Fermiamo la dispersione urbana!

In aprile dopo aver sostenuto l’ultimo esame caricavo sull’automobile di mio padre tutte le mie cosa dalla stanza dello studentato e partivo per un viaggio di tre ore, da Ann Arbor al paesello natio di Dublin, Ohio, nella dispersione urbana dell’area di Columbus. Appena fuori dallo svincolo della superstrada ed entrando dentro Dublin, era come se non me ne fossi mai andata via da questo paese delle meraviglie suburbane. Ma dopo un mese sto già facendo il conto alla rovescia dei giorni che mi mancano prima di ritornare a Ann Arbor. Di cui certo mi mancava l’ambiente studentesco e tutta la vitalità del campus, ma non è quella la vera ragione della nostalgia. Di Ann Arbor in realtà mi manca l’ambiente urbano. Mi manca il potersi spostare a piedi, prendere i mezzi pubblici, e tutte le comodità a portata di mano. Ann Arbor poi non è neppure tanto densa e concentrata se la paragoniamo ad altre città, ma di sicuro lo è infinitamente più di quanto non sia Dublin.

Lì l’unico modo per muoversi è in macchina. Ma la benzina non è gratis, il traffico può far impazzire, e ogni volta che si accende il motore è difficile non pensare al fatto che coi carburanti fossili ci stiamo lentamente suicidando. Ed è una sfida andarsene. Vivere nel suburbio è un po’ come stare su un’isola circondata dall’oceano degli steccati bianchi. Tantissimi americano avvertono questa sensazione di isolamento, e lo si capisce dalla crescente disponibilità a spendere molto di più per abitare in città meno dipendenti dall’automobile. Ma è ancora un 52% della popolazione a vivere nel suburbio auto-dipendente. Che in una forma o nell’altra negli Stati Uniti esiste sin dalla fine del XIX secolo soprattutto dopo l’introduzione dell’auto, anche se la densità straordinariamente bassa della dispersione che conosciamo oggi inizia verso la metà del XX secolo.

Nell’epoca del New Deal inizia a diventare più semplice possedere un’abitazione, e col boom economico del dopoguerra le famiglie entrano nel meccanismo dell’economia dei consumi indispensabile a sostenere la vita suburbana. Da allora, Suburbia conquista l’America, con grandi e popolose città come Phoenix, Detroit, Dallas, o Orlando, Florida, composte di quartieri residenziali di casette a bassissima densità. Forse poter accedere alla proprietà dell’alloggio è un’ottima cosa, ma lo è molto meno questo spostamento verso il suburbio. Personalmente non ho nulla contro l’abitare suburbano (dopo tutto è bello avere un grande giardino). Ma poi si vede come tutta questa espansione sia anche una vicenda di segregazione, degrado ambientale, insostenibilità economica. Si può certamente fare di meglio per le nostre città. Tutta la vicenda del suburbio ha qualcosa di oscuro. Anche prima della grande dispersione novecentesca c’erano convenzioni proprietarie di esclusione razziale (rese legali dalla sentenza della Corte Suprema 1926 Corrigan versus Buckley) per cui i neri non potevano acquistare casa nelel zone in cui gli era precluso.

Nel 1937, si trattava ormai di una pratica così normale da far «riconoscere il merito» su una rivista ad alcuni quartieri in cui vigevano queste restrizioni razziste. Per tutti gli anni ’30 fu l’ente pubblico più attivo nell’espansione suburbana, la Federal Housing Administration, a diffondere queste politiche residenziali discriminanti. Chi stava in quartieri non-bianchi non otteneva il mutuo agevolato, il che disincentivava gli afroamericani dall’investire in casette unifamiliari di tipo suburbano. Nel 1947, l’idilliaco progetto ideale di Levittown nella regione di New York, si basava su una esplicita convenzione che proibiva abitanti di «Razza non Caucasica»: era chiarissimo a chi fosse rivolta l’esistenza suburbana perfetta.

Questo grande problema dell’accesso ingiusto all’abitazione suburbana, unito all’atteggiamento razzista che incontravano i neri andando ad abitare nelle città del nord, induce poi il cosiddetto White Flight quando i bianchi in massa fuggiranno verso il suburbio. Diventato chiaramente bianco ed esclusivamente bianco. Nonostante questa tristissima storia, oggi la diversificazione suburbana è in aumento, ma resistono pregiudizio e atteggiamenti di resistenza in questi quartieri di casette tutte uguali una all’altra. Se si attenua un po’ col tempo l’esplicita segregazione, l’impatto ambientale invece cresce. Come accade a Dublin, gran parte delle zone suburbane dipende in tutto e per tutto dalle automobili. Ovunque si va in auto a causa delle enormi distanze da percorrere dentro quella dispersione.

La mobilità costituisce il maggiore contributo alle emissioni di gas serra negli Stati Uniti. E le auto familiari coprono la quota maggiore di queste emissioni: il 58% del totale. Ogni volta che un residente suburbano sale in macchina per andare a far la spesa, al lavoro, a scuola o altre infinite commissioni, aumenta le quantità già insostenibili di sostanze clima-alteranti. E anche oltre questa dipendenza dalle auto ci sono gli ecosistemi distrutti dalla acquisizione di enormi superfici per i quartieri e le strade. Ambiente messo a rischio dal gusto estetico del prato verde sul fronte, coi suoi enormi consumi di acqua da irrigazione, diserbanti e fertilizzanti per coltivare quel verde brillante. È sicuro che le zone urbane hanno pure i loro grossi problemi ambientali, ma l’impatto pro capite del suburbio non teme paragoni. Abitare a bassa densità detto in poche parole è semplicemente insostenibile. E insostenibile lo è anche dal punto di vista fiscale. Dal punto di vista di una economia di scala è assai più dispendioso mantenere in vita servizi come scuole, polizia, reti idriche e fognarie, infrastrutture varie, a bassissima densità come quella suburbana. Anche se certo tutta questa inefficienza non si risolve semplicemente aumentando la densità. Per far diminuire le spese pubbliche fino a oltre sessanta dollari pro capite il termine chiave è «Insediamento compatto».

Compattezza sta a significare la possibilità di offrire servizi agli abitanti entro uno spazio efficiente e piccolo. Mentre densità vuol dire in generale più persone per unità di superficie, e si tratta di una distinzione importante. Non significa voler cominciare ad ammassarsi dentro le città sperando che tutto andrà benissimo: ciò di cui abbiamo bisogno sono programmazione e investimenti sulle città. Complessivamente possiamo dire di essere a un bivio: il 75% delle infrastrutture che esisteranno nel 2050 oggi non esiste ancora. A scala globale ci viene chiesto di capire come saranno le città future. Spero che assomiglino poco all’inefficiente suburbio che continuiamo a costruire oggi. Certo la grande quantità di verde e la bassa criminalità sarebbero ottime ragioni per abitarci, ma non si tratta di caratteri così esclusivi. Anche le città, finanziando adeguatamente i parchi e gli altri servizi, possono prosperare. Urbanistica preveggente e giustizia sociale possono contribuire a costruire spazi fruibili a piedi e coi mezzi pubblici.

Inoltre, per evitare gli errori del passato in fatto di segregazione razziale e di classe, dobbiamo rendere le città accessibili a tutti. Ciò significa più leggi sulle case economiche e popolari. Perché se un centro come Ann Arbor può essere bellissimo per i servizi e la concentrazione, non ci possono certo abitare tutte le fasce di reddito e non dovrebbe diventare un modello da ripetere. Dobbiamo anche far sì che le città rappresentino chi ci vive. Ciò significa tutelare l’identità culturale, e le aree urbane sono solidi centri di cultura: solo, deve trattarsi di una cultura espressione degli abitanti. Di cui va tenuto conto introducendo via via il loro contributo in qualunque decisione di investimento o rivitalizzazione delle città. Capisco che possa apparire una questione di principio ma non è così: spero nel futuro delle città e sono certo che l’America possa diventare l’avanguardia di una crescita sostenibile abbandonando le oscure eredità dello sprawl suburbano.

da: The Michigan Daily, 21 giugno 2023 – Titolo orginale: Stop the Sprawl – Traduzione di Fabrizio Bottini

Commenti

commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.