Ridistribuzione demografica ed evoluzione economico-agraria in Maremma e Fucino (1952)

Premessa

Nell’impostare il problema urbanistico di una determinata regione, è evidente che occorrerebbe premettere un vasto e attento studio di tutte le condizioni non solo fisiche, ma economiche e sociali, con particolare riferimento al settore demografico. Tanto più necessaria una simile indagine e precisazione, quando trattasi di territori in via di attiva trasformazioni evolutiva determinata, come è il caso nostro, da particolari provvidenze bonificatorie e riformatrici. È evidente che l’attuazione di un simile disegno richiederebbe assai lungo studio, e minute analisi, da condurre in équipe tra tecnici, economisti, sociologi, ingegneri e architetti-urbanisti, raccogliendo, coordinando ed elaborando tutti gli studi specifici già esistenti sulle regioni considerate, aggiornandoli adeguatamente e correlandoli ai disposti piani di bonifica e riforma. Compito, come si vede, di grandissimo impegno e notevole difficoltà.

Nel caso che ci riguarda, e cioè per quanto concerne i territori ai quali è interessato l’Ente di Riforma per la Maremma e per il Fucino, è evidentemente pacifica la impossibilità di poter oggi impostare un simile discorso, sulla base cioè di una compiuta ed organica visone come sopra accennata. Senza contare che, anche in ben altre condizioni di già avvenute rivelazioni ed elaborazioni similari, non potrebbe mai pensarsi a pianificazioni urbanistiche «definitive», ma solo graduate nel tempo e nello spazio. Si tenga inoltre presente che, nel nostro caso, si tratta di un Ente che opera necessariamente per zone distaccate, e sé stanti, disperse nel vasto comprensorio maremmano e che nel loro complesso non costituiscono che una modesta parte del tutto. Questo, è il dato di fatto che più deve far meditare; in quanto rende impensabile in partenza, una impostazione urbanistica inquadrata in una visione organica e integrale delle necessità regionali; che sarebbe disegno quanto mai ardito e inopportunamente ambizioso, nelle condizioni in cui l’Ente deve attualmente operare.

E si consideri che devesi precisamente operare in una regione che se ha in linea generale una base, dirò così un plafond, di caratteristiche comuni, si risolve tuttavia in notevoli differenziazioni da circoscrizione a circoscrizione e da zona a zona. È il tipico caso di una regione, nella quale un piano generale urbanistico dovrebbe necessariamente articolarsi nei tre specifici e distinti indirizzi a cui fa cenno il dott. Sebregondi: urbanistica di trasformazione, urbanistica di evoluzione e urbanistica di sistemazione; piano d’altronde dominato, come in nessun altro caso forse, dai limiti e dai modi dei predisposti interventi finanziari dello Stato.

Sguardo sommario all’ambiente

la Maremma

Basti accennare qui ad alcuni fondamentali elementi fisico-economici del vasto territorio in questione. Si tratta, prescindendo per ora dalla zona del Fucino, di una intera regione: la «maremma tosco-laziale», della complessiva superficie di circa 1 milione di ettari, dei quali quasi due terzi in Toscana (provincie, di Grosseto, Pisa, Livorno, Siena) e oltre un terzo nel Lazio (provincie di Viterbo e Roma); e dove l’Ente opererà qua e là, dispersamente, sopra appena un quinto, in complesso, della detta estensione territoriale. Caratterizzata, tutta la regione, da una delle più basse densità demografiche del Paese: 57 abitanti per kmq. (di fronte alla media nazionale di 116); da una agricoltura generalmente di tipo estensivo, con terreni destinati per quasi metà a seminativo, per quasi un terzo a bosco e quasi un quarto a pascolo, con particolare allevamento bovino brado e ovino stanziale e transumante; da una struttura fondiaria con alta prevalenza della grande proprietà (il 73%), e assai scarsa rappresentanza della media (16%) e della piccola (11%) (struttura che testimonia la propria anormalità con le sue 800 grandi e grandissime ditte, e le polverizzate 80.000 piccole proprietà); da due essenziali tipi di conduzione nettamente prevalenti, la mezzadria nella parte toscana, e il salariato in quella laziale; da un assorbimento del lavoro rurale che che raggiunge in media appena 0,15 unità lavorative ad ettaro (cioè 7 ettari per unità lavorativa) pur salendo a 0,28 nella piccola proprietà coltivatrice (3,5 ettari per unità lavorativa).

Indubbiamente, già questi dati sommari e sintetici, danno un’idea generale dell’ambiente in mezzo al quale deve operare l’Ente; ma che non possono essere lontanamente sufficienti ad una sia pur approssimata pianificazione urbanistica, che richiederebbe ben altre precisazioni e localizzazioni, almeno zonali. E bastino a convincere i due esposti estremi della vasta e della minuscola proprietà. Dove sono esse localizzate? E con quale continuità o dispersione? E come e perché correlate agli attuali tipi di insediamento? E via e via dicendo. Necessità pertanto di rinunciare, almeno in primo tempo – da parte di un Ente che deve agire con la massima sollecitudine, spintovi dalle istanze sociali che urgono – ad ambiziose impostazioni di piani urbanistici regionali, per raccogliersi invece nella più modesta e circoscritta, ma concreta, azione progettuale relativa alle singole e precisate zone di intervento.

Il che si potrà e dovrà pure attuare con una intelligente capacità coordinativa in rapporto alle peculiari condizioni fisico-economico-demografiche che caratterizzano l’ambiente entro il quale insiste ciascuna di quelle specifiche zone. Certo, anche questa necessariamente ristretta e disunita programmazione, pur si aggancia ad una preliminare constatazione generale e cioè che, almeno per la più gran parte del territorio nel quale l’Ente è destinato ad operare, una caratteristica dominante da tener presente è quella del prevalente tipo degli insediamenti accentrati e distanziati tra loro, di una notevole scarsità di comunicazioni e di collegati servizi, di una scarsa percentuale di dimore sparse e comunque di un assai ridotto numero assoluto di dimore rurali (nell’indagine statistica diretta da uno degli scriventi nel 1933 sulle case rurali in Italia, la minima densità di esse venne proprio registrata nella provincia di Grosseto).

Orientamenti d’azione

Per concludere. Sembra chiara la forzata necessità di limitare per ora da parte dell’Ente sia le programmazioni che le realizzazioni urbanistiche, ai soli e singoli territori di sua pertinenza, sia pure con il rispetto delle sopra accennate correlazioni. Dal che intento consegue una opportunità evidente: quella di orientarsi sempre verso soluzioni le più elastiche possibili e le più facilmente capaci di modifiche e integrazioni future. Solo quando debbasi operare in ristrettissime zone a sé stanti, adatte ad organizzazioni di piccoli gruppi aziendali o di singole aziende, ci si potrà orientare, come ci si è orientati, verso più precise e più rigide soluzioni. Ma ciò ammesso, sembra anche logico premettere a quelle più determinate progettazioni – delle quali si riportano più avanti i tipici casi considerati – qualche considerazione orientativa, a guida e chiarimento dei motivi che a quelle progettazioni di massima condussero.

Alcuni anni addietro, in una conferenza tenuta a Foggia in occasione di un convegno per la trasformazione fondiaria del Tavoliere, uno dei sottoscritti riepilogava in 4 tipi le molteplici e spesso commiste forme del dimorare contadino nei territori ad economia latifondistica in via di trasformazione. Riassuntivamente i 4 tipi venivano così schematizzati:

A – zone ad insediamento rurale sparso più o meno intenso: zone mezzadrili a fattorie o a poderi autonomi; piccole proprietà coltivatrici; con case proprie, e simili;

B – zone ad insediamento rurale accentrato: masserie; corti; compartecipazioni collettive unite e singole; con dimore dei lavoratori in luogo;

A1 – zone a proprietà frazionata divisa, con salariati non dimoranti in luogo, zone di latofondo contadino e simili;

B1 – zone a latifondo accentrato: masserie;, corti, più o meno trasformate, con con partecipazione collettiva unita, senza o con scarsa dimora in luogo dei lavoratori.

E chiariva, l’autore, come ai fini dell’organizzazione civile delle popolazioni rurali a quei modi insediate, fosse logico provvedere, urbanisticamente, nei primi due casi A e B alla edificazione di «borghi di servizio», e negli altri due casi A1 e B1 di «borghi residenziali». Ora sta di fatto che nelle svariate condizioni d’ambiente nelle quali l’Ente per la Maremma e per il Fucino deve operare, tutti i 4 tipi sopra schematizzati, hanno un proprio luogo di opportunità. Si tratterò pertanto, da parte dell’Ente, della consapevole scelta del più rispondente tipo da adottare, caso per caso. Già, infatti, nella prima visione programmatica dell’attività urbanistica dell’Ente, fu prevista la necessità di orientarsi sui due essenziali tipi di insediamento, sparso e accentrato. E venne valutato a circa il 60% di tutta la superficie interessata, quella di ordinarsi in forme poderali , con borghi di servizio; e a circa il 40% quella da attuarsi in forme di minuta quotizzazione e richiedente il tipo di insediamento accentrato, a borghi residenziali.

Tanto nel primo che nel secondo caso, si prospettava la necessità di realizzare alcune «aziende di colonizzamento» a tipica organizzazione a sé stante, e alcuni subordinati «nuclei demografici»; le une e gli altri, organicamente collegati ai previsti schemi urbanistici pei due tipi di trasformazione. Non potendosi qui individuare ancora la localizzazione esatta dei vari tipi urbanistici programmati (la progettazione esecutiva è già attuata per talune zone, ed è tuttora in corso per altre), pensiamo essere opportuno ed utile limitarci, intanto, ad esporre i fondamentali concetti che si ritiene necessario porre a base di ognuno dei tipi considerati; soffermandoci partitamente sui tipi di colonizzazione ad insediamento raggruppato, su quello ad insediamento decentrato con particolare considerazione sui problemi dell’edilizia popolare, ed infine con un cenno su un particolare tipo di azienda cooperativa agro-pastorale.

I centri di gestione

Azienda di Riforma su 6.000 ettari, con insediamenti sia accentrati che distribuiti

Premettiamo brevi cenni illustrativi sulle così dette «aziende di colonizzazione» o «centri di gestione». Abbiamo già accennato come, in ogni caso, sia da pensare alla costituzione di centri di gestione o aziende di colonizzazione (o di riforma, o primigenie). È, questa, una esigenza assoluta che giustamente è stata posta a base dell’azione degli enti riformatori, sia per la indispensabile assistenza tecnico-economica e morale delle aziende contadine per il loro funzionamento e consolidamento, sia per la opportunità di una gestione associata di taluni servizi, quali per esempio la lavorazione meccanica dei terreni, la trebbiatura, la trasformazione di alcuni prodotti e la conservazione di altri, l’acquisto, deposito e distribuzione mangimi, concimi, anticrittogamici, nonché i servizi di trasporto ecc.

È evidente che l’organizzazione tecnica generale e dei singoli servizi, dovrà avere una sede nella indicata azienda di colonizzazione, che dovrà curare lo sviluppo della cooperazione, l’assistenza e il rifornimento di mezzi produttivi; il che è condizione imperativa affinché la riforma fondiaria non si risolva in atomistica formazione di piccole proprietà disperse a sé stanti, con i singoli, miseri e inattrezzati contadini, incapaci di provvedere alla propria organizzazione aziendale, nella scarsa preparazione tecnica e deficienza di capitali che li caratterizza; il che impedirebbe ogni progresso agricolo e, in definitiva, vanificherebbe le ragioni e le finalità della voluta riforma. Solo con l’organizzazione degli accennati «centri di gestione» i contadini, che come scrive il Medici «sono i veri protagonisti della Riforma, troveranno chi li assista, li consigli, li guidi, li aiuti, nel momento del bisogno». Si pensa che l’ampiezza della «azienda di colonizzazione», che potrà essere preferibilmente unita, o formata da più appezzamenti situati in un raggio di azione ragionevole, possa variare dai 2.000 agli 8.000 ettari, almeno in un primo tempo.

Quanto all’ubicazione della sede di detta azienda, un concetto di opportunità suggerisce di sfruttare il più possibile preesistenti insediamenti accentrati, affiancandola o inserendola nel borgo di servizio se trattasi di zona ad insediamento sparso, o ubicandola in posizione eccentrica nel caso di favorevole condizione di servizi già offerti da esistenti centri demografici, o anche quando possano essere utilizzati per essa preesistenti gruppi di fabbricati aziendali accentrati, che ne rendessero più economica e confacente la realizzazione. Spesso sarà conveniente non accentrare presso la sede dell’azienda di colonizzazione tutti i servizi ad essa inerenti, e ciò per evidenti ragioni tecniche e spaziali. Così, ad esempio, le stazioni di monta bovina (naturale e artificiale) e suina, sarà opportuno dislocarle entro determinati raggi di influenza (per esempio, per ogni 1.000 ettari di superficie) presso aziende contadine, gestite da coloni proprietari che ne cureranno il funzionamento, e ai quali verrà fatto l’obbligo di giovarsi dell’opera di sanitari specialisti.

Così, ancora sarà opportuno che i trattori per i normali lavori agricolo abbiano la propria sede stagionale, od anche permanente, in ricoveri-tettoia ogni 400-500 ettari di superficie, mentre quelli adatti ai lavori speciali dovranno essere raccolti nell’officina-rimessa della cooperativa presso la sede aziendale. Così, per citare un ultimo esempio, i magazzini di deposito temporaneo per somministrazione e ritiro dei prodotti, sarà opportuno dislocarli (sia pure presso le corti di aziende contadine per facilitarne la sorveglianza) in modo che ognuno possa facilmente servire una prestabilita zona, la cui ampiezza potrebbe valutarsi attorno ai 2.000 ettari. Con tali criteri ed in tal senso, si legga lo schema di zonizzazione riportato per «azienda di colonizzamento» secondo un piano di massima di trasformazione di primo tempo. Naturalmente lo schema potrà variare successivamente, quando il ritmo produttivo avrà raggiunto una intensità maggiore di quella prevista.

Quanto al modo di articolare i vari fabbricati e locali del centro di colonizzazione secondo la loro specifica funzione, sembrano potersi schematizzare, nel seguente elenco, gli edifici indispensabili ed utili:

A – come indispensabili: una abitazione per il direttore di azienda, idem per uno o più assistenti tecnici; idem per il contabile; qualche stanza per l’ufficio tecnico-amministrativo; una rimessa-tettoia per le varie macchine; una officina attrezzata per la riparazione e manutenzione; un magazzino per il deposito e rifornimento dei prodotti; una stazione di selezione sementi; un mulino frangitutto;

B – come utili: una cantina sociale, un caseificio, o centro di raccolta; una porcilaia;, una stazione di monta equina; un oleificio; una segheria o falegnameria, ecc.

La colonizzazione sparsa

È questo il caso considerato alla lettera A precedente delle forme di dimora del contadino, che pertanto va visto come insediamento rurale con dimore sui fondi, appoggiate a «borghi di servizio» debitamente dislocati a soddisfare le esigenze civili (di culto, di istruzione, di igiene e assistenza medica, di rifornimento generi, di fabbisogno artigiano, di distrazione, ecc.) di prefissate superfici zonali. Non ci sembra qui il luogo di diffondersi sui criteri costruttivi, strutturali e urbanistici di tali borghi di servizio (che saranno costituiti generalmente da: chiesa, scuola, posta e telegrafo, ambulatorio, locali di distrazione, botteghe di commercio e artigiane, sede aziendale dell’Ente Riforma, abitazioni per gli addetti a tali servizi); ma ci sembra invece opportuno qualche cenno orientativo su taluni problemi di fondo specificamente attinenti alla edilizia aziendale, propria del tipo «appoderamento». In condizioni di ambiente che suggeriscano direttive di trasformazione basate sull’appoderamento, una delle realtà negative che si pongono al progettista, è l’eccessivo gravame monetario; così alto da renderne dubbia e perfino talvolta sconsigliabile la realizzazione, quando il previsto eccessivo investimento sia tale da superare la stessa istanza sociale che ne imporrebbe la realizzazione.

È intanto necessario trovare il punto di incontra fra capacità produttiva della terra ed entità degli investimenti, immediati e successivi (fabbricati, piantagioni, ecc.), in guisa cioè da realizzare un equilibrio di tornaconto economico-sociale sufficientemente positivo. Occorre cioè che l’importo degli investimenti edilizi non superi determinati limiti, in relazione all’unità di superficie e alla capacità produttiva attuale e potenziale del podere; e ciò senza che debbansi restringere eccessivamente i volumi degli ambienti o debbasi far luogo ad economie strutturali che compromettano l’armonia funzionale, la statica, l’igiene e l’estetica delle costruzioni. Il problema, è evidentemente di facile intuizione, ma non di altrettanta facile soluzione tecnica. Né certamente può risolversi con le facilonerie miracolistiche di chi sogna costi minimi irreali, o con le storture mentali antistoriche di chi pensa oggi a baracche e capanne da pionieri. Il problema è anche sociale e di dignità umana, soprattutto in paese di antica civiltà.

Né è da trascurare la realtà di una ben più affinata ed esigente psicologia contadina, che non intende più adattarsi agli eroismi bruti delle vecchie colonizzazioni. Occorre, per queste aziende contadine, progettare case semplici ma solide e decorose, e progettarle in modo da renderne possibile un adeguato ampliamento correlandolo al graduale progredire del fondo e del naturale incremento delle unità lavorative. Su tale gradualità realizzativa, è necessario porre il massimo accento. Solo così, infatti, e cioè inserendo nel processo costruttivo il parametro «tempo», si potrà realizzare la difficile quadratura economico-sociale di cui si è fatto cenno più sopra. Grande equilibrio ed elasticità, dunque, in un campo dominato da un naturale dinamismo progressivo, che sarebbe vano voler affrontare e risolvere a priori. Dovrà a questo fine la progettazione edilizia, essere studiata e concepita in rapporto al finale ordinamento produttivo aziendale, ma insieme, essere così predisposta da realizzarsi a gradi nel tempo, correlandola nel miglior modo possibile al progrediente realizzarsi della presunta evoluzione aziendale.

Solo con un tale tipo di progettazione, oltre che superare le sopraccennate difficoltà, si eviterà di dover sacrificare coi successivi ampliamenti, o addirittura demolire, parti essenziali del nucleo costruito in primo tempo; ed il fabbricato si verrà adeguando naturalmente, senza sprechi, e senza brutture, alle progressive condizioni tecniche ed economiche che verranno verificandosi nel tempo. Del resto, la gradualità esecutiva del fabbricato poderale, risponde anche ad un meno oneroso processo di trasformazione e cioè al passaggio dallo stato attuale a quello voluto. Si ricorda che l’acceleramento della trasformazione è particolarmente un problema di disponibilità finanziaria. Ed ogni stato di fatto, ogni circostanza ed ogni opera preesistenti in luogo, che possono razionalmente utilizzati, possono costituire mezzo di minore onerosità finanziaria della trasformazione. Ora, si verificano molte delle zone ad economia latifondista considerate, circostante da tenere in particolar conto a quel fine: per esempio quella relativa a giornalieri ed avventizi che hanno la residenza permanente nel paese, donde raggiungono la sede del lavoro saltuario a richiesta dei proprietari, nelle aziende agrarie vicine e lontane.

Queste popolazioni, alle quali saranno assegnate nel prossimo domani le terre lottizzate, andranno a costituire i quadri dei piccoli proprietari coltivatori. Le più, abitano in case di affitto; altre, ne sono proprietarie. Sarebbe opportuno, e notevole agli effetti economici, poter utilizzare queste abitazioni nel primo periodo del processo di trasformazione come segue:

A – per un raggio conveniente intorno al paese, il terreno verrà lottizzato ed assegnato agli aspiranti proprietari-coltivatori, con residenza nel paese;

B – sul lotto assegnato, verrà costruito un primo nucleo di fabbricato colonico, progettato con i successivi ampliamenti, costituito da un ricovero per due o tre bovini ed eventualmente un equino, erbaio-mesticaio, locale per il letto del bifolco ed una trasanna per la rimessa degli attrezzi realizzata con materiale di fortuna.

L’azienda così formata, avrà il bestiame e la persona che lo cura fissati nel fondo, e potrà godere di tutti i benefici che da questa sistemazione derivano; mentre la famiglia, pur lavorando nel podere, avrà residenza temporanea nel villaggio. Man mano che i fabbricati colonici verranno ampliati, per l’accresciuto ritmo produttivo, i rapporti della famiglia con il fondo diverranno più stretti ed intensi, e questa lascerà la residenza del paese per quella del podere. Avverrà in questo modo un graduale trasferimento della popolazione dal paese alla campagna, bilanciato dal sorgere di attività artigiane e di commercio; e lo scopo della colonizzazione e della distribuzione delle genti agricole sarà più naturalmente raggiunto. Simili modi di «avviamento» graduale della residenza nel podere, sono stati per esempio suggeriti come necessari dallo stesso Serpieri, in casi considerati per la trasformazione fondiaria del Tavoliere (Cfr. Tipi di contratti rurali). È infine da aggiungere che in una bene organizzata attrezzatura di colonizzazione, sarà possibile affidare direttamente ai proprietari contadini (con adeguata assistenza tecnica direttiva) la costruzione e soprattutto i successivi ampliamenti. È un sistema suggerito da esperti bonificatori, e che riduce notevolmente le anticipazioni monetarie, valorizzando al massimo le capacità di «capitalizzazione del lavoro contadino»

La colonizzazione ad insediamento accentrato

Gruppo di aziende di colonizzazione per 22.000 ettari, con sede periferica presso l’abitato esistente

Al tipo di colonizzazione ad insediamento sparso fa riscontro, laddove particolari caratteristiche di ambiente ne determinano l’opportunità, il tipo di colonizzazione a insediamento raggruppato, e cioè con un centro che raccoglie gli edifici di servizio: civili, religiosi, di svago ecc. con insieme le dimore dei contadini conduttori-proprietari dei lotti circostanti, stabilmente fissativi in fabbricati rurali. Per tale specifico tipo di centro di servizio e demografico, è stato dal Mazzocchi Alemanni proposto il nome di «borgo residenziale». Il sorgere di simili borghi, dovrà essere regolato da un piano urbanistico generale che ne coordinerà e distribuirà i fabbricati pubblici, le abitazioni civili, le abitazioni rurali; isolate queste ultime, o a schiera o in condominio per più famiglie, e corredate (nel corpo del fabbricato o separatamente) dei ricoveri e accessori per gli allevamenti zootecnici. Le dimore contadine, isolate o in condominio, dovranno progettarsi in guisa da realizzare la massima libertà di movimenti per le famiglie coltivatrici e il relativo svolgersi delle loro varie attività. Un appezzamento di terreno ad orto e uno spazio (l’aia) per l’accumulo dei foraggi, della paglia del mangime per il pollaio ecc., sarà indispensabile per la maggiore possibile economia dell’azienda.

La sede del lavoro contadino sarà sui lotti di terreno circostanti al borgo e che, per evidenti ragioni di economia di tempo e di energie, dovranno essere compresi entro un determinato raggio (da 1 a 3 km) mentre la sede dell’allevamento zootecnico, come detto, sarà generalmente presso l’abitazione. Una adeguata viabilità, con strade a fondo massicciato o naturale o in terra stabilizzata, assicurerà il coordinamento e la funzionalità delle piccole aziende contadine e il loro collegamento col borgo a tutti i fini di comunicazione e trasporto. Evidentemente, l’influenza del borgo andrà diminuendo col progressivo distanziarsi dei lotti. La residenza accentrata ha un limite di convenienza spaziale, oltre il quale la rimanente superficie dovrà essere organizzata , col graduale allontanarsi dal borgo, sui tipi di insediamento orientati dapprima verso dimore plurime (quadripartite, tripartite e abbinate, a servizio di 4-3-2 lotti) per infine giungere al tipo di dimora isolata su alcuni poderi.

Ai limiti estremi della zona considerata, apposite dipendenze del borgo (sottoborghi di servizio, nuclei demografici) assicureranno le elementari necessità di vita ai lotti e poderi interessati; non potendosi pensare per evidenti ragioni finanziarie, ad una troppo fitta trama di completi borghi residenziali. Gradualmente, con l’evolversi economico-sociale della zona, queste dipendenze potranno man mano perfezionare la propria struttura finoa d assumere nel tempo le caratteristiche di veri e propri borghi residenziali. È altresì evidente che l’opportunità, o addirittura la necessità, di volgersi all’accennato tipo di insediamento raggruppato, verrà volta a volta determinata da particolari condizioni ed esigenze dell’ambiente. Tra esse, primeggiano: la rarità e distanza degli esistenti centri demografici, con conseguente deserticità intermedia; la necessità di ricorrere al tipo di lottizzazione minuta anziché a quello poderale;, l’obbligato accentramento di taluni servizi basilari, come quello del rifornimento idrico, ecc. In tali casi, tipicamente ricorrenti in zone ad economia latifondistica, il «borgo residenziale» rappresenta la più logica soluzione urbanistica. D’altronde, si daranno casi, e già se ne sono concretamente accertati nei territori di competenza dell’Ente, nei quali dovrà considerarsi l’opportuna compresenza di borghi residenziali e borghi di servizio, con lottizzazione circostante ai primi e appoderamento circostante ai secondi. L’essenziale è che, nell’un caso e nell’altro, si venga a determinare, attraverso la più appropriata realizzazione urbanistica, un logico e razionale popolamento del territorio, oggi latifondistico, sulla base di un adeguato vivere civile.

Azienda cooperativistica agro-pastorale

Foto F. Bottini

Uno dei pregiudizi ancora molto diffusi tra gli oppositori alla bonifica, trasformazione fondiaria e riforma, di territori a carattere latifondistico e tipicamente pastorale, è quello della presunta distruzione della industria armentizia a seguito degli accennati interventi trasformativi. Ormai però, la testimonianza incontrovertibile offerta da tutte le realizzazioni del genere, conforta appieno il contrario giudizio dei bonificatori. In realtà, la trasformazione fondiaria dei territori latifondistici, non ha mai significato sparizione e neppure, generalmente, diminuzione dell’allevamento ovino. E basti qui ricordare la rapida e intensa realizzazione bonificatoria dello agro-pontino; e la lenta ma vasta trasformazione dell’agro romano dove, pur con la estrema riduzione dell’80% dei vecchi pascoli, il numero dei capi ovini non solo non è diminuito, ma è notevolmente aumentato. Non, dunque, sparizione di una industria altamente redditizia, ma solo sostituzione di nuovi modi e di una nuova tecnica alle vecchie forme organizzative di quell’industria.

Tali considerazioni, hanno particolare valore per i territori dove sta operando l’Ente della Maremma. Parecchie zone di tali territori si trovano infatti nelle tipiche condizioni dell’economia latifondistica pastorale, per le quali maggiormente si appuntano le obiezioni sopra accennate, le quali obiezioni, pur non avendo affatto valore determinante ad orientare la trasformazione fondiaria verso indirizzi non confacenti alle finalità economico-sociali che ne hanno deciso la realizzazione, possono tuttavia tenersi in qualche relativa considerazione, solo ed in quanto per talune di dette zone non sia possibile, per ragioni varie, instaurare una agricoltura intensiva specialmente a mezzo del sussidio irrigatorio. Ivi, in effetto, può pensarsi che la pecora possa ancora sostenere un efficiente ruolo ad integrazione dello stesso graduale colonizzamento. Per tali considerazioni e limitatamente a quelle zone che dovranno più lentamente essere trasformate e che non sono passibili di intensa trasformazione colturale, si è ritenuto opportuno fare qui un breve cenno su un tipo di azienda cooperativistica studiata da uno degli scriventi, il Milletti.

Si prende in esame in tale studio una azienda estensiva di 100 ettari di seminativi di cui il 50% investito a coltura cerealicola e sulla quale vivono attualmente 2.500-3.000 ovini, con una media ad ettaro pascolivo di 5-6 capi. In tale tipo di azienda si pensa di conservare lo stesso nuemro di capi a tipo transumante. Si darà così luogo alla costituzione di una azienda agro-pastorale, riducendo il pascolo e migliorandolo, così che il carico di pecore possa salire a 10 o 12 capi per ettaro; mentre anche il grado di occupazione umana verrà notevolmente incrementato. La trasformazione avverrà per gradi, man mano che le attrezzature produttive delle aziende contadine si renderanno più intense, le superfici utilizzate dalla pecora si andranno restringendo,; mentre si verrà sistemando colturalmente la parte di terreno destinata specificamente al tipo agro-pastorale, mantenendovisi per intero durante l’autunno-inverno l’accennato gregge di 2.500-3.000 capi.

La conduzione più appropriata sarà la forma cooperativa tra armentari-pastori e lavoratori dell’azienda, del tutto equiparabile ed una cooperativa, di lavoratori di coltivatori diretti. Circa 3/10 della superficie, cioè intorno ai 300 ettari e non dei migliori, può essere sufficiente al mantenimento del gregge sopra detto. La colonizzazione si svolgerà in circa 7/10 della superficie, con la creazione di un numero di aziende contadine determinato dalla loro ampiezza. Durante la fase di realizzazione di questa trasformazione la pecora potrà anche oltretutto utilizzare le risorse di pascolo offerto nell’autunno e nell’inverno dai prati e dagli erbai che i coloni verranno impiantando, procurando così un reddito sensibile per la migliore e più sicura affermazione delle stesse unità poderali. Il nuovo aspetto che verrà ad avere l’allevamento ovino avrà in sé le condizioni per armonizzarsi stabilmente con il processo evolutivo della agricoltura.

Per quanto concerne gli insediamenti e le attrezzature per l’azienda agro-pastorale collettiva con allevamento transumante o stabile, queste dovranno essere concepite nella maniera più razionale ma realizzate gradatamente. Tali attrezzature saranno costituite: dal ricovero degli ovini; da un mungitorio con recinti di legno; da una tettoia per la rimessa dei carretti, basti, bardelle, finimenti ed attrezzi agricoli; da una stalla per bovini; da silo per foraggi; da una magazzino per la conservazione dei prodotti raccolti e da somministrare ai terreni, sementi ecc.; da una abitazione collettiva per i pastori; da abitazioni singole per le famiglie coltivatrici che hanno fissa dimora, riunite od isolate; stalle per suini da ingrasso; da un recinto per la tosatura e pesatura, da un recinto per la separazione delle bestie.

Il Fucino

Tutte le considerazioni che si sono precedentemente svolte, valgono in genere anche per la zona del Fucino, ma naturalmente adeguandole alle particolari condizioni di quel comprensorio. Tra le quali condizioni, particolare importanza hanno a nostro avviso, dal punto di vista urbanistico, tre fatti specifici. E sono: anzitutto, il fatto di un territorio pressoché sprovvisto nel suo interno di qualsiasi tipo di insediamento (vi è una breve eccezione di appoderamento nella zona sud-est, oltre a due centri aziendali). Secondo: il fatto di essere tale territorio circondato da tipici agglomerati demografici lungo la sua periferia (oltre una diecina), nei quali risiedono tutti i coltivatori del comprensorio. Infine, il prefissato sistema di una minuta lottizzazione (ad eccezione della zona appoderata) che costituisce il modo su cui oggi è basata, per direttive superiori, la redistribuzione del territorio ai contadini. E si tenga presente che tale redistribuzione si estrinseca in ampiezze di lotti di un solo ettaro nella gran maggioranza dei casi, e di 2 a 5 ettari per la minor parte.

il Fucino

In tale condizione, sembrerebbe illogico e d’altronde estremamente gravoso, pensare a un tipo predominante di insediamento sparso con la casa sopra ciascun lotto. Potrebbe pensarsi a dimore a struttura plurima e costituenti così dei piccoli nuclei di insediamento demografico; ma a noi sembra anche che un simile ripiego sia, salvo eccezioni localizzate, da scartare assolutamente soprattutto per la cristallizzazione che esso determinerebbe nel tempo a pregiudizio di eventuali future possibili soluzioni associative nel settore della conduzione. Per tali ragioni, e per i criteri generali che abbiamo precedentemente esposto, ci è sembrato opportuno suggerire come largamente prevalente il tipo di insediamento accentrato, attraverso la costituzione di qualche «borgo residenziale». Se ne sono suggeriti tre, di cui uno, quello al centro, strutturalmente e demograficamente più importante e completo; gli altri due, alquanto ridotti. Per la zona appoderata, basterà costituire un piccolo nucleo di servizi nel mezzo di essa. A voler giudicare criticamente, si potrebbe obiettare che il raggio di azione dei nuovi borghi, in rapporto altresì a quello dei centri già esistenti (e cioè da 2,5 a 3 km) sia un raggio eccessivo. Ma si può controbbiettare che, data la giacitura tutta piana del territorio, data la rete noveloe di strade esistentevi e in programmazione, e dato d’altronde la particolare giacitura della zona cosiddetta del «bacinetto», si è ritenuto utile non eccedere nel numero dei centri, almeno fondamentali, in relazione evidentemente anche al notevole gravame finanziario che ciò comporterebbe.

Brevi considerazioni sulla edilizia rurale

L’economia e la tecnica del fabbricare, si presentano di frequente al progettista come istanze antitetiche; sicché il raggiungere una accettabile loro posizione di equilibrio, richiede spesso un lungo studio ed un attento operare per approssimazioni successive. Ma a raggiungere ciò, è premessa indispensabile la perfetta conoscenza da parte del progettista: degli scopi e delle funzioni del fabbricato per la sua migliore ed integrale attuazione; dei vari materiali da costruzione e della loro qualità per il più appropriato uso; dell’incidenza dei trasporti; dei caratteri del terreno specie per quanto attiene alla sua stabilità; dei costi comparati delle varie strutture atte ad identiche soluzioni; della tecnica costruttiva meglio rispondente in luogo onde edificare a regola d’arte; infine, ed è essenziale, alla più rispondente organizzazione del lavoro. I tecnici delle costruzioni urbane possono, spesso, anche non spingere la ricerca al limite massimo di economia, in quanto il fabbricato cittadino è fine a sé stesso e si esaurisce nell’ambito delle possibilità della famiglia o di più famiglie, per il soddisfacimento di necessità residenziali e di determinate esigenze spirituali e voluttuarie.

Per l’agronomo, è altra cosa. Esso deve affinare la ricerca, perché la costruzione rurale, oltre che essere legata ai principi tecnici e psicologici dell’abitare, costituisce anche e particolarmente un mezzo di lavoro e di produzione in ambienti spesso ad economia povera; e non può non essere correlata alle possibilità produttive dell’azienda e al tornaconto monetario dell’impresa agraria, anche se influenzata dalle istanze sociali e dal loro naturale evolversi. E poiché, come si è visto, resta estremamente difficile raggiungere il già accennato equilibrio economia-funzionalità, resta sempre che la soluzione di detto equilibrio sta essenzialmente – non è inutile ripeterlo – in una aderente scelta dei tempi costruttivi, e cioè in una distensione temporale, organica e coordinata, onde graduarne le successive realizzazioni.

Per i fabbricati rurali, avviene che economisti, politici, tecnici ingegneri e della estetica edilizia, esigano, ciascuno secondo il suo specifico punto di vista, la massima esaltazione dei principi a ciascun d’essi propri e specificamente legati al loro soggettivo modo di interpretazione di quella edilizia. Indubbiamente, ognuno di tali tecnici ha le sue valide ragioni legate ad istanze che non sono in sé stesse discutibili, ma che occorre (ed in ciò sta la difficoltà) coacervamente concretare nella maggiore possibile armonia economica e funzionale, in strettissimo rapporto con l’ordinamento colturale e zootecnico, con le esigenze dell’uomo, con la produttività aziendale considerata nella sua attualità e nella sua potenzialità avvenire. Ogni spazio del fabbricato ed ogni servizio deve soddisfare ad esigenze che sono in relazione ad altri spazi e ad altri servizi; nonché a necessità correlate a fattori tecnici e produttivi dell’azienda; mentre ogni motivo architettonico da doversi tener presente, resta interdipendente alla influenza e alla ispirazione del paesaggio. Solo a tali condizioni potrà essere risolta, in armonica proporzione, la perfetta organicità tecnica economica psicologica del costruire rurale. È indubbio che, d’altronde, l’imposta economia e la conseguente necessità di graduare nel tempo la costruzione, rendono le soluzioni sempre più complesse ed ardue. D’onde la tante volte insistita necessità di una perfetta conoscenza da parte del progettista di tutti i fatti che interessano la famiglia e il processo produttivo aziendale.

Conoscenza da viversi in luogo, e da costituire base preliminare e fondamentale onde potere e sapere utilizzare, in aderenza alla forma mentis del colono e al suo possibile evolversi, ogni più piccola risorsa della tecnica e della fantasia, dal sapiente utilizzo spaziale (mobili incassati nei muri, letti addossati alle pareti o sovrapposti, nicchie per attaccapanni e per gioghi e altri arnesi di stalla), al silo per la conservazione del grano ed altre derrate, alla tettoia erbaio-mesticaio-trinciatura, alla struttura del tetto-soffitto; di ogni accorgimento, insomma, atto ad agevolare i lavori ed a risparmiare tempo. Così è necessario il paziente studio per la determinazione più conveniente circa la costruzione ad uno o a due piani in relazione all’economia, all’igiene, all’estetica; per la scelta della scala esterna od interna; per la precisazione del primo nucleo di fabbricati e i modi del loro successivo ampliamento, orizzontale o verticale; tutto ciò, onde raggiungere la soluzione più conveniente e insieme più decorosa, che contribuisca a creare nella zona un tono di più alta armonia anche in appagamento di valori estetici e spirituali. Nell’edilizia rurale, insomma, valgono particolarmente la perfetta conoscenza delle funzioni economico-produttive e umane da soddisfare, la più attenta osservazione della realtà, la più acuta sensibilità interpretativa dello ambiente, la capacità di sapersi orientare verso un graduale elevamento dello stato di vita del contadino, senza superfluità inutili, ma realizzando nel contempo il necessario decoro e la necessaria funzionalità, aderenti ad una civile dignità.

da: Esperienze urbanistiche in Italia, Roma, INU 1952

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