Economia e pianificazione territoriale (1961)

fbcq_064Sono stato incoraggiato, nel ritenere di poter parlare di urbanistica come economista, dalla riflessione sul fatto che c’è più di una disciplina coinvolta nel lavoro del pianificatore territoriale. Essa deve essere sintesi delle esperienze di molte, diverse discipline, applicate ai problemi della comunità urbana. Nondimeno, la maggior parte dell’attuale generazione di urbanisti è arrivata ad occuparsi di questo soggetto a partire dall’architettura, dall’ingegneria o dalla topografia. Gli economisti devono in gran parte incolpare solo se stessi per il fatto che, nonostante il loro punto di vista sia piuttosto rilevante, essi abbiano avuto così poco impatto sull’urbanistica: ma questa situazione ha significato che il punto di vista dell’economista, e dello scienziato sociale in genere, in qualche modo abbia avuto un ruolo minore nella discussione. Propongo di approfondire questo tema.

Per la più parte della propria vita professionale gli architetti, i topografi, gli ingegneri, una triade che per comodità chiamerò le scienze costruttive, sono impegnate con progetti specifici. Devono realizzare un edificio, tracciare una strada, progettare un ponte. Hanno abbondanza di precetti e principi teorici a guidarli, ma questi entrano in gioco in relazione ad uno specifico scopo. Hanno diritto ad avvicinarsi a qualunque lavoro escludendo dalla mente le parti della propria materia che non hanno relazione con quel lavoro. L’economista, dall’altra parte, non ha spesso un lavoro particolare da svolgere. Siamo commentatori del panorama economico, piuttosto che originatori di attività economiche. Avvicinandoci a un problema, quindi, lo facciamo con spirito critico, portandoci appresso tutti i nostri principi generali, e discutendolo partiamo da questi principi generali, e poi li restringiamo fino alle questioni del caso particolare. In più, mentre noi tentiamo di confinare il nostro soggetto alla vita economica, in verità esso si allarga sin quasi a comprendere l’intero spazio dell’esperienza umana. E possiamo quindi affermare legittimamente che, nonostante ci siano momenti in cui ce ne rammarichiamo, con ogni probabilità traiamo i nostri convincimenti da fonti più vaste. L’urbanistica sembra avere due aspetti. La scoperta degli scopi per cui esiste la comunità urbana, e la traduzione di quegli scopi in un ambiente fisico adatto. Mi sembra vero, in base ad una semplice logica, che lo “scienziato costruttivo” sia migliore per il secondo aspetto, e l’economista per il primo. Gli stessi urbanisti hanno due separate funzioni, costruire piani dettagliati e tradurli in attuazione, e osservare più ampiamente gli sviluppi sociali ed economici della città. Il primo obiettivo, ancora, è più adatto alla capacità professionale degli architetti e professioni alleate, mentre il secondo può attingere di più dalle scienze sociali.

Suggerendo che l’approccio degli scienziati costruttivi avviene su base più ristretta, certamente non implico che essi siano meno artistici per mentalità e atteggiamento di quanto non siamo noi. Un architetto è giudice infinitamente migliore dei meriti artistici di un edificio, di quanto non lo sia l’economista medio, e gli urbanisti in genere possono offrire un aspetto dei luoghi più artistico e di buon gusto di quello che saremmo in grado di sviluppare noi. Desidero, tuttavia, insistere sul fatto che il talento e l’intuizione artistica hanno il loro giusto spazio una volta che sia stato determinato lo scopo di un edificio o di un insediamento pianificato di qualunque tipo. Ci possono essere anche alcuni progetti giudicabili solo in base ai meriti artistici, ma anche in quei casi deve essere sollevata la questione dei costi, che ha bisogno di una risposta prima che si possa consentire libero gioco all’arte. Non è certamente questione di intuito artistico, decidere perché esiste una città, o un edificio. E se una dose moderata di sogni è utile, gli urbanisti devono dosare la quantità di sogni per una comunità ben progettata, in base all’intuizione artistica, e la cognizione di cosa sta realmente accadendo. Fortunatamente l’attuale generazione di pianificatori si è, almeno nella mia esperienza, mostrata desiderosa di accettare limitazioni pratiche. In più, nel rivolgere critiche agli sforzi di architetti e simili nella pianificazione delle nostre comunità, sono profondamente consapevole dei gravi svantaggi che pesano sul loro lavoro, e non condizionano invece in modo consistente quello dei miei colleghi e mio. Gli economisti possono in genere cancellare i propri errori molto più rapidamente di chi li crea in pietra. Noi possiamo buttare le vecchie idee e scrivere al loro posto le nuove, e a dire il vero siamo frequentemente accusati di avere entrambe le versioni contemporaneamente in corso. Non abbiamo bisogno di bulldozers per liberarci degli sbagli passati. Gli urbanisti non possono, certamente, superare le possibilità di critica avendo piani alternativi fianco a fianco, così da poter spostarsi su quello che piace di più ai critici. Questo, naturalmente, deve condurre ad un atteggiamento di umiltà gli scienziati sociali, e ridurre le quantità di critiche che egli solleva contro gli errori di coloro che non sono così fortunati da poterli nascondere, come fa lui.

Una apparente similitudine, nell’approccio delle scienze sociali e delle scienze costruttive, in pratica è fonte di importanti differenze tra loro. Entrambe lavorano con la statistica. Noi siamo così avventati nell’individuare leggi o tendenze, che talvolta pretendiamo di fornire applicazioni universali, e loro fanno lo stesso. Ma l’affidabilità dei nostri materiali è, davvero senza speranza, fortemente condizionata dal fatto che il nostro soggetto di studi è umano. So che parecchie leggi in ingegneria e materie affini sono a dire il vero semplici possibilità, e che molti dei loro dati hanno imperfezioni. Ma le nostre leggi hanno l’abitudine di alzarsi e camminare, e le nostre cifre cambiano col cambiare dell’umanità, o col cambiare della composizione del nostro campione di rilevamento. Quando mi trovo tra urbanisti, sono da un lato compiaciuto nello scoprire che la loro materia è progredita al punto che essi sono in grado di applicare regole empiriche, o leggi che sembrano trovare soddisfacenti, ed hanno una forte fiducia nelle loro osservazioni statistiche. Ma trovo imbarazzante che molti urbanisti credano nelle leggi del sistema economico senza discuterne gli elementi da soli, o si basino sulle statistiche economiche senza controllare l’adeguatezza e rilevanza delle proprie assunzioni e fonti. Forse, la ragione principale per la quale gli economisti si trovano sempre a partire da principi di base e poi a cercare di girare attorno ad uno specifico problema, è che essi non possono fidarsi delle leggi della propria materia, e dei dati che hanno raccolto, come guide per qualunque caso particolare, finché non hanno testato ancora una volta gli assunti di base tornando alle questioni di partenza. Fino a quando le scienze costruttive lavorano in campi differenti da quelli dello scienziato sociale queste differenze di approccio a leggi e dati non conta veramente, ma nella pianificazione urbanistica molti assunti base sono derivati dalle statistiche economiche e molte delle leggi su cui si fonda la pianificazione hanno una base sociale o economica. Mi sono formato l’impressione che gli scienziati costruttivi quando si rivolgono all’urbanistica siano troppo pronti a credere nei dati dello scienziato sociale, nella formazione del proprio giudizio. I pianificatori dovrebbero essere preparati a unirsi a noi, o almeno a seguirci, nei nostri impliciti tentativi di spiegare i limiti delle nostre conoscenze, e le limitazioni nell’uso dei tipi di dati e informazioni descrittive che tentiamo di fornire alla comunità.

Ora devo cercare di essere più specifico. Quale dovrebbe essere la funzione dell’economista di professione, nell’aiutare il professionista dell’urbanistica? Il lavoro dell’urbanista comporta la costruzione di un ambiente che sia di aiuto e adatto agli scopi della vita sia sociale che economica. In questa sede, voglio ignorare gli assunti sociali impliciti nella pianificazione urbanistica, anche se con piccoli aggiustamenti quasi tutto quello che devo dire può applicarsi ai contributi di quei miei colleghi interessati in altri studi sociali fuori dal campo dell’economia. In più, mi riferisco solo alla pianificazione urbana, , nonostante capisca che anche i piani regionali sono parte importante del lavoro urbanistico. Ad ogni modo, visto che i piani regionali si svolgono su un tessuto più ampio, e implicano assunti più vasti riguardo alle comunità da pianificare di quanto non faccia la media dei piani cittadini, i miei commenti si applicheranno anche con maggiore forza in questi casi.

A mio parere, quattro principali questioni si devono porre in relazione a qualunque piano per un’area: (1) Cos’è accaduto nel passato, che ha condizionato le attuali attività economiche degli abitanti, il loro livello di reddito e benessere generale, l’ambiente fisico, e così via? (2) Qual’è lo stato attuale della comunità? Quale la sua salute economica? (3) Cosa si può diagnosticare, come probabile corso futuro di sviluppo della comunità, senza l’aiuto dei pianificatori? Quali fattori, per esempio, stanno causando crescita, o declino? (4) Quale sarebbe l’effetto di un intervento pianificato? Vorrei poter continuare dicendo che l’economia può dare le risposte. Ma posso solo dire che queste sono le domande che stanno al cuore delle nostre preoccupazioni per la vita economica delle comunità, e quelle alle quali gli economisti per mestiere rivolgono attenzione. È saggio che l’urbanista chieda loro di accompagnarsi ad altri, il cui lavoro è di trascorrere l’esistenza studiando queste cose.

Comprendere il perché una particolare comunità è cresciuta richiede la valutazione del lavoro di storici dell’economia, inclusa la valutazione delle teorie che essi usano comunemente e i materiali, statistici e verbali, che hanno a disposizione. Cosa forse più importante di tutte, dobbiamo valutare i punti in cui dobbiamo purtroppo dire che non può essere data una risposta dogmatica. Una delle più importanti sfere di comprensione al momento nella crescita delle città, è quella dei fattori che portano alla localizzazione industriale. Credo sia fin troppo gentile affermare che gli economisti, e i loro colleghi storici dell’economia, non sono troppo certi delle forze che causano la localizzazione industriale al tempo presente, e l’hanno causata nel recente passato, ma uno studio di storia economica e una conoscenza dell’attuale situazione si combinano a mettere in campo un certo numero di avvisaglie riguardo a fattori che non dovrebbero essere importanti, e dunque riguardo a tipi di sviluppo che non dovrebbero avere successo.

Valutando la condizione attuale di una comunità che deve essere oggetto di pianificazione, l’economista entra ancora in gioco perché le questioni da determinare sono di carattere economico e i dati devono essere derivati da statistiche economiche, o da altri tipi di tecniche di osservazione che sono familiari all’economista come parte del suo lavoro quotidiano. Possiamo percorrere un pezzo di strada insieme a voi, valutando le condizioni attuali, con qualche pretesa da agire come guide, non necessariamente in relazione alla particolare comunità in questione, ma in quanto persone che hanno già seguito questo tipo di percorso. È sempre necessario sviluppare un senso di prospettiva riguardo a cosa è una importante carenza, e cosa non lo è, cosa è solo un situazione comune e a cosa si può porre in qualche modo rimedio. Inevitabilmente, le indagini si concentrano su alcuni aspetti di un problema e non su altri, e un economista sarà, in generale, più propenso di altre professioni a ricordare all’investigatore i fattori non inclusi.

La questione di quale sarebbe lo schema spontaneo di crescita di una comunità, se non fosse resa soggetta ad una politica di governo attraverso l’urbanistica (o ad altri tipi di politiche, per esempio, quelle dirette ad incoraggiare lo sviluppo industriale o sostegni finanziari) è di primaria importanza. La maggior parte do noi è, penso, piuttosto incline a ritenere che si possa assicurare uno sviluppo pianificato semplicemente pensandoci con abbastanza impegno. Ma credo abbastanza nell’efficienza del sistema di mercato, e nella naturale capacità dell’economia di assestarsi, da supporre che la pianificazione, sia di tipo finanziario, che fisica, alla quale si dedicano gli urbanisti, può orientare un’economia o una comunità, ma non può farla procedere al contrario. L’urbanistica o le operazioni di sostegno governativo, possono probabilmente prevenire una comunità dalla decadenza, con effetti altrettanto disastrosi, ma dubito che di norma possano trasformarla in una comunità fiorente. Almeno, mi sembra giusto prima di imbarcarsi in qualunque politica o esercizio di piano farsi umili di fronte ai fatti della crescita e capire i propri limiti nell’alterare lo schema degli eventi. Dobbiamo guardare ai tassi correnti di crescita per le diverse attività e parti dell’economia. Dobbiamo considerare quali nuovi cambiamenti sono imposti sull’attività economica dal progresso tecnico, dall’aumento del reddito, o da uno qualunque dei molti altri fattori che modificano il nostro modo di vita economica. Gli economisti si occupano di problemi di crescita e cambiamento, a dire il vero questo è il centro dei loro misteri professionali, e ancora la comprensione possibile su quanto potrebbe accadere nell’economia del futuro si trova nelle teorie economiche, nell’analisi di quello che è successo nel passato, e nell’uso di tutti i dati statistiche che possono essere disponibili per diagnosticare tendenze future. Come professione, gli economisti non hanno avuto grande successo nel dare risposte sugli sviluppi del futuro, ma probabilmente comprendono la fragilità dei giudizi sul futuro, e anche le potenzialità di crescita e cambiamento futuri, molto più della maggior parte delle persone. In questa importante sezione degli assunti dell’urbanista, ovvero cosa riserva il futuro, un economista è valido compagno e mentore, non perché conosce le risposte, ma perché è abituato alle tecniche che devono essere impiegate per tentare di avere una risposta, e perché ha qualche idea su cosa non è probabile che accada.

Vengo ora alla quarta questione: quali sono i possibili effetti delle proposte urbanistiche sullo schema di sviluppo economico di una comunità. Ancora devo dire che l’economista non ha la risposta, ma è probabile che abbia qualche spunto da suggerire. Il primo, è di rivolgere l’attenzione a un volume considerevole di letteratura sulla pianificazione economica. Questa letteratura tratta successi e fallimenti delle politiche di redistribuzione industriale, piani del tempo di guerra, tentativi di stabilizzare i prezzi dei prodotti di prima necessità, e così via, attraverso parecchie varianti. Esiste anche una grande quantità di materiale altamente rilevante sui successi e fallimenti delle economie pianificate nel mondo, come l’Unione Sovietica. Da questi studi può essere tratta una importante lezione, ovvero che il fallimento spesso risulta dagli sforzi di fare troppo. È più importante concentrarsi sui fattori principali della situazione, che cercare di controllare ogni piccola variante. Questa è una cautela che credo sia importante per l’urbanista, che è talvolta, temo, un po’ sorpreso nello scoprire che la gente modifica alcune delle sue dettagliate prescrizioni sin nei modi più abituali di fare le cose. Ancora, mi aspetto che un economista consigli attenzione agli effetti di una proposta di piano che sembra andare contro il percorso che ha imboccato lo sviluppo della vita economica di una comunità. Ancora una volta il nostro contributo è più propenso al dire cosa non si dovrebbe tentare che necessariamente cosa si dovrebbe, ma considerando cosa dovrebbe essere fatto la nostra enfasi principale dovrebbe, credo, essere sul concedere sufficiente spazio al mutamento e crescita economica della comunità. In un certo senso, dopo tutto il problema dell’urbanista non è tanto che le città siano state completamente non-pianificate nel passato, ma che molti dei piani redatti in buona fede si sono dimostrati sbagliati per il nostro modo di vita contemporaneo.

Un altro possibile uso dell’economista “generalista” in urbanistica, è in relazione non ai generici assunti del piano nel suo insieme, ma ad alcuni particolari sviluppi pianificati: questioni che riguardano specifiche strade, isolati ad uso terziario, un insediamento commerciale, e tutte le altre possibili attività degli urbanisti che lavorano su programmi dettagliati. Ci sono due possibili modi di utilizzare un economista in questo contesto. Il primo è di avvertire gli urbanisti per quanto possibile sulle conseguenze delle loro proposte su altri fattori. Mi aspetto che, portato o meno per questo particolare scopo, un economista saprà sempre indicare le interrelazioni tra le diverse attività economiche di una comunità e quindi le conseguenze sulle altre cose di un particolare sviluppo pianificato. Il secondo uso sorge dal fatto che, come è generalmente il caso, la scelta di uno sviluppo pianificato, diciamo per negozi, deve essere basata in larga misura su assunti correlati alle prospettive generali dell’attività economica di cui ciascuno sviluppo è un esempio. Non mi aspetto, nella maggior parte dei casi, che l’economista sia l’uomo giusto per dirvi se un’impresa che progetta un quartiere di uffici è destinata ad avere successo o no, ma è utile avere il punto di vista di un economista sulle prospettive di incremento nella domanda di spazi per uffici, e anche se possibile le prospettive per il particolare tipo di attività economica in cui l’impresa in questione è impegnata. Il modo corretto di utilizzare un economista, qui, è nel produrre un senso di prospettiva e dare consigli generali sul retroterra di una particolare decisione di piano.

Quale economia dovrebbe essere insegnata agli urbanisti? È chiaramente impossibile concepire che tutti i pianificatori debbano essere economisti, anche se penso che più economisti formati dovrebbero entrare nel campo della pianificazione territoriale. Se supponiamo che uno studente di urbanistica non sia economista come formazione di base, come è, naturalmente, non solo probabile ma caso quasi universale, quanta economia dovrà imparare, e di che tipo?

Ho tentato di rispondere a questa domanda in primo luogo dando un’occhiata piuttosto a caso ai piani di studio proscritti per studenti di urbanistica in vari istituti. È chiaro che non si dà nessuna risposta universale, da parte degli interessati a questo insegnamento. Alcuni corsi sembrano non comprendere virtualmente economia. La risposta più abituale è quella di offrire brevi serie di lezioni sull’economia degli usi del suolo: questi corsi sembrano differire in qualche modo da caso a caso, ma sono tutti orientati al problema di cosa accade all’affitto e prezzo dei terreni quando hanno luogo diverse attività di piano. Essi includono anche, in gran quantità, le parti tecniche del lavoro di valutatore e la storia e stato presente della legislazione che interessa gli usi del suolo. Il Town Planning Institute, in più, prevede per i suoi esami finali una certa istruzione su un vasto ambito denominato Lineamenti di Organizzazione Economica e Sociale. Come strumento per l’urbanista nel suo lavoro dettagliato, questa istruzione è valida e importante, ma non mi sembra in linea né quantitativamente né per argomenti con il tipo di comprensione dell’economia che ritengo necessario. Lo stesso è vero per altre scienze sociali, che sono davvero molto più trascurate dell’economia.

Il problema di individuare un corso di economia che si adatti ai bisogni di una particolare professione, è familiare agli insegnanti della materia. Qualche volta essi sono invitati a progettare questo tipo di corso, forse più di frequente un istituto o l’altro chiede di delinearne uno per andare incontro a certi specifici bisogni che la scuola pensa siano particolarmente importanti nel suo particolare tipo di attività. Il risultato più tipico di questo richieste per corsi specializzati di economia, si trova nei piani di studio di certi colleges commerciali, dove l’economia si trova fornita in dieci o venti forme diverse, presumibilmente adatte ai bisogni dei particolari istituti. Secondo la mia opinione, c’è una sola materia chiamata economia, e quello che dovrebbe essere fatto per fornire di un corso particolare per un gruppo di persone, è scegliere gli aspetti del problema che probabilmente interessano un gruppo piuttosto che un altro. Ma finché uno studente non ha afferrato gli elementi di teoria economica, i problemi fondamentali di applicazione di questa teoria in pratica, i problemi elementari di calcolo e previsione che implicano uso di statistiche economiche, qualunque studio degli aspetti speciali dell’argomento è destinato ad uscire malamente di prospettiva. Quindi, sono incline a pensare che quanto lo studente richiede all’inizio, non importa in quale branca dell’argomento il suo interesse possa collocarsi alla fine, è un corso generale in economia non tagliato in modo speciale sui bisogni della sua particolare professione.

È possibile omettere alcuni frammenti che sono meno rilevanti di altri, ma il corpus generale dell’argomento deve essere elargito e lo studente reso consapevole di come l’economista tenta di comprendere il funzionamento del sistema economico. È solo dopo aver superato questo stadio, che mi sembra ragionevole accompagnare lo studente lungo una particolare via collaterale, ad osservare un particolare gruppo di problemi. La mia raccomandazione al Town Planning Institute, dunque, è che essi continuino in ogni modo ad occuparsi specificamente di economia degli usi del suolo, ma che venga anche richiesto agli studenti che non hanno conoscenze economiche di aver acquisito conoscenze della materia in generale, per la qual cosa sarà sufficiente frequentare un corso annuale che occupi un terzo, più o meno, del loro tempo.

Una volta superato questo stadio credo che sarebbe di grande beneficio se gli studenti di urbanistica intraprendessero un ulteriore corso di economia a sviluppare speciali aspetti che si legano al loro lavoro professionale. Collocherei l’economia degli usi del suolo in questo corso successivo. In più, mi sembra importante che gli studenti di urbanistica abbiano qualche comprensione dei seguenti campi di studio: primo, economia industriale e problemi legati alla localizzazione di industrie; secondo, il funzionamento del mercato del lavoro; terzo, teorie connesse alla crescita e sviluppo economico; quarto, teorie della popolazione e tendenze demografiche e loro misura; quinto, finanza pubblica, in particolare in relazione alle attività finanziarie di governo locale; e sesto, forse più importante di tutti, una comprensione elementare delle tecniche statistiche combinate con la più grande consapevolezza possibile delle fonti, degli usi e abusi di dati economici.

Capisco che questo è un grosso boccone da ingoiare, ma anche così non farebbe economisti degli urbanisti, e non sarebbe contro un uso più liberale degli economisti nelle consulenze su questioni urbanistiche. Aumenterebbe, comunque, la consapevolezza del pianificatore territoriale sulle questioni economiche, e questo mi sembra altamente importante e auspicabile. Potreste dire che aumenta la durata del corso di studi in urbanistica. Il fatto è, che l’urbanista è una professione importante, che sta diventando sempre più importante. Può avere un’influenza significativa, e in alcuni casi decisiva, sullo sviluppo economico e sociale. Dunque, è imperativo che sia ben istruito in tutti gli aspetti del suo lavoro.

Questo testo è la versione ridotta del discorso tenuto il 20 aprile 1961 alla Sezione Scozzese del Town Planning Institute, pubblicato su The Town Planning Review, aprile 1962 – Traduzione di Fabrizio Bottini

Immagine di copertina da: Pierre Merlin, Le città nuove, Laterza 1971

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