco più di due ettari, sarebbe in grado di produrre la stessa resa di raccolto di 971,2 ha di campi tradizionali. Ciò significa che ogni azienda agricola-grattacielo può produrre l’equivalente di 480 aziende convenzionali che operano in orizzontale.
Salute
Le pratiche colturali tradizionali spesso mettono in primo piano i guadagni monetari e commerciali senza badare ai danni ad ambiente e salute umana. Si induce erosione, inquinamento dei terreni, spreco idrico. E l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha calcolato come metà dell’agricoltura mondiale ancora utilizza a fertilizzante letame animale grezzo attirando insetti, mescolando semi di piante nocive o trasmettendo malattie alle piante. Conseguentemente, compromettendo la salute dei consumatori di quei prodotti. Inoltre la possibilità di coltivare indoor in ambiente controllato ha il vantaggio di ridurre la necessità di pesticidi ed erbicidi, che inquinano i deflussi di acqua nell’agricoltura. Secondo Renee Cho, «In un ambiente controllato qualunque parassita trova assai più difficile infiltrarsi e distruggere raccolti». Quando i fertilizzanti in eccesso si dilavano nel deflusso verso torrenti fiumi e mari, si creano concentrazioni di sostanze nutritive (eutrofia) in grado di alterare equilibri ecologici. Per esempio accelerando la proliferazione di alghe, consumate poi morte dai microbi che assorbono troppo ossigeno inducendo ampie zone di acque morte: «Nel 2008, si calcolavano ben 405 dead zone del genere nel mondo».
Il vertical farming al chiuso usa metodi tecnicamente avanzati in grado di consumare molta meno acqua (un decimo rispetto alle colture tradizionali) con precisione ed efficienza. E ciò è molto importante a fronte a causa della enorme crescita di domanda di acqua nelle zone urbane per la crescita di popolazione Le attività agricole consumano oltre due terzi dell’acqua dolce a livello mondiale, e spesso i contadini si vedono sottratta acqua indispensabile per la propria attività proprio dai consumi delle città in espansione. La crisi idrica può farsi assai più grave a causa del cambiamento climatico innalzamento di temperature e siccità.
Ecosistema
Le pratiche agricole tradizionali da millenni usano sovrapporsi agli ecosistemi naturali. Nelle parole di Dickson Despommier «Gli effetti delle coltivazioni agricole sui processi ecologici sono probabilmente la principale causa di distruzione». Nell’ultimo mezzo secolo circa si sono cancellate superfici di foresta pluviale brasiliana, sostituendo agricoltura su 1.812.992 km2. Despommier sostiene che anche questo sostituirsi di un ambiente all’altro contribuisca al cambiamento climatico. E le colture in ambiente chiuso verticale possono ridurre gli impatti mondiali sugli ecosistemi restituendo biodiversità e riducendo gli impatti climatici. Se le città usassero le vertical farm per produrre solo il 10% dell’area di terreno che consumano, potrebbero contribuire a ridurre le emissioni di CO2 a sufficienza per lo sviluppo di innovazioni tecnologiche ate a migliorare la biosfera sul lungo termine. Eliminando il dilavaggio dei fertilizzanti, si ripristinerebbe la vitalità di fiumi e mari, aumentando anche la disponibilità di pesce. È stato osservato da qualcuno che «Una delle migliori ragioni per riconvertire la produzione mondiale in direzione del vertical farming è la sua promessa di ripristinare servizi e funzioni agli ecosistemi».
Economia
Chi sostiene le colture verticali è convinto che possano garantire anche ottimi prezzi per i prodotti alimentari. Le spese sempre in crescita dell’agricoltura convenzionale ne stanno velocemente rosicchiando i profitti. Se un impianto produttivo in verticale si colloca strategicamente in una zona urbana, diventerà possibile anche offrire direttamente al consumatore, riducendo i costi dei trasporti e le intermediazioni, che oggi pesano fino al 60% dei costi. Possono essere esponenzialmente aumentate le produzioni. I ricercatori sono riusciti a ottimizzare i metodi di coltura calibrando una complessa serie di variabili, dall’intensità della luce, alla distribuzione dei colori, alle temperature ambientali, contenuti di anidride carbonica, tipi di suolo, acqua, umidità atmosferica. Inoltre il vertical farming è un importante contributo alle economie locali se si inizia riconvertendo edifici abbandonati e mettendo a disposizione alimenti freschi in quartieri dove prima scarseggiavano. Per non parlare del fatto che il sistema a tecnologie avanzate cambia in meglio la qualità del lavoro di coltura. Attirando nuove generazioni attente a questi aspetti e che diventeranno un nuovo tipo di contadini. E alimentando per di più la ricerca e sperimentazione di altre tecnologie ancora più innovative, oltre a riconnettere chi abita in città con la natura. […] Segue
da: Buildings, Vol. 8 n.2, febbraio 2018; The Vertical Farm: A Review of Developments and Implications for the Vertical City – Estratti e traduzione di Fabrizio Bottini