Ideologie liberiste antiurbane

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Foto F. Bottini

Da qualche parte devo conservarlo ancora quel vecchio fascicolo graffettato e ciclostilato dal titolo Storia dell’Ideologia Antiurbana. Una dispensa per i corsi universitari di storia dell’architettura e dell’urbanistica, che si articolava su tutte le idee che in epoca industriale avevano percorso il mondo occidentale, vuoi sotto forma di utopie (progressiste e meno progressiste), vuoi come veri e propri modelli di sviluppo economico. Appartengono di diritto all’ideologia antiurbana naturalmente tutte le forme di pensiero che individuano nella concentrazione densa di persone e attività produttive ogni male, sognando nuovi paradigmi dell’abitare, del produrre, del relazionarsi, di solito dentro a territori vergini da trasformare in nuove città, secondo infiniti modelli come quello di Owen, o di Howard, oppure saltando a piè pari proprio il concetto di insediamento urbano, sostituito dalla pura densificazione dei rapporti garantita da vari mezzi tecnologici, che siano l’automobile della Broadacre di F.L. Wright, oppure l’attuale utopia wireless telematica delle mega-regioni urbanizzate a bassissima densità, non a caso tanto pompata da ambienti vicini alle imprese della Silicon Valley.

Le parole sarebbero in teoria importanti

A queste antiche e moderne ideologie antiurbane, evidentemente adesso bisogna aggiungerne d’ufficio un’altra, ovvero il proliferare dei neologismi a doppio senso. Succede così: si prende una parola dal significato abbastanza complesso ma lineare, nata in un contesto preciso che le conferisce senso, e quel senso viene totalmente stravolto ma senza dirlo, continuando a usarla tranquillamente come prima. Un po’ come se qualche critico musicale usasse per la prima volta il termine rock a connotare ritmi etnici tradizionali tribali, e via via tutti seguissero la strada per pura inerzia o tacito consenso, stravolgendo la storia, la geografia e la logica. Nelle discipline urbane è già ampiamente accaduto con gentrification, e adesso è la volta di property ladder. La proprietà della prima casa è considerata da sempre, nelle società liberali, un pilastro di stabilità, democrazia, responsabilizzazione del cittadino rispetto al sistema in cui vive e di cui vive. Famosa la frase del costruttore americano Levitt, quando diceva “chi possiede una casa con giardino non può diventare comunista”: anche al netto dell’ideologia antiurbana e antisovietica di metà ‘900, dà perfettamente il senso di cosa significhi, socialmente, salire il primo gradino della proprietà. Ma oggi, per motivi decisamente perversi, la nuova ideologia antiurbana del liberismo trionfante ne combina un’altra, e property ladder finisce per assumere tonalità davvero minacciose.

Attenzione al contesto

Succede sulle pagine domenicali del britannico The Independent, dove si parla di giovani che salgono sulla property ladder comprando all’estero. Si potrebbe istintivamente pensare a uno svarione: qui di emigrazione si parla, se comprano in Spagna o negli Usa ci saranno andati a stare e lavorare, no? Invece come ci chiarisce subito il quotidiano, questi non emigrano affatto, si limitano a comprare immobili là dove le loro finanze glie lo consentono, ma non si muovono affatto da casa. Ora, che razza di property ladder sarebbe questa? Dove sta il piccolo proprietario mattone essenziale di stabilità politica e sociale della tradizione, geloso custode del suo appartamento o villetta contro i marosi dei cicli economici, le guerre, le carestie e i disordini? Semplicemente, i nostri giornalisti ne hanno sotto sotto decretato la morte, o quantomeno la confusione in un mare di proprietari generici, che possiedono per il vantaggio del possesso, senza alcun rapporto con l’uso proprio di questo loro immobile. Seguono, come ci si poteva aspettare, appelli perché l’allentamento delle norme urbanistiche nazionali consenta a questi proprietari di diventare tali anche (non necessariamente invece) sul suolo patrio. E sorge la domanda: ma quanto saranno antiurbani questi capitalisti d’assalto della parola? Parecchio. Stiamoci attenti alle parole, al loro uso ignorante, che alla fine diventa fazioso e micidiale.

Riferimenti:

Hannah Fearn, Young Britons buying foreign homes as way of getting on to property ladder, The Independent, 9 novembre 2014

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