Il Consorzio Intercomunale Milanese per l’Edilizia Popolare, CIMEP (1969) Parte prima

Tutte le grandi metropoli sono affette da una grave malattia: la speculazione edilizia. È un male che affonda le sue radici nella continua e crescente domanda di di alloggi e produce un indiscriminato, caotico sviluppo edilizio, che poi viene nuovamente pagato, in termini di costi sociali, dall’intera collettività. In questi ultimi tempi, il legislatore è stato indotto a emanare nuove norme che curino questa grave malattia delle metropoli, obbligando i Comuni a programmare piani per un razionale sviluppo urbanistico. Queste norme sono contenute in una legge divenuta ormai famosa, che porta il numero 167 ed è stata emanata il 18 aprile 1962, sotto il titolo «Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare». La più importante caratteristica della legge è quelal che impone ai Comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti o che siano capoluoghi di provincia, di formare un piano delle zone che devono essere destinate alla costruzione di case economiche e popolari, nonché alle opere e servizi complementari sociali, comprese le aree a verde pubblico.

Anche i Comuni che non sono obbligati a formare questo piano, lo possono ugualmente preparare. Insomma non è soltanto un obbligo per i grandi Comuni, è anche un invito per tutte le comunità urbane. La legge prevede inoltre la costituzione di Consorzi fra Comuni per la formazione di un unico piano consortile. Milano, come diremo più avanti, ha subito utilizzato questa norma costituendo con altri Comuni il CIMEP (Consorzio Intercomunale Milanese per l’Edilizia Economica e Popolare). Il principio della pianificazione urbanistica è espressamente previsto dalla legge che all’art. 3 parla di «prevedibile sviluppo per un decennio». Si tratta, quindi, di guardare avanti di dieci anni. I piani approvati hanno efficacia appunto per questo periodo e hanno valore di piano particolareggiato ai sensi della legge 17 agosto 1942 numero 1150 (legge urbanistica). L’approvazione dei piani comporta automaticamente la dichiarazione di indifferibilità e urgenza di tutte le opere, impianti ed edifici, che essi prevedono. Le aree comprese nel piano rimangono soggette ad esproprio per un decennio (come afferma l’art. 9) e possono essere acquisite sia attraverso accordi con i proprietari, sia con il procedimento di esproprio.

Le aree che i Comuni non si sono riservate per i propri programmi (al massimo il 50 per cento) possono essere richieste per la costruzione di case popolari: dallo Stato, dalle Regioni, dall’INCIS, dalla GESCAL, dall’IACP, dalle Cooperative edilizie e da altri enti, che sono indicati nell’art. 10 della legge stessa. Si tratta insomma di uno strumento legislativo profondamente innovatore, che sancisce l’obbligo del pubblico intervento in un settore che prima era stato riservato e quasi monopolizzato dall’iniziativa privata, con tutte le conseguenze negative che tale precedente regime comportava per le categorie meno abbienti. Ma la legge come spesso avviene per quelle norme ceh tendono a capovolgere un sistema, era inoperante per due motivi fondamentali: 1 – la eccezione di incostituzionalità sollevata nei confronti degli articoli relativi all’esproprio (articolo 12) e alla limitazione della facoltà dei proprietari di richiedere la utilizzazione diretta delle aree, facoltà concessa soltanto se queste erano edificabili prima della formazione dei piani di zona (articolo 16).

La legge quindi restava inoperante, finché la Corte Costituzionale, con sentenza del 9 aprile 1965 dichiarava fondate le eccezioni di incostituzionalità degli articoli che abbiamo citato. Il legislatore, allora, uniformandosi alla decisione della Corte Suprema, emanò nuove norme con la legge 2 luglio 1965, numero 904. Con queste nuove norme veniva sancito il principio che per il calcolo dell’indennità di esproprio non si doveva considerare il valore di mercato attribuito alle aree due anni prima della adozione del piano di zona (come prevedeva l’articolo 12 della legge numero 167), ma che l’indennità stessa doveva essere determinata dall’Ufficio Tecnico Erariale, secondo le disposizioni previste dall’articolo 13 della legge 15 gennaio 1885, numero 2892. Questa legge, quasi secolare, stabilisce i principi delle indennità di esproprio per cause di pubblica utilità. Il legislatore aboliva pure le limitazioni poste ai privati proprietari dall’articolo 16 della legge 167. Così veniva eliminato il primo impedimento.

Successivamente furono emanate norme usufruendo delle quali i Comuni potevano far fronte, almeno in parte, agli oneri finanziari creati dalla nuova e dalle vecchie leggi esistenti in materia di edilizia popolare. Intanto, però, la famosa legge 167 era rimasta inoperante per più di tre anni! Il Comune di Milano, tuttavia, non aveva atteso il lungo iter del giudizio costituzionale e aveva agito in due direzioni per prepararsi ad applicare la legge 167:

1 – la ripartizione Urbanistica e Piano Regolatore, retta dal professor Filippo Hazon, in stretta collaborazione con l’Ufficio Tecnico,Municipale, elaborava il Piano di zona previsto dalla legge, che veniva approvato dal Consiglio comunale con delibera 20 giugno 1963, numero 152414/3148/PR 1963. Diamo queste indicazioni perché la delibera è fondamentale per il futuro dell’edilizia popolare a Milano. Il piano comprende la utilizzazione di 6.858.000 di aree da destinare, secondo quanto prevede la legge, alla costruzione di case popolari e a tutti i servizi complementari, comprese le aree a verde pubblico. La previsione di costruzione è di 165.836 vani. Venivano anche compilati gli elenchi di esproprio delle aree, dando priorità a quelle già urbanizzate o di più facile urbanizzazione. Il motivo è evidente: accelerare il ritmo di attuazione del piano. Nella scelta delle aree si erano seguiti principalmente sue criteri:

  1. ricerca di zone già destinate a edilizia popolare dal Piano Regolatore in vigore e ancora libere, in posizioni e dimensioni tali da poter costituire un utile completamento delle aree vicine già edificate;
  2. individuazione delle zone di espansione adatte alla creazione di quartieri organici secondo i criteri della moderna urbanistica.

I nuovi quartieri venivano previsti in zone che nel Piano regolatore generale sono vincolate a verde agricolo e che la divisione destinerà appunto a residenza, con larghissime dotazioni di verde pubblico.

2 – la ripartizione Edilizia popolare, sotto la guida dell’assessore Salvatore Cannarella, costituiva l’Ufficio legge 167, incaricato di disporre tutti gli atti necessari a dar corso ai nuovi provvedimenti. Venivano presi così i contatti con gli enti interessati (IACP, GESCAL, Prefettura, Ufficio Tecnico, Erariale, Provveditorato alle Opere Pubbliche) onde studiare la migliore utilizzazione delle aree. Venivano poi studiati i più rilevanti problemi da risolvere per l’attuazione della legge stessa, predisponendo gli atti da sottoporre alla Commissione (prevista dall’articolo 11 della «167»). Alla presidenza di questa Commissione veniva chiamato l’assessore Salvatore Cannarella, delegato dal Sindaco.

L’impegno profuso in queste due direzioni dava i suoi frutti. Portava infatti, non appena la legge diveniva operante, all’assegnazione dei primi lotti del piano 167. Infatti la Commissione di cui abbiamo parlato, nella sua prima seduta del 9 dicembre 1965 assegnava il lotto contraddistinto dal numero 15 all’Istituto autonomo case popolari per un totale di 140.000 metri quadrati, sul quale possono essere costruiti 3.220 locali. Subito dopo venivano assegnati i lotti seguenti: numero 11, di 232.000 metri quadrati per 7.700 vani, alla GESCAL; numeri 13, 1 e 5 all’IACP, di 1.942.000 metri quadrati per la costruzione di 43.145 locali. Una parte di queste aree venivano assegnate al Comune per i servizi pubblici. Recentemente si è provveduto all’ampliamento della zona riservata al Piano 167; sono stati adottati due altri lotti: il 17 (Gallaratese Sud) e il 18 (Gratosoglio Nord) per un totale di 648.000 metri quadrati, che consentono la costruzione di 18.000 vani. Inoltre, sulla base dell’esperienza fatta, si è provveduto alla revisione del piano di zona, al fine di inserirlo nel piano consortile del CIMEP.

  1. Non tutti i problemi generali dell’applicazione della legge 167 erano però risolti. Anche per questo, su iniziativa dell’assessore Cannarella, il Comune promuoveva nell’aprile 1967un convegno di studi, al quale partecipavano rappresentanti di settanta Comuni del Nord-Italia. Lo scopo era evidente: discutere insieme (e i risultati di una discussione ampia sono sempre utili, perché si assommano esperienze e delusioni) le difficoltà e promuovere le iniziative necessarie ad eliminare i maggior inconvenienti. A conclusione del convegno si elaborava un documento, inoltrato alle autorità competenti, nel quale erano indicate le modifiche da apportare alla legge, nonché le soluzioni più valide per garantire la realizzazione dei programmi. Queste erano le principali indicazioni:
  2. una nuova definizione dell’edilizia economica, diversa da quella indicata dall’articolo 49 del testo Unico 28 aprile 1938, numero 1165, ritenuta ormai superata e inadeguata alle nuove esigenze;
  3. maggiore discrezionalità e autonomia ai Comuni per il calcolo di fabbisogno delle abitazioni, liberando i Comuni stessi da quei vincoli legislativi che ne vincolano i programmi e impediscono di tener conto di nuovi fenomeni socio-economici;
  4. snellimento delle procedure per l’adozione dei piani esecutivi e delle varianti dei piani stessi;
  5. possibilità per il Comuni di contrarre mutui a lungo termine e a tassi agevolati presso la Cassa Depositi e Prestiti per finanziare le opere di urbanizzazione;
  6. semplificazione delle procedure per l’assegnazione delle aree alle Cooperative edilizie e facilitazioni fiscali e finanziarie relative;
  7. modifica della composizione e delle attribuzioni della Commissione prevista dall’articolo 11 della legge 167 (per l’assegnazione di aree), con particolare riferimento ai Consorzi intercomunali. Va qui chiarito che la Commissione prevista per il CIMEP dovrebbe essere composta, secondo la legge vigente, da due consiglieri comunali e da un tecnico per ogni Comune consorziato: cioè di 186 membri, più tre provinciali (IACP, GESCAL, Genio Civile)! È chiaro che che essendo obbligatoria la partecipazione di tutti i membri, la Commissione ben difficilmente potrebbe funzionare.

L’importanza e le dimensioni della legge 167 sono evidenti, se si considera un dato: la popolazione residente nei Comuni italiani che hanno adottato un Piano di zone ammonta ad oltre 22 milioni di abitanti. Ciò significa che quasi la metà della popolazione italiana è interessata ad una buona applicazione della legge. È quindi auspicabile che il più presto possibile vengano adottate quelle modifiche che possano rendere operante in tutta la sua efficacia una legge di importanza storica nel campo dell’edilizia popolare ed economica. Capita spesso, purtroppo, in un paese di giuristi com’è l’Italia, che buone leggi restino praticamente inoperanti per le difficoltà che si incontrano nell’applicarle. Evidentemente il Comune di Milano, è stato, è e sarà sempre impegnato a portare avanti l’attuazione di questa legge, con tutta la forza che proviene dalle «cose fatte».

da: Città di Milano n. 12/1969 (segue nella Seconda Parte)

Commenti

commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.