Come dovrebbe essere una città abitabile? (2008)

Crescono oggi in modo allarmante gli effetti distruttivi sulla qualità di vita urbana dell’anteporre a qualunque altra cosa il perseguimento del profitto capitalistico:

• Le moderne città capitaliste sono totalmente dominate da auto e camion. Ciò conduce a un massiccio inquinamento pericoloso per la vita, alla vasta rete di strade e parcheggi che solcano come cicatrici il paesaggio urbano. La gente abita sui sole circondate da mari d’asfalto e cemento: il 40% o più delle superfici urbane è asfaltato o cementificato. La città si costruisce un proprio clima, più caldo.
• Gli stessi veicoli o motore uccidono direttamente o mutilano ogni anno un gran numero di persone; e molte di più muoiono per l’inquinamento. Le emissioni dei veicoli contribuiscono moltissimo ai gas serra e al cambiamento climatico, catastrofe definitiva che minaccia l’umanità.
• I sistemi di trasporto pubblico sono deboli, e occupano una posizione di secondo piano rispetto all’automobile. In modo simile, la gran massa delle merci è trasportata dai camion e non in ferrovia.
• I costruttori, sostenuti dai governi, hanno creato il terrificante
sprawl urbano con tutte le sue conseguenze ecologiche e sociali (sottrazione di terre agricole, enormi distanze fra casa e lavoro ecc). Il termine “costruttori” è un patetico eufemismo: descrizione più precisa sarebbe quella di squali capitalisti.
• E adesso, in nome del rafforzamento urbano, gli stessi costruttori vengono sostenuti nella realizzazione dei loro pessimi scatoloni, ovunque e comunque.

• Guardiamo poi a cosa effettivamente costruiscono. Case ed edifici moderni in genere non solo sono difficili da gestire, ma ecologicamente dispersivi e spesso notevolmente malsani (le emissioni dai materiali da costruzione, plastiche e sostanze chimiche per la pulizia). Potrebbero essere progettati in modo diverso: si potrebbero avere facilmente abitazioni ecologicamente sensibili invece delle attuali sprecone “McMansions” preferite dall’industria delle costruzioni.
• Nelle città, le superfici di proprietà pubblica — per quanto modeste — vengono continuamente cedute e divorate in combutta con amministrazioni locali e governi.
• Non solo i prezzi delle case lievitano ben oltre la portata della maggioranza dei lavoratori, ma sta anche crescendo rapidamente la quantità dei senzatetto (stimati in oltre 100.000 a livello nazionale) perché il governo si rifiuta di costruire case pubbliche e si rivolge al mercato per la soluzione di qualunque problema (preferendo dare sussidi alle persone che poi affittano da proprietari privati).
• I centri commerciali (
mall o supermercati) dominano la vita delle città. Spazzano via i negozi di vicinato e obbligano la gente a usare l’automobile per fare spesa. Queste gigantesche amebe sono solo il risultato della sete capitalistica di profitto: si presentano a noi come cose normali della nostra vita, ma non si chiede mai alla gente di discutere di cosa c’è davvero bisogno. Inoltre, l’ubiquo shopping mall rappresenta una grave privatizzazione dello spazio sociale: dobbiamo utilizzarli perché svolgono una funzione sociale, ma accesso e controllo sono totalmente nelle mani dei loro privati proprietari. Al posto dei negozi di vicinato uccisi da supermercati e centri commerciali, nascono i piccoli negozi delle grandi catene (come 7-11, Coles Express, o i mercatini delle stazioni di servizio) che offrono prodotti di immediata utilità a prezzi molto più alti.


• Nella città si gonfiano mostruosamente il centro (traboccante di edifici davvero brutti, che sgomitano per aggiudicarsi una posizione) e il desolato deserto delle infinite periferie.
• Negli anni ’60 la parola d’ordine era “decentramento”. I governi sostenevano modesti spostamenti di servizi e attività produttive verso centri regionali. Ma oggi centri minori e villaggi muoiono col taglio dei servizi, dei posti di lavoro, delle agenzie bancarie locali. Con l’effetto moltiplicatore dello spostamento verso la città (o comunque un centro di maggiore importanza) e l’intensificarsi della crisi rurale.
• C’è un movimento di ritorno verso alcuni centri regionali ma – secondo il meraviglioso sistema capitalistico che ci ritroviamo — esso si trasforma in una orribile caricatura di ciò di cui ci sarebbe davvero bisogno. Ceti ricchi e agiati costruiscono case vacanza nelle cittadine della costa, spingendo in alto i prezzi e rendendo la vita impossibile ai comuni pensionati e inquilini della classe lavoratrice, che devono trasferirsi altrove.

Crisi petrolifera e cambiamento climatico

Oltre a tutto questo, con la sempre maggiore consapevolezza della crisi petrolifera, dell’avvicinarsi della fine di questa risorsa limitata che ha impiegato milioni di anni ad accumularsi, si mette a nudo la fragilità della città moderna. Il film The End of Suburbia mostra molto bene come il suburbio americano sia stato realizzato attorno all’automobile. Se scompare il veicolo a motore così come lo conosciamo — se non può più essere la forma prevalente per il trasporto di massa — allora lo sprawl urbano diventa ancora più ingestibile, e si fa più disperatamente urgente un modello di vita alternativo.
Il modo simile, il cambiamento climatico pone un grosso interrogative alla città moderna. Operare drasticamente per la riduzione delle emissioni di gas serra è una questione di vita o di morte.
In Australia, la manifestazione forse più drammatica del cambiamento climatico per le città è l’incertezza nella disponibilità di acqua. Quella del raggiungimento della certezza e sostenibilità per l’acqua è una questione scottante. Al momento, la principale risposta dei governi statali e di quello federale è stata per grandi e costosi progetti (nel Victoria, un impianto di desalinizzazione e una condotta di collegamento che prende acqua dalle già scarse risorse dell’area irrigua Murray-Goulburn a nord, già colpita dalla siccità).
Come si può intuire, risposte del genere non affrontano il vero problema, e in realtà peggioreranno le cose. Per esempio, il progetto dell’impianto di desalinizzazione in Victoria sarà una grossa fonte di emissione di gas serra.

Complessivamente, il cambiamento climatico chiama in causa molti aspetti della nostra attuale esistenza urbana.
• La cultura dei veicolo a motore che ci è stata imposta dai grandi interessi economici non è più valida (se mai lo è stata). Se non sarà eliminata di fatto dall’esaurirsi delle risorse di carburanti coi costi del petrolio sempre più elevate, lo farà di certo il cambiamento climatico.
Si dovranno sviluppare sistemi di trasporto pubblico per sostituirla.
• Lo sprawl urbano che caratterizza in modo particolare le principali città australiane — e che obbliga le persone a superare lunghe distanze per andare al lavoro — dovrà lasciar posto a qualche nuova forma di concentrazione. Vanno superati il tipo di sviluppo dei centri e la desolazione di gran parte delle periferie. Una migliore distribuzione dei posti di lavoro significherà che le persone non devono più superare lunghe distanze.
• Col tempo il feticcio del lotto da mille metri quadrati — che corrisponde alla famiglia con auto propria — inizierà a rarefarsi e poi a scomparire del tutto, man mano si comprenderà come un abitare più vicini, con spazi pubblici di qualità migliore (verde, trasporti, servizi) possa offrire molto di più (come avviene in alcune città europee).

• Così come sono realizzati oggi, le nostre case e gli altri edifici comportano enormi quantità di acqua e energia, e considerevoli emissioni di gas serra. Inoltre, la loro gestione si caratterizza per insostenibili consumi idrici ed energetici.
• Il cambiamento climatico metterà a rischio le nostre fonti alimentari. Che cibi consumiamo, il modo in cui vengono trasportati e distribuiti, diventeranno questioni importanti. Oltre a trovare il modo di garantirci la sicurezza alimentare, sarà di importanza vitale ridurre l’acqua ed energia consumate sull’intero arco del processo.
• Occorre una migliore distribuzione della popolazione nelle campagne. Quanto meno, le città devono diventare più piccole, e crescere i centri minori nella campagna. Ma, a differenza di quanto avviene oggi, questo deve accadere in modo tale da trasferire anche attività economiche e servizi, garantire accessibilità coi trasporti e comunità vitali. Col tempo, scompariranno il tradizionale isolamento delle campagne, e insieme il bubbone rigonfio della città centrale.
In questo senso, i socialisti rifiutano l’attuale modello, indotto dai costruttori, dei nuovi insediamenti residenziali che si divorano spazi verdi e preziose terre agricole, per creare ghetti di
McMansion nelle fasce più esterne delle città, isolati e con pochi servizi, una vera trappola per chi ha meno possibilità di muoversi, e un carico enorme per chi deve coprire lunghe distanze per andare al lavoro. Possiamo sicuramente escogitare qualcosa di meglio.

Abbandonare l’opulenza?

Per inciso, Ted Trainer, nel suo libro del 1985, Abandon Affluence, diceva cose molto interessanti sulla città moderna. Ma la sua impostazione ambientalista radicale, non marxista, guastava molto quelle utili intuizioni.
Si individuava il “sovra-consumo” dell’Occidente come origine della crisi ecologica globale.
Nel libro, tutto ruota attorno alla riduzione dei consumi.
I marxisti, naturalmente, non vedono la questione fondamentale nel “sovra-consumo”, ma nella spinta capitalistica al profitto innanzi tutto; il raggiungimento di una certa disponibilità materiale è essenziale, se l’umanità vuole superare il conflitto di classe e raggiungere pienamente il comunismo. Con a tecnologia moderna, è possibile conseguire questa relativa abbondanza materiale e — intervenendo sui processi produttivi ed eliminando la logica di spreco della produzione e società capitalistica – al tempo stesso ridurre efficacemente e fortemente la nostra impronta ecologica.
Certo si può affermare che in generale l’Occidente consuma troppe risorse, ma ciò oscura la realtà della divisione in classi della società, il fatto che una larga parte della popolazione consuma assai poco. Ad esempio, negli Stati Uniti esiste un gigantesco Terzo Mondo, che consuma pochissimo per le necessità della vita. Non sono certo loro i responsabili della sconfinata eccezione Usa: quella deve essere certamente addossata alla plutocrazia capitalistica dominante.
Se ci opponiamo allo spreco di risorse, se anche noi siamo contro il consumismo capitalista, porre il problema in termini di riduzione dei consumi in quanto tale è sbagliato, e sarebbe politicamente suicida per il movimento socialista. Ad esempio, i supermercati, con tutte le loro forme di organizzazione capitalistiche, rappresentano un enorme risparmio di tempo e fatica. La liberazione della donna e dell’intera classe lavoratrice ha molti aspetti: uno dei quali è la riduzione al minimo del duro lavoro.
Vogliamo superare il capitalismo, non tornare indietro.
La città del futuro prospettata da Trainer, ha un’atmosfera molto chiaramente reazionaria, feudale, labour-intensive, ma ammessa questa debolezza di fondo, quella che ci dipinge è una stimolante provocatoria immagine di nuova città, dove si sono eliminate strade e superstrade, al posto delle fabbriche crescono orti, ecc.

La bestia mostruosa con cui conviviamo

Rendere le nostre città abitabili, e affrontare la crisi petrolifera, il cambiamento climatico, la sostenibilità, sono in realtà la medesima cosa.
Idealmente, ci sarebbe di sviluppare un ampio dibattito, predisporre un piano razionale, e organizzarci per metterlo in pratica. Se fossimo, diciamo, una piccola comunità dei tempi antichi, che vive prima dello sviluppo della società per classi, faremmo esattamente così.
Però oggi il problema non è che è cresciuta la popolazione, ma che l’economia dalla quale tutti dipendiamo — l’apparato produttivo tutto ciò che vi è connesso — non è di proprietà sociale collettiva, ma nelle mani i un piccolo gruppo di capitalisti. Sono i lavoratori a far funzionare i mezzi di produzione — in questo senso è sociale — ma è soltanto una piccola percentuale della popolazione li possiede privatamente.
É questa la mostruosa bestia con cui viviamo, che ci rende schiavi. Che deve essere nutrita ad ogni giro dell’ingranaggio. Il suo vorace appetito deve essere soddisfatto prima di qualunque necessità umana. Quello che vuole — il profitto — non è quello che vogliamo tutti quanti noi: azioni significative sul cambiamento climatico e gli altri problemi sociali.
Ad esempio, proprio adesso in Victoria, il governo Brumby ALP amico dei grandi affari si muove a forte velocità nella direzione opposta rispetto a quanto necessario ad affrontare crisi petrolifera e cambiamento climatico:

• Invece di un ampio programma di modernizzazione di tutte le case con serbatoi d’acqua e impianti di riciclaggio, invece di imporre obiettivi di risparmio a industria e agribusiness, invece di realizzare le infrastrutture per lo sfruttamento su ampia scala delle acque piovane, si sono firmati i contratti per l’impianto di desalinizzazione e l’acquedotto dal nord: una cuccagna per i grandi interessi, un disastro per tutti gli altri. Si prevede che le bollette delle famiglie raddoppieranno nel giro di cinque anni.
• Invece di un programma per uscire dalla nostra disastrosa dipendenza dal carbone, e passare a energie rinnovabili, il governo statale state si impegna a inseguire il miraggio delle tecnologie per il “carbone pulito”. Anche qui, per le utenze familiari i prezzi raddoppieranno in poco tempo.
• Si rifiuta di finanziare con le risorse necessarie il trasporto pubblico, che resta in una crisi esasperante e permanente; invece i piani sono per strade e ancora strade. Ora c’è anche il veramente pazzesco, mostruoso tunnel stradale sotto il cimitero maggiore di Melbourne.
Non si lasciano riposare in pace neppure i morti!
• A Melbourne si sta procedendo con lo scavo del porto a Phillip Bay, che minaccia di mettere a rischio di allagamento i quartieri bassi con l’alta marea. E tutto questo solo perché navi più grandi — cariche di altre porcherie consumistiche — possano attraversare la baia.
• É stato dato il via libera all’olio di semi vari da prodotti geneticamente modificati. Il pietoso commento di Brumby è stato che così si dà al consumatore “più scelta”! I consumatori non vogliono questo genere di falsa “scelta”: vogliono alimenti sicuri. Si è dato il semaforo verde ai geneticamente modificati per ricoprire di profitti la Monsanto e qualche grosso esportatore; tutti noi altri ne pagheremo il prezzo (un incremento nelle allergie e chissà quali altri danni per la salute sul lungo termine).

Proprietà pubblica e pianificazione

Per affrontare la crisi del cambiamento climatico, c’è bisogno di una completa mobilitazione sociale e di un drastico e veloce riorientamento dell’intera economia. Ma è decisamente impossibile immaginare che qualunque cosa possa spingere un’orda di grandi imprese avide di profitto a diventare “responsabili”. Le redini del comando economico devono essere impugnate dalla mano pubblica.
• I socialisti chiedono la nazionalizzazione totale del settore energetico. Una infrastruttura vitale, che deve appartenere alla comunità: che si tratti del livello federale, statale o municipale. Obiettivo dell’azione di settore deve essere l’uscita dall’energia di origine fossile e la “grande svolta” più rapida possibile verso le fonti rinnovabili.
• Anche i trasporti collettivi e quelli delle merci devono essere gestiti pubblicamente. L’obiettivo è di ottenere una rapida e sostanziale riduzione nell’uso dei veicoli privati. Le strade devono semplicemente essere mantenute sicure; a parte questo, si devono riversare massicci investimenti nei sistemi ferroviari, tranviari e degli autobus di collegamento.
• Anche l’industria dell’automobile deve essere allo stesso modo nazionalizzata. Si devono riconvertire gli impianti alla produzione di trasporti pubblici e a macchine a energie rinnovabili.
• La crisi del cambiamento climatico colpisce sempre più profondamente, e la sicurezza alimentare diverrà un grosso problema sociale. Non possiamo lasciare la massa del sistema distributivo nelle mani delle grandi catene di supermercati avide di profitti, come Cole o Woolworth, che sfruttano allo stesso modo piccoli fornitori e consumatori. Anche in questo caso la proprietà deve diventare pubblica.
• Le banche, base della nostra economia capitalistica, devono essere nazionalizzate, creando una sola banca statale. Questo garantirà il posto di lavoro agli impiegati bancari, i servizi, e metterà a disposizione i fondi per la ricostruzione dell’economia.
La pianificazione economica sulla base della proprietà pubblica dei mezzi di produzione ha un enorme potere.
Eccone un solo esempio.

Nel 1967 Isaac Deutscher, stimato biografo di Trotsky, pubblicò The Unfinished Revolution, noto studio sull’Unione Sovietica. In cui indicava come se si calcolavano tutti gli anni impiegati dall’Urss per tornare al livelli di produzione pre-bellici (dopo la prima guerra mondiale, la guerra civile, poi la seconda guerra mondiale), allora era in soli 25 anni, quelli di pace, che si era creata – a partire da un livello assai basso – la seconda potenza economica industriale del mondo.
Se si mettono da parte la burocrazia stalinista e la repressione, il deliberato disinteresse per le necessità dei consumatori a favore dell’industria pesante, i danni per l’ambiente, questo esempio mostra comunque l’enorme potenza del lavoro collettivo, una volta liberato dalle catene del capitalismo e organizzato secondo un consapevole programma.
Naturalmente, la classe dei capitalisti possiede un potere e risorse immense, e non cederà se non dopo una terribile lotta. Solo la crescita di un grande movimento popolare, saldamente basato sulla maggioranza della classe lavoratrice, può riuscirci. Lo sviluppo di un movimento che combatta a favore di azioni significative sul cambiamento climatico, al tempo stesso preparerà le condizioni politiche di un governo dei lavoratori, che sappia porre l’economia sotto il controllo della proprietà collettiva.
Questo — e soltanto questo — ci consentirà di iniziare a costruire una società basata sul soddisfacimento delle necessità umane, per una vita sostenibile e in armonia con la natura.

l’Autore Dave Holmes fa riferimento a Democratic Socialist Perspective, corrente marxista della Socialist Alliance. L’articolo è il testo di un discorso pronunciato alla Conferenza sul Cambiamento Cimatico / Cambiamento Sociale di Sydney, dell’aprile 2008, organizzata dalla rivista Green Left Weekly che l’ha pubblicato nel numero del maggio 2008 – Titolo originale: What would a liveable city look like? Traduzione di di Fabrizio Bottini

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