Il problema della casa e dei trasporti per i lavoratori (1919)

Trolley Folly – 1909

Un grande settimanale nazionale, nel suo resoconto del convegno sulla ricostruzione organizzato dalla Camera di Commercio degli Stati Uniti ad Atlantic City nel dicembre 2018, provava a interpretare le ragioni di un certo atteggiamento liberale degli imprenditori riuniti nel timore dei lavoratori. Ciò non significa che questo atteggiamento escluda un certo illuminato egoismo, né che esista dell’autentico altruismo nello spirito. E non escludiamo neppure un crescente per quanto forse inconsapevole partecipare delle imprese al grande flusso delle cose umane. Dopo la Rivoluzione Francese l’onda dell’interesse sociale e urbano è andata esaurendosi. Decennio dopo decennio ci siamo sempre più convinti che la salvezza del mondo fosse da ricercare nell’individualismo. Che il miglior governo possibile fosse il non-governo; che la povertà dipenda dal vizio e dunque sia colpa individuale; che la responsabilità dell’impresa finisca ai cancelli della fabbrica. Così è montata quella marea fino a lasciare nudi e puzzolenti i tuguri dei quartieri popolari e tutto ciò che stanno a significare. E poi a ritrarsi lentamente. Anche le individualità di maggior successo non riuscivano più a credere nell’individualismo di fronte ai suoi evidenti pessimi risultati.

Così sono nate le associazioni per il miglioramento delle condizioni dei poveri. Le radici di questo movimento sociale risalgono all’epoca in cui benevoli ricchi signore e signori a metà del secolo scorso iniziavano a capire che il solo individualismo non bastava alla salvezza. In Inghilterra, là dove l’individualismo era stato più celebrato, emergeva Charles Dickens, i cui romanzi erano denuncia sociale caramellata; o Octavia Hill, esponente pioniera della carità e del movimento per la casa; o altri «bonari» signori di alto lignaggio che sostenevano leggi sociali di vario orientamento: la nobiltà si dimostrava forse più sensibile dell’alta borghesia. Poi ci fu anche Karl Marx, con metodi diversi. Ma indipendentemente dalle diverse idee, tutto contribuiva a invertire l’onda, che oggi va in direzione dell’interesse comune e del controllo comune. Che consapevolmente o meno interpretato dagli imprenditori convenuti ad Atlantic City, esprime motivazioni, egoismi, timori, inducendoli a pensare che comunque sia meglio nuotare in direzione della marea anziché limitarsi a galleggiarle sopra.

Dentro questo flusso dell’interesse comune, tanto forte da aver influenzato anche gli eventi della guerra, si va a superare il pregiudizio nazionale e addirittura a rendere possibile una lega delle nazioni libere, e studiamo argomenti quali la casa e i trasporti per i lavoratori. Solo qualche anno fa una riflessione del genere sarebbe stata classificata come eminentemente teorica da quella mentalità pratica, che riteneva assolutamente inalterabile, immodificabile la legge della domanda e dell’offerta; quando si notavano ma senza vederle le sponde dei fiumi trasformarsi in discariche e inquinare le fonti d’acqua municipali; quando si accettava senza battere ciglio il degrado delle zone più ovvie e accessibili delle città spendendo invece milioni di dollari per realizzare costosissimi spesso inutili sistemi di trasporto, solo ed esclusivamente perché non si sapeva considerare la collettività altro che come somma di individui.

Le linee generali di questa mia riflessione si possono riassumere brevemente. I particolari riempirebbero interi volumi, e poco è stato raccolto in forme maneggevoli. Localizzazione dei lavoratori significa non solo avere a disposizione quel lavoro, ma anche – cosa più importante – ridurre il turnover. Quest’ultimo aspetto della questione viene considerato da tempo e per varie ovvie ragioni, dato che si è notata una evoluzione dei modi del turnover del lavoro. Come accade per la mortalità infantile, anche una analisi superficiale mette in luce alcune situazioni che si potrebbero modificare grazie ad una azione comune – a partire dall’introduzione di latte puro e trattato invece di quello impuro e diluito in commercio – tale da provocare immediati e notevoli progressi. Progressi tanto facili e rapidi da convincere molti fra noi che così si risolvesse l’intero problema. Un vicolo sommerso da strati di spazzatura viene molto migliorato dal lavoro di una pala, ma non diventerà mai davvero pulito finché non entreranno in azione anche scopa e lavaggio.

E così tutte le migliorie dentro la fabbrica, materiali o organizzative che siano, potranno agire notevolmente sul turnover dei lavoratori con costi relativamente bassi in termini di riflessioni ed energie, perché richiedono pochissima azione comune e di gruppo. Ma a quel punto scopriamo di non aver ancora completato l’opera. Certo una generazione fa la nostra situazione attuale, quella almeno delle migliori imprese industriali, sarebbe apparsa quasi utopica. Ma vendo realizzato quell’utopia scopriamo che ancora il turnover non si riduce quanto dovrebbe, e iniziamo a capire lentamente quanto la questione interessi non solo la singola impresa, ma chiunque persegua questioni comuni e problemi come l’abbandono coniugale; e di come ciò debba preoccupare l’imprenditore nell’interesse dell’efficienza della propria fabbrica. Il marito che abbandona la moglie e la famiglia non solo li lascia a carico della comunità, ma ha perduto lo spirito che lo qualificava come lavoratore responsabile, diventando via via un instabile vagabondo, nell’esercito dei non impiegabili, che rappresenta uno dei grandi sprechi del nostro sistema. E la ragione di questo abbandono nella stragrande maggioranza dei casi sta al di fuoridei cancelli della fabbrica, pur facendo sentire all’interno i propri effetti.

Se quell’uomo avesse abitato in una casa migliore, in un quartiere migliore, se i suoi figli avessero frequentato scuole migliori, se i suoi vicini fossero stati più soddisfatti della propria esistenza, se si avessero avute migliori relazioni reciproche, quel potenziale vagabondo forse avrebbe resistito alla tentazione che invece l’ha trascinato via, una piccola cosa in sé ma solo l’ultima di una lunga serie di altre cose piccole e grandi: l’impazienza nella folla schiacciata dentro un tram ogni mattina e ogni sera, oppure cosa più grave, quando il prezzo della socialità al bar dell’angolo rende impossibile pagare il conto del droghiere. Non sono cose che dipendono dall’organizzazione dentro la fabbrica: si possono affrontare solo intervenendo sulle condizioni di vita, molto ben riassunte da quelle dell’alloggio. Ma qui ancora è necessario allargare la prospettiva di osservazione dagli individui alla comunità. Il miglioramento delle condizioni abitative è partito da interventi sulle singole abitazioni e ha fatto notevoli progressi. Era come quel lavoro della pala nel vicolo sporco – almeno era iniziato così – ad alleviare lo squallore dei tuguri. Anche nel campo dei trasporti si accettava di fatto la situazione e si cominciava ad alleviarla consentendo a chi aveva soldi e tempo di trasferirsi in luoghi migliori.

Ma dopo questo lavoro preliminare «di pala» abbiamo capito quanto fosse superficiale dopo tutto, e da ripetere di continuo visto che non cambiava nulla delle condizioni essenziali che l’avevano reso necessario. Invece di quartieri un po’ migliori, invece costosi e superflui mezzi per fuggire lontano, iniziamo a intuire che sarebbe assai più logico eliminarli, gli slum, e sfruttare i trasporti non per alleviare alcuni effetti delle pessime condizioni abitative, ma per migliorare la città in quanto tale. Usare il traporto, anche il più economico possibile, per funzioni inutili, è solo uno spreco di tempo e denaro. Nella forma più costosa, specie in quella forma più costosa di metropolitana sotterranea, appare rovinoso quando sfruttato come alternativa allo spostarsi a piedi o col tram. E dunque casa e trasporti ci portano inevitabilmente all’urbanistica, urbanistica che trova le sue basi in due questioni: in primo luogo le necessità dell’economia e della produzione; in secondo luogo, il problema della casa, che dà senso al costruire una città. Arrivati al concepire la città nel suo insieme, e non soltanto come aggregazione di singole individualità, siamo in grado di considerare l’idea di una adeguata redistribuzione delle sue parti in base ai bisogni.

Vanno in prima istanza affrontati produzione e commercio perché da essi dipende il flusso di ricchezza che sostiene tutto. A loro vanno dedicate le aree meglio attrezzate allo scopo. E i trasporti intesi sia come movimento merci che passeggeri, devono essere previsti a soddisfare questi bisogni. Ma non solo e non esclusivamente; anche il servizio ai bisogni di commercio e industria si può modificare a favore del servizio di chi è la ragione della loro esistenza. I bisogni delle persone quindi vengono in secondo ordine di considerazione, non di importanza. Anzi sostanzialmente vengono per primi, a partire da un ambiente adeguato, che non significa solo alloggi salubri – un progresso già in corso in alcune nostre città – ma anche spazi aperti, istruzione, tempo libero, ciò che promuove benessere comune, oltre all’accessibilità ai posti di lavoro che garantiscono tutto questo. Vale a dire che gli spazi della produzione e del commercio devono essere distribuiti in modo da rispondere ai propri bisogni nel modo più economico, ma anche da essere comodamente accessibili a chi ci lavora.

Filadelfia, per esempio, e per caso dato che nulla era stato programmato, illustra abbastanza schematicamente per quanto confusamente cosa potremmo fare in futuro più sistematicamente. Lì le attività sono distribuite in diversi nuclei, e di conseguenza una quota notevole e davvero inusuale di lavoratori ci può abitare abbastanza da andarci a piedi. Inoltre una grande quantità di questi lavoratori abita in case unifamiliari, e il sistema di trasporti è molto meno sviluppato che nelle città concorrenti che hanno adottato un sistema più meccanico. Se Filadelfia, invece di crescere così per caso, avesse consapevolmente programmato secondo le idee che si vanno affermando oggi, potrebbe essere un vero modello da imitare per le altre città. I tratti fondamentali non apparivano chiari e il fallimento dipende dai particolari di realizzazione. Oggi che quelle linee programmatiche appaiono più evidenti e consapevoli, per quanto non sempre nello stesso modo, oggi che si va affermando sempre più un controllo comune della crescita, Filadelfia ha l’occasione più di altre grandi città di sviluppare case e trasporti in modo da attirare manodopera e ridurre il turnover.

Nelle nuove zone industriali in rapida trasformazione esterne alla città esistente nasce una rete di trasporti a rispondere a necessità reali, e non a quelle determinate da difetti di sistema, che siano produttive e non sprechi. In queste zone esiste spazio per realizzare il genere di abitazioni che renderanno il lavoratore lieto di venire e pochissimo propenso ad andarsene. E mentre accade tutto questo, se la marea continua a montare con la medesima decisione, se i cittadini la seguono muovendosi nella medesima direzione correggendo i peggiori errori in materia di case e quartieri malsani sovraffollati, se si modificano i programmi per le infrastrutture di trasporto perché non portino solo risorse economiche, ma rendano il traffico passeggeri efficiente (linee principali a collegare i poli e linee minori per le comunicazioni interne). Il movimento passeggeri in una città dovrebbe riguardare solo chi si sposta su lunghe distanze, e questi dovrebbero essere una quantità minima realizzando la maggiore quantità possibile di abitazioni a distanza pedonale dai posti di lavoro.

da: Annals of the American Academy of Political and Social Science, Vol. 81, 1919 – Titolo originale: Housing and Transportation Problems in Relation to Labor Placement – Traduzione di Fabrizio Bottini

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