Strategie di «de-marketing» territoriale

Applicando i principi dell’orientamento dei meccanismi di mercato, il concetto di marketing territoriale si focalizza sulla costruzione di una immagine positiva di un luogo, attraverso la selezione di alcuni fattori caratterizzanti rivolti a un pubblico particolare, pubblicizzati commercialmente attraverso i canali adeguati. Là dove si rilevano immagini di tipo negativo, si tratta di applicare strategie efficaci per migliorarle, dato che è poco auspicabile comunicare negatività. Alcune ricerche sostengono comunque che concentrarsi esclusivamente sul miglioramento dell’immagine di un luogo non è l’unico modo di agire: esistono situazioni in cui può essere invece adeguato sottolineare aspetti negativi. E a seconda dei contesti, si delineano così le possibili azioni di demarketing «mirate ad allontanare l’interesse, i visitatori, gli investimenti, da un dato luogo». Il nostro studio intende approfondire proprio questa definizione.

Si individuano anche varie motivazioni e azioni, per operare un demarketing, a seconda degli specifici contesti. In primo luogo si distinguono essenzialmente una forma attiva e una passiva. Demarketing passivo è quanto si manifesta in molte diverse situazioni, oltre che rilevatamente implicito nella segmentazione, focalizzazione, posizionamento. Può trattarsi di un approccio generale (non si promuove attivamente un luogo ai potenziali visitatori perché già dotato di una propria come si dice «immagine più che attrattiva») o più selettivo. In questo secondo caso, restringendosi ad alcune caratteristiche e alcune tipologie di visitatori o operatori, ne segue implicitamente un demarketing di fatto verso gli altri.

Per contro c’è il demarketing attivo dei luoghi. Seguendo il principio generale della strategia così come fissato nel 1971 da Kotler and Levy, che ne ipotizzavano un uso temporaneo, alcuni studi rilevano come venga applicato su un discrezionale arco di tempo, spesso per gestire o prevenire qualche tipo di crisi. Ne è un esempio la «crisi della mucca pazza» sanitaria del 2001, quando nel Regno Unito molte autorità centrali e locali attivamente scoraggiavano le visite in campagna. Con una tale efficacia della propaganda, confermata poi dagli enormi sforzi successivi di ri-promozione dopo la crisi sanitaria, quando si manifestavano evidenti i danni all’economia rurale. Le ricerche individuano anche un’altra forma di demarketing attivo: quello messo in campo per esempio da varie agenzie nei confronti di alcuni luoghi. Come quando certi governi nazionali avvertono i propri cittadini di non recarsi da qualche parte. Parlando specificamente di turismo si osserva come questo metodo «venga oggi usato inconsapevolmente, ma non ancora riconosciuto né attivamente utilizzato come strumento di governo».

[…]

Le attività di demarketing possono corrispondere a una quantità di logiche diverse, e strumenti diversi. L’una non esclude l’altra, e su un unico luogo è possibile applicarne simultaneamente varie, o variarne nel tempo a seconda del contesto di riferimento. La ricerca individua anche questioni che possono essere prese in considerazione dagli operatori, e ostacoli che si possono incontrare ma superare. Già nella primissima teorizzazione del demarketing se ne individuano tre possibili manifestazioni: generale, selettivo, dimostrativo. Le nostre verifiche nelle pratiche di de-promozione territoriale non rilevano casi della terza manifestazione, anche se non ne escludiamo a priori la possibilità, specie per esempio là dove si scoraggi il turismo per rafforzare una aura di «esclusività», a sua volta elemento mirato di attrazione. Le manifestazioni generali e selettive, verificate sul territorio, sarebbero utilmente inquadrabili non tanto come alternative le une alle altre, ma in quanto polarità opposte di un continuum di de-promozione territoriale. Non svolgere alcuna azione di marketing, e limitare l’accessibilità, si possono considerare generali nell’applicazione, perché interessano tutti gli utenti/visitatori di quel luogo. Per contro, altre strategie comprendono in maggiore o minor quantità elementi di demarketing selettivo. Ad esempio il promuovere posti alternativi, non informare sui luoghi, meccanismi di controllo dei prezzi (in certi casi) specificamente rivolti ad alcuni gruppi o fasce. Selettività che si può graduare sia nel tempo (stagionalmente o in momenti alta-bassa affluenza) sia verso fasce diverse a cui orientale il messaggio de-promozionale.

Per quanto riguarda la logica sottesa alle strategie di demarketing territoriale che abbiamo verificato nella ricerca locale sul Regno Unito [la parte delle interviste a testimoni privilegiati tra le altre esclusa da questo estratto n.d.t.] si possono dedurre alcune osservazioni e implicazioni di ordine gestionale. In primo luogo emerge come si possano utilizzare simultaneamente più strategie diverse. Nel caso delle aree rurali già citato per l’emergenza sanitaria della «mucca pazza» del 2001, vennero usati sia strumenti di comunicazione che di limitazione degli accessi. Secondo, mescolare vari approcci in un luogo dipende da tipo di «prodotto» che si è scelto di promuovere/de-promuovere, da cosa si vuol rendere disponibile. Si è rilevato come l’attività di demarketing su un territorio fosse orientata ad arginare gli effetti di sovraccarico delle strutture del turismo stagionale estivo. Scelta che a sua volta si collegava al promuovere la località come meta autunnale/invernale destinando a quel fronte comunicativo una parte delle risorse disponibili.

In terzo luogo va menzionato il fattore tempo, essenziale nel demarketing, che risulta una strategia adeguata solo per certi territori e in certi momenti (per esempio rispondendo a una crisi), o applicabile ciclicamente (la gestione stagionale dei flussi), e a volte anche in forma stabile. Seguendo la teoria dei moderatori ambientali che influenzano l’efficacia dell’orientamento di marketing, le particolarità di contesto di un territorio possono avere diversi impatti su efficacia e dispiegamento del demarketing. Moderatori ambientali che si presentano in due forme. Quelle generali dall’abbondanza di risorse, naturali o di altro genere, che rendono il luogo attrattivo e necessitano di qualche forma di programmazione per mantenerne i caratteri. La seconda forma è quella dei moderatori specifici, che nascono dalle esigenze di una particolare crisi, o da andamenti ciclici, come quello della stagionalità, e hanno obiettivi di periodo limitato.

Lo schema riassunto dall’immagine [si può ingrandire n.d.t.] raffigura il processo di demarketing territoriale. Sul lato destro si vede come le qualità del luogo e i moderatori alimentino le logiche dell’attività di demarketing territoriale (per esempio assicurando la sostenibilità del prodotto-luogo, segmentazione e obiettivi di mercato, riduzione degli effetti di stagionalità, prevenendo e gestendo le crisi). Indica anche, la fascia destra dello schema, come per conseguire i principali obiettivi stabiliti, gli enti possano dispiegare varie opzioni (dalla non-promozione, alla promozione di località alternative, al demarketing informativo, limitazione degli accessi, politiche dei prezzi. Nell’attuazione delle strategie si deve operare un monitoraggio e aggiustamento continuo, ragionando sugli effetti dispiegati nel territorio. Si tratta di un processo interattivo, dove alle valutazioni possono corrispondere modifiche delle logiche di demarketing e implementazione.

Sin qui, alcune conclusioni di carattere puramente gestionale del processo. Ma il marketing e demarketing territoriale pongono anche la questione di un approccio territoriale critico. Ci riferiamo in particolare alla rappresentazione dei luoghi, a quanto essa sia consensuale. Parlando di demarketing è un aspetto particolarmente importante. È stato dimostrato come l’azione de-promozionale di un territorio da parte di un gruppo di interessi possa non essere affatto condivisa da altri per cui è inutile. Un esempio è ancora quello della crisi della «mucca pazza». Dove l’azione di una serie di soggetti portatori di interessi molto generali ha condotto a pratiche di demarketing delle campagne rappresentando i territori come luoghi da cui tenersi lontani, dove c’erano solo montagne di cadaveri al rogo. Dal mondo delle piccole e medie imprese interessate, questa immagine è stata percepita come troppo allarmistica e in grado di mettere a repentaglio attività e posti di lavoro. Il che pone il problema di chi debba decidere le pratiche di promozione/de-promozione, oltre che l’equilibrio più generale dei poteri sul territorio. Argomento già ampiamente trattato dalle discipline geografiche anche se secondo differenti prospettive.

Vista l’enorme quantità di portatori interessi che possono essere coinvolti in un processo di demarketing territoriale, con obiettivi diversi tra loro e anche in aperto conflitto, appare critico l’aspetto della comunicazione e consultazione. Pare altresì essenziale che questa comunicazione-consultazione si allarghi anche ai rapporti tra portatori di interessi ed enti responsabili della de-promozione. In primo luogo per allargare la consapevolezza della necessità di queste politiche, e in secondo luogo per cercare sostegno e collaborazione nel modularle: la fascia sinistra dello schema riassume l’importanza di tutti questi aspetti.

Logica e strategie di demarketing territoriale possono ovviamente essere considerate, nella prospettiva qui esposta, piuttosto semplificate rispetto a specifiche esigenze di un luogo. Ma si tratta comunque, riteniamo, di un utile punto di partenza per studi ulteriori in quello che è un campo sinora poco noto della promozione territoriale. Ma già alcune idee e concetti possono essere di aiuto agli operatori (agenzie turistiche a vari livelli, amministrazioni locali, manager urbani) per considerare l’adeguatezza o meno, utilità o meno, di azioni di demarketing, oggi o eventualmente in futuro.

da: Journal of Marketing Management, Vol. 27, n. 1–2, febbraio 2011 – titolo originale: Demarketing places: Rationales and strategies – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini
Eventualmente, per ovvi motivi di copyright, la versione originale integrale (che comprende una introduzione generale teorica e la sezione delle interviste incrociate ai testimoni privilegiati locali, oltre ai brani estratti e tradotti qui), può essere chiesta in visione via email alla Città Conquistatrice  

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