Auto senza pilota e commentatori senza cervello

driverless_carNon c’è peggior cieco di chi non vuol vedere, ma per fortuna la natura ci viene in soccorso con la versione modificata postmoderna di questo classicissimo supercieco: quello che fa finta di non vedere perché si vergogna a raccontare quel che vede. Ma le bugie hanno le gambe corte, soprattutto se nel tentativo di raccontarle in modo assai argomentato ci si espone troppo, ad esempio usando il metodo del riferimento, del rinvio ad altre visioni, del proporre un panorama vario e articolato, necessariamente contraddittorio di per sé. La bugia per funzionare ha bisogno di essere bella grossa, e mantenere chi la ascolta nelle tenebre assolute, altrimenti dura poco: giusto il tempo che serve per dare un’occhiata a quel paesaggio di sfondo, e scoprirne i particolari contrastanti. I futurologi da strapazzo sulla città e il territorio del terzo millennio non sfuggono a questo schema: ci sono i rozzi spudorati mentitori punto e basta (vuoi in malafede, vuoi perché sono proprio cretini e spappagallano la menzogna altrui), ma poi a soccorrerci arriva l’involontario raggio di verità proiettato dai loro colleghi più riflessivi, quelli che raccontano la balla contestuale. Il grande universo di riferimento è sempre quello, apparentemente immutabile, della dialettica città-campagna declinata nella versione novecentesca metropoli-suburbio.

Illusioni perdute e riguadagnate

Il riassunto delle puntate precedenti, da questo punto di vista, si riduce alla pura formula «economia dei consumi» declinata secondo il solido assunto materiale novecentesco. Come noto, consumismo non sta affatto a significare arraffamento frenetico di ogni prodotto possibile e immaginabile, ma semplicemente orientare ogni aspetto di identità e promozione sociale all’individuale possesso o uso di qualcosa, di molte, moltissime cose. Andiamo avanti da parecchie generazioni in questo modo, anche per aspetti che mai e poi mai la media delle persone si immaginerebbe, e che considera semplicemente corollario dell’esistenza. Un magnifico riassunto di questo strabismo indotto, è quando certi commentatori – di area direttamente immobiliarista, ma non solo – si riferiscono al cosiddetto American Dream identificandolo con la casetta con giardino, contenitore ideale di tutto il resto. Cioè, rivediamo un istante: il sogno non sarebbe tanto la felicità promessa dalla Costituzione, ma la comoda scatola dentro cui idealmente stipare tutto quanto poi garantisce quella felicità. Una balla colossale, la menzogna primigenia di chiara origine piazzistica, ma la posta in gioco era alta, nientepopodimeno che lo sviluppo nazionale (ovvero in prospettiva la famosa felicità), e secondo molti ne valeva la pena. La casetta equivale a privacy familiare, e la migliore privacy sta nell’isolarsi, anche nell’isolare la fruizione di beni e servizi, e da qui il proliferare di tutto quanto in versione individuale, dal mezzo di trasporto allo schermo cinematografico. Si alimentano i consumi, è il consumismo, è la felicità. Balle.

Il panico degli investitori

Ma le balle bisogna anche saperle raccontare, e il modo peggiore per rivelarle come tali è sempre di entrare in troppi dettagli, anche se lo si fa con l’intento contrario, di rafforzarle e contestualizzarle. Il diavolo si annida nei dettagli, e illuminarli finisce per scatenare dubbi, ad esempio sulla reale natura del modello hipster: perché ce l’hanno con quel povero consumista dichiarato ed estremo, che identifica sé stesso al 100% proprio coi suoi negozietti trendy, i suoi cibi finto esotici, l’abbigliamento casual ma firmato, i quartierini che fanno alzare il valore immobiliare per un raggio di centinaia di metri attorno senza spostare un mattone? La risposta è ancora più contraddittoria: l’hipster non va bene perché è solo una breve, brevissima fase che la generazione dei millennial attraversa nel suo cammino verso la felicità dell’American Dream, che deve consistere nella casetta suburbana familiare da cui poi si diparte tutto il resto. Punto! Ma qui i nostri stanno addirittura negando il mercato, il sacro mercato della domanda e offerta, cadono in palese contraddizione, e più particolari aggiungono più si scoprono a destra e a sinistra. È ormai chiaro che stanno facendo il possibile per non allarmare gli investitori più tradizionali e maggioritari, come in questo illuminante pezzo sul Wall Street Journal, dove si ribadisce (condendo di scivolosi dettagli) che la driverless car promuoverà, anziché scoraggiare, l’espansione suburbana. Ti ho beccato, maledetto bugiardo! laugh

Riferimenti:
Christopher Mims, Driverless Cars to Fuel Suburban Sprawl, The Wall Street Journal, 20 giugno 2016

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