La normalizzazione dei mercati delle aree e degli alloggi attraverso la nuova legge urbanistica (1963)

1. Le finalità della legge urbanistica

Due sono essenzialmente le finalità che possono essere poste alla legge urbanistica:

  1. razionalizzare lo sviluppo urbano nelle sue caratteristiche tecniche ed eliminare gli effetti della speculazione: in tal modo si può ridurre il costo dell’alloggio;
  2. predisporre strumenti indispensabili per l’attuazione di una programmazione economica.

Le due finalità sono tra loro collegate in quanto la riduzione del costo degli alloggi attraverso la razionalizzazione nella concezione e nella attuazione delle opere di urbanizzazione e la eliminazione degli effetti della speculazione può favorire il raggiungimento degli obiettivi della programmazione economica, mentre la definizione di tali obiettivi, mediante la formulazione di un piano, può consentire più fondate previsioni sulle prospettive di collocamento e sviluppo nello spazio delle attività economiche e della popolazione, e facilitare in tal modo la razionalizzazione dello sviluppo urbano.

Può essere tuttavia opportuno esaminare separatamente le due finalità. In questo saggio ci soffermeremo in particolare sulla prima.

  1. Rendita assoluta e rendita differenziale

Appare opportuna qualche considerazione introduttiva sul fenomeno della rendita, per evitare inesatte impostazioni del problema del valore dei terreni fabbricabili e per meglio intendere quindi le modalità con cui si manifestano le attività speculative e le loro conseguenze. Occorre innanzi tutto distinguere le rendite assolute dalle rendite differenziali. Immaginiamo per il momento che la città sia di tipo circolare, distinguibile in corone ciascuna delle quali è costituita da lotti perfettamente sostituibili in tutti gli usi e quindi di uguale valore: la rendita differenziale dei terreni di una corona rispetto a quelli della corona più vicina (più lontana dal centro cittadino) è data dalla differenza tra il valore dei primi e il valore dei secondi. (Al fine di chiarire il meccanismo di formazione delle rendite non è necessario proporre uno schema urbanistico più realistico: i risultati cui perverremo valgono anche per schemi urbanistici più complessi. Essi anzi possono contribuire a spiegare il realizzarsi di schemi siffatti.)

Definiamo come corona esterna quella nella quale coesistono attività agricole non accidentali e insediamenti urbani di data recente e di tipo diverso dagli eventuali insediamenti sparsi di antica localizzazione ed in cui si stanno realizzando le necessarie opere di urbanizzazione. (In concreto, le zone in cui si manifestano i fenomeni, che in questo schema ideale son riferiti alla corona esterna, possono assumere forma e ampiezza varia nei diversi aggregati urbani.)

La città si può sviluppare in modo intensivo ed in modo estensivo quando la corona, che in un precedente periodo risultava esterna, diventa interna e si forma una nuova corona esterna che incorpora terreni prima totalmente utilizzati per attività agricole, eventualmente con abitati di tipo non cittadino (case sparse). Si sviluppa in modo intensivo quando aumenta la possibilità di recepire nuova popolazione senza che si sposti la corone esterna.

La rendita assoluta è rappresentata dalla differenza tra il valore di mercato dei terreni della corona esterna e il loro valore normale (o costo di produzione). Per una completa definizione della rendita assoluta occorre chiarire subito come si stabilisce il valore normale dei terreni della corona esterna (che chiameremo terreni marginali).

  1. Valore normale e prezzo di mercato

Il concetto di valore normale è stato chiarito dai teorici della libera concorrenza: esso è utilizzato nella teoria economica moderna per la soluzione dei problemi di efficiente distribuzione delle risorse.

Nell’ipotesi di libera concorrenza e di perfetta libertà d’entrata, il valore normale coincide con il costo medio-minimo. Infatti la perfetta libertà d’entrata presuppone che, ogni volta che si formano sul mercato degli extraprofitti o quasi rendite, nuove imprese siano indotte ad entrarvi e che queste abbiano la possibilità di realizzare la più efficiente delle tecniche produttive impiegate. L’offerta, in seguito all’entrata di queste imprese, viene espansa fino a quando il prezzo di mercato raggiunge il costo marginale nel punto in cui esso uguaglia il costo medio (in questo punto, come è noto, il costo medio è al suo livello minimo). A questo livello del prezzo cessa l’entrata, tutte le imprese hanno realizzato l’organizzazione più efficiente della produzione e ognuna ha espanso la produzione nella misura massima possibile, dato il prezzo di mercato (che eguaglia l’offerta complessiva alla domanda globale). Se le tecniche produttive non mutano e i prezzi dei fattori produttivi restano invariati, la curva di offerta di lungo periodo è data allora da una parallela all’asse delle quantità PP’ (l’ordinata corrisponde al costo medio-minimo delle imprese che nelle ipotesi anzidette rimane costante al variare della produzione). Spostamenti della curva di domanda CD portano a mutamenti nella quantità prodotta q’, il valore del prodotto rimanendo immutato e corrispondente al costo di produzione (valore normale).

4. Il valore normale dei terreni marginali

Chiediamoci ora se è immaginabile per i terreni edificabili un mercato che riproduca caratteristiche del mercato concorrenziale nel lungo periodo. Evidentemente la risposta è negativa, se noi consideriamo i terreni delle corone interne. La produzione di questi terreni non può essere adattata allo sviluppo della domanda: essi risultano di qualità diversa e per ciascuna qualità la disponibilità è limitata. Se la domanda di questi terreni supera l’offerta, si formano delle rendite differenti: sui fattori da cui dipende la dinamica della rendita differenziale ritorneremo fra poco.

Consideriamo ora la situazione dei terreni nella corona esterna. La corona esterna ha una caratteristica che la distingue dalle corone interne, essa può spostarsi con l’espandersi della domanda di alloggi. Tale espansione, se si prescinde da restrizioni e vincoli di cui diremo, si arresta quando la creazione di alloggi potenziali è aumentata fino a soddisfare la domanda potenziale, sia di coloro che desiderano un insediamento interno (disposti a pagare prezzi più elevati), sia di coloro che desiderano l’insediamento nella corona esterna al prezzo che si stabilisce per questi alloggi.

Dall’entità del primo rispetto ai secondi e dall’intensità delle preferenze per alloggi in corone interne, dipende il livello della rendita differenziale (per semplicità abbiamo implicitamente supposto una sola corona interna) e l’ampiezza e la dinamica spazio-temporale della corona esterna.

Si può affermare che il processo di espansione nell’offerta di terreni marginali riproduce le caratteristiche della libertà di entrata quando il prezzo dei terreni marginali coincide col loro valore normale. Noi sappiamo che il valore normale di un bene è dato dal suo costo minimo di produzione. Il costo di produzione di un ettaro di terreno utilizzabile a scopo edificatorio è dato dal costo dei beni che occorre impiegare per ottenere tale terreno: questi beni sono il terreno agricolo e le necessarie opere di urbanizzazione. Pertanto, il valore normale del terreno è dato dal costo che il terreno ha come terreno agricolo, aumentato dai costi delle opere di urbanizzazione e dagli interessi del capitale investito nel terreno agricolo e nelle opere di urbanizzazione, dal momento in cui il terreno è acquistato e le spese eseguite, a quello in cui si ha il nuovo bene (cioè l’alloggio). Osserviamo subito che il costo del terreno «fabbricabile» può non essere sostenuto interamente dal proprietario della casa: le spese di urbanizzazione sono finanziate in gran parte con le entrate fiscali delle Amministrazioni comunali. In questo e nei paragrafi successivi prescinderemo da questa divergenza che esamineremo più avanti.

Il costo del terreno agricolo si può supporre che rimanga costante se si assume che le condizioni pedologiche del terreno nella corona esterna in atto e in quelle potenziali siano pressoché identiche1. Infatti il terreno sottratto all’agricoltura in seguito all’edificazione (soprattutto in una economia aperta, inserita nell’economia internazionale) è una percentuale assai bassa del terreno potenzialmente disponibile per l’agricoltura, per cui il prezzo di quest’ultimo non subisce aumenti sensibili in seguito all’attività edificatoria. Supponiamo al momento che i costi di urbanizzazione restino costanti: come meglio diremo, questa condizione può essere sempre realizzata se i piani urbanistici sono efficienti, cioè se gli agglomerati urbani sono concepiti in modo da ridurre (a parità di qualità di servizi) il costo delle spese di urbanizzazione al minimo. In questo caso il costo di un ettaro di terreno edificatorio resta costante (prescindiamo per il momento dalle variazioni nel potere di acquisto della moneta e dalle variazioni negli altri prezzi). Qualunque sia la dinamica della domanda il prezzo dei terreni marginali resta allora uguale al valore normale. L’effetto di uno spostamento della curva della domanda ha soltanto l’effetto di aumentare la produzione di terreni edificatori cioè lo sviluppo estensivo della città.

5. Le cause che determinano l’aumento del costo dei terreni: la speculazione

Noi sappiamo che nelle città in espansione i prezzi dei terreni marginali sono superiori ai loro valori normali. I fattori che possono spiegare queste divergenze sono di due ordini:

  1. i fattori che provocano aumenti nel prezzo del nudo terreno;
  2. i fattori che determinano aumenti di costi delle infrastrutture e quindi delle opere di urbanizzazione.

Tra questi due ordini di fattori esistono dei collegamenti come risulterà fra poco.

Il costo dei terreni nella cintura esterna sale al di sopra del suo valore (prezzo) normale, cioè del valore che il terreno ha in relazione alla sua utilizzazione agricola, in quanto l’offerta dello stesso tende ad essere inferiore alla domanda che si stabilirebbe in corrispondenza al suo prezzo normale. La restrizione dell’offerta è la conseguenza:

  1. della speculazione;
  2. della politica delle infrastrutture.

Si possono distinguere due tipi di speculazione a seconda delle modalità con cui essa si manifesta:

a) grosse società acquistano vasti comprensori e procedono poi a vendere o a utilizzare per la costruzione quote limitate delle aree in possesso. La vendita e l’utilizzo avviene nelle zone più periferiche, in modo da favorire il formarsi di rendite differenziali nelle zone che così diventano interne, oltre che della rendita assoluta nelle zone più esterne.

Con un siffatto controllo monopolistico dell’offerta caratterizzato non solo nella sua dimensione totale ma anche nella sua distribuzione spaziale, le società mirano a realizzare il massimo della rendita (assoluta e differenziale) sull’intero comprensorio. E’ vero che in tal modo si riduce il ritmo di sviluppo dell’attività edilizia: l’aumento della rendita è per un vasto tratto superiore alla diminuzione dei profitti dell’attività di costruzione per cui l’associazione delle due attività non sembra in concreto portare ad una sensibile attenuazione della politica di restrizione monopolistica dell’offerta;

b) i numerosi proprietari di terreni della cintura esterna e delle zone limitrofe attribuiscono un valore (prezzo di riserva nell’accezione marshalliana), ai terreni che stanno per diventare terreni edificabili, superiore a quello che essi hanno come terreni agricoli: i proprietari scontano in tal modo, quanto meno, l’effetto del secondo ordine di fattori, limitanti la possibilità di terreni per la costruzione, di cui diremo fra poco. Essi pertanto non sono disposti a cedere i terreni a un prezzo inferiore all’anzidetto limite, in tal modo si determina una restrizione dell’offerta (attraverso questo diffuso comportamento collusivo di proprietari anche piccoli) che provoca il rincaro dei terreni.

Le due modalità della speculazione si manifestano congiuntamente quando, accanto alle grandi società, stanno piccoli proprietari. Le grandi società colla loro politica di restrizione dell’offerta determinano un’ascesa del prezzo dei terreni: i piccoli proprietari adeguano le loro richieste alle possibilità di realizzo quali risultano in seguito alla politica delle grandi società.

Il tipo di speculazione prevalente non è senza influenza sul tipo di sviluppo urbanistico. Il secondo tipo (che si manifesta attraverso il comportamento collusivo di numerosi piccoli e medi proprietari si aree) favorisce uno sviluppo espansivo continuo a macchia d’olio; il primo tipo uno sviluppo discontinuo con la formazione di insediamenti residenziali provvisoriamente staccati dai concentrici ai quali poi sono ricongiunti da costruzioni effettuate in periodi successivi. Naturalmente il tipo concreto di sviluppo urbanistico dipende, oltre che dal tipo di speculazione, in misura notevole dalla configurazione delle vie di comunicazione, da numerosi altri elementi geologici e climatici, dalla politica delle infrastrutture e dagli insediamenti industriali.

6. Le cause che determinano l’aumento del costo dei terreni. Le politiche urbanistiche

La politica delle infrastrutture (opere di urbanizzazione) concorre a favorire la restrizione dell’offerta dei terreni della cintura esterna, in quanto essa tende generalmente a creare una disponibilità di terreni per l’edificazione nella cintura esterna, inferiore a quella che sarebbe richiesta se il prezzo dei terreni si stabilisse a livello normale; ciò in quanto:

  1. l’insufficienza dei mezzi non consente al Comune di realizzare in anticipo opere di urbanizzazione sufficientemente estese da rendere potenzialmente disponibili vaste aree per l’edificazione nella cintura esterna;
  2. il Comune trova a volte difficoltà a concepire un ampliamento della cintura esterna con la creazione di insediamenti residenziali staccati dal concentrico. (In effetti se si abbandona lo schema semplice da noi accolto si può concepire la cintura esterna come costituita da insediamenti non contigui tra di loro e al concentrico, ma collegati con questo in modo da costituire un complesso urbanistico organico e unitario.) Infatti il concepire la cintura esterna in questo modo può comportare reazioni da parte dei numerosi proprietari che vedono i terreni di altri (compresi nelle zone destinate a centri residenziali) improvvisamente e cospicuamente valorizzati, mentre il lasciare che l’espansione urbanistica avvenga a macchia d’olio, per l’espansione continua e progressiva del centro, favorisce uniformemente i proprietari che si trovano alla stessa distanza, cioè in condizioni che, per quanto riguarda l’aspettativa di incrementi nei valori delle aree, sono dall’opinione prevalente (ancorata alla vecchia concezione della città) considerate omogenee.

Quando operano poche e grandi società immobiliari, la pressione di queste ultime sulle autorità comunali può portare a un diverso indirizzo di politica urbanistica proprio nel senso di favorire un’estensione a salti dell’abitato. Se le società immobiliari hanno avuto libertà di movimento nella scelta dei comprensori (non essendo stati notevolmente condizionati da comportamenti collusivi dei proprietari originali), per cui quelli da essi acquistati vantano condizioni obiettive favorevoli all’insediamento, e se esse appaiono disposte a fare alcune opere di urbanizzazione, la loro azione di pressione può portare facilmente a risultati a loro favorevoli, più efficienti, invero, di quelli che si ottengono quando il Comune attua l’altra politica urbanistica più sopra ricordata, essendo prevalente il secondo tipo di speculazione. Naturalmente si tratta di una maggiore efficienza relativa, di una politica rispetto ad un altro tipo di politica, essendo le due le sole possibili dell’attuale contesto istituzionale, anche per le ragioni che meglio chiariremo in appresso. Entrambe queste politiche, nelle modalità che attualmente assumono, sono lontane dall’assicurare la più efficiente struttura urbanistica in relazione alla preferenza naturale per la residenza, alle prospettive di sviluppo economico e all’efficienza della organizzazione urbanistica stessa.

7. I fattori che tendono a provocare un aumento dei costi di urbanizzazione

I fattori di cui si è detto nel paragrafo precedente tendono a provocare un aumento nel costo dei terreni: alcuni di essi, insieme ad altri fattori, tendo a provocare anche un aumento nei costi di urbanizzazione e quindi un ulteriore accrescimento del costo di «produzione» del terreno fabbricabile, per la collettività.

I costi di urbanizzazione dipendono dalla dimensione della città e dalla sua struttura urbanistica, oltre che dalle caratteristiche tecniche delle infrastrutture e da quelle dei servizi pubblici che con esse si producono (queste caratteristiche tecniche sono spesso collegate alle caratteristiche urbanistiche).

La mancanza di piani urbanistici inquadrati in piani economici, in grado di stabilire obiettivi di localizzazione e di sviluppo delle varie attività e delle occupazioni e di consentire fondate congetture sulla dinamica di altre variabili, è di ostacolo alla concezione di efficienti infrastrutture. Inoltre la pressione degli interessi particolari (quella specifica dei grandi proprietari o delle società immobiliari e quella meno esplicita dei numerosi proprietari di terreni suscettibili di essere valorizzati a scopo edilizio) non consente ai Comuni di configurare agglomerati urbani validi urbanisticamente ed economicamente efficienti. Ciò comporta oltre a numerosi altri inconvenienti quello di un aumento dei costi di urbanizzazione e dei servizi pubblici.

8. L’aumento delle rendite differenziali

Mentre la rendita assoluta rappresenta un fenomeno patologico, la rendita differenziale è ineliminabile, in quanto si determina per le corone interne una domanda di terreni a scopo di costruzione superiore alla possibilità degli stessi, che non può essere espansa.

Tuttavia tra la dinamica della rendita differenziale e la dinamica della rendita assoluta si possono stabilire delle connessioni in quanto alcuni fattori concorrono ad influire sull’una sull’altra. Sarebbe interessante condurre delle ricerche di taglio sociologico per stabilire come in concreto si determinino le preferenze per certi quartieri piuttosto che per altri, per le zone centrali piuttosto che per le zone periferiche. La struttura sociale, le caratteristiche degli aggregati urbani, la distribuzione delle attività economiche, le decisioni di gruppi limitati che possono influire sugli orientamenti di gruppi più vasti, le concezioni architettoniche prevalenti, lo sviluppo di certi servizi sociali, le tendenze associative ed in genere i valori culturali prevalenti, concorrono a determinare le preferenze spaziali (e per i vari tipi di residenze). Le preferenze spaziali si manifestano, però, in relazione alle alternative concretamente offerte. Supponiamo per semplicità che il solo fattore rilevante nella valutazione dei gradi di utilità dei terreni delle diverse corone sia la distanza dal centro, espressa naturalmente in tempo medio di percorrenza.

Se si modifica la struttura urbanistica con la creazione di tipi diversi di servizi pubblici che riducano sensibilmente i tempi di percorrenza, l’utilità dei terreni di una cintura continuerà ad essere inferiore all’utilità dei terreni di una cintura più interna; in generale però i richiedenti di aree saranno disposti a pagare per i terreni più interni una differenza di valore inferiore a quella che, prima del mutamento dei mezzi di trasporto, trovavano conveniente sborsare. Analogamente se tra i fattori che determinano le preferenze spaziali vi è la disponibilità di certi servizi, una configurazione urbanistica diversa dall’attuale che consenta un decentramento di tali servizi può portare ad una riduzione delle rendite differenziali per i terreni delle cinture interne. Non è possibile, in assenza di studi più approfonditi sul fenomeno delle rendite differenziali, di carattere economico e sociologico, stabilire in che misura la rendita differenziale potrà diminuire in una data zona in seguito a mutamenti negli orientamenti urbanistici. E’ appena il caso di ricordare che gli indirizzi culturali e la dinamica nei valori culturali, che si collega ad altre caratteristiche del processo di sviluppo economico e sociale, hanno un peso notevole sulle preferenze spaziali, per cui anche se si possono stabilire, con riguardo ad una particolare situazione storico-geografica, gli effetti della politica urbanistica sulla rendita differenziale, difficilmente si possono formulare generalizzazioni valide per una classe sufficientemente ampia di situazioni, tali dal poter essere qualificate come leggi scientifiche.

A noi basta però osservare che alcune particolari politiche urbanistiche possano portare ad una riduzione della rendita differenziale.

  1. Innanzitutto la restrizione dell’offerta dei terreni nelle zone periferiche provoca aumenti anche nella domanda dei terreni nelle zone centrali; tali aumenti possono portare ad un aumento nel valore dei terreni centrali superiore alla rendita assoluta sui terreni marginali e quindi ad un aumento della rendita differenziale. Ciò si verifica soprattutto se la assai limitata offerta dei terreni nella cintura esterna è dovuta all’insufficiente sviluppo delle opere di urbanizzazione che si accompagna anche, in non pochi casi, ad una attuazione diluita nel tempo e ad una realizzazione qualitativamente scadente (specie nel secondo tipo di politica urbanistica).
  2. In secondo luogo la concezione dello sviluppo urbanistico che queste politiche comportano accentuano i vantaggi delle zone centrali. Difettano infatti i programmi di realizzazione di complessi urbanistici organici (con i loro servizi sociali) in quartieri periferici organicamente collegati al centro. Le preferenze naturali portano allora ad una più intensa domanda dei terreni nelle zone centrali.

Sarebbe interessante studiare gli effetti che potranno avere nel futuro alcune conseguenze negative di questo orientamento dell’espansione spontanea, che ha provocato un rapido accrescimento delle rendite differenziali, superiore a quello che si sarebbe realizzato con piani di espansione delle città urbanisticamente ed economicamente efficienti: la congestione e il peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie. Non è inutile osservare come in conseguenza delle tendenze passate si sia resa più difficile la risoluzione dei problemi che il determinarsi delle anzidette conseguenze negative pone alla organizzazione urbanistica. Nell’attuale contesto l’acquisto di aree per decongestionare le zone centrali e per attrezzarle a verde comporta oneri finanziari tali da essere difficilmente sostenibili anche da Amministrazioni comunali molto ricche.

Nuove concezioni urbanistiche potrebbero poi influire sulle rendite differenziali creando nuovi vantaggi a coloro che vivono nei quartieri decentrati, suscettibili anche di influire sulla dinamica dei valori culturali (possibilità di nuovi passatempi, di più facili ed accessibili attività sportive, ecc.).

9. Strumenti necessari per eliminare la rendita assoluta e per ridurre la rendita differenziale

La teoria economica insegna che le rendite patologiche, cioè quelle che risultano da divergenze tra il prezzo di mercato e il valore normale, sono causa di una cattiva distribuzione delle risorse e pertanto vanno eliminate. E’ per questa ragione che in molti paesi si è ritenuta necessaria una legislazione antimonopolistica. Pertanto per un efficiente impiego delle risorse è necessario che sia eliminata la rendita assoluta sui terreni marginali. Per le rendite non eliminabili che risultano da fattori naturali (impossibilità di aumentare la produzione di un bene) il solo problema che si pone è quello della loro appropriazione: in altre parole si tratta di stabilire se conviene colpirle con imposte. Di questo problema non ci occuperemo in questo saggio: cercheremo invece di indicare gli strumenti con cui si possono eliminare le rendite assolute e certe forme patologiche di rendite differenziali.

Due condizioni debbono essere realizzate perché la rendita assoluta possa essere eliminata:

1) Una politica urbanistica in grado di realizzare una espansione urbanistica economicamente e tecnicamente efficiente e quindi la creazione di zone attrezzate con opere di urbanizzazione, per cui si possa determinare una adeguata disponibilità di terreni potenzialmente utilizzabili a scopo di edificazione.

  1. Un’effettiva messa a disposizione dei richiedenti di alloggi, di aree per costruzioni in misura adeguata.

Perché una politica urbanistica del tipo anzidetto sia possibile, occorre che si realizzino alcune condizioni.

  1. In primo luogo è necessario che i proprietari di aree che nell’ambito del piano regolatore sono potenzialmente suscettibili di essere valorizzate a scopo edificatorio, realizzino per le stese un prezzo che è indipendente dall’utilizzo che delle stesse aree è deciso nel piano comunale. Solo se questa condizione è soddisfatta si potranno evitare le pressioni dei proprietari sulle autorità comunali per ottenere che sia configurato un piano regolatore suscettibile di favorire al massimo il rincaro dei loro terreni. Infatti per eliminare i fenomeni patologici delle rendite occorre realizzare uno sviluppo urbanistico che, mentre crea con adeguate espansioni delle opere di urbanizzazione una potenziale disponibilità di aree in armonia ai probabili sviluppi della domanda di alloggi (a prezzi corrispondenti ai valori normali) configuri la struttura urbanistica in modo tale da ridurre al minimo i costi di urbanizzazione. Orbene, per quanto si è detto, la pressione degli interessi particolari impedisce la realizzazione di una siffatta politica urbanistica. L’enorme divergenza tra i valori che possono assumere i terreni ai margini della zona urbana in relazione alle diverse alternative (vincolo a verde agricolo o autorizzazione alla costruzione) spingono i proprietari a ricorrere a tutti i mezzi possibili per influire sulle decisioni urbanistiche dei Comuni.

  2. Altra condizione necessaria per la realizzazione di una politica urbanistica che raggruppa gli obiettivi anzidetti è una concezione razionale delle opere di urbanizzazione ed una loro attuazione graduale con criteri di efficienza economico-tecnica. A tale concezione è di ostacolo la deficienza dei mezzi finanziari dei Comuni. Si assiste attualmente alla situazione paradossale che mentre l’espansione urbanistica provoca cospicui fenomeni di rendita per i privati, per i meccanismi che abbiamo cercato di interpretare, comporta alle pubbliche amministrazioni crescenti oneri finanziari per le opere di urbanizzazione. I costi delle opere di urbanizzazione come abbiamo già osservato vanno considerati costi per la «produzione» di terreno edificabile. Essi pertanto devono essere compresi nei costi della costruzione, posti cioè a carico di coloro che utilizzano i terreni a scopo di edificazione. Occorre subito osservare che i costi di urbanizzazione debbono essere considerati globalmente per un intero agglomerato urbano organico e unitario – cioè per i rapporti di complementarietà che sussistono fra le diverse infrastrutture – ed essere caricati poi su tutti i terreni edificabili a scopo residenziale o ad altro scopo della zona che abbraccia l’anzidetto agglomerato. Tra i costi di urbanizzazione sono da includersi anche quelli per la formazione di parchi pubblici oggi particolarmente necessari per contrastare alcune conseguenze negative della agglomerazione.

  3. Terza condizione che deve essere realizzata per consentire una politica urbanistica razionale, che tra l’altro permette l’eliminazione delle rendite patologiche, è la capacità del Comune di procedere a vaste trasformazioni urbanistiche di quartieri anche centrali delle vecchie città. La realizzazione di città razionali è spesso ostacolata dalla struttura dei grandi centri metropolitani che non consente di sopportare il traffico in continua espansione anche per il gravitare sul centro di un’area sempre più vasta. Pertanto, quando non si tratti di centri di valore storico, la ricostruzione edilizia del centro dev’essere orientata verso nuovi modelli in grado di consentire la formazione di più ampi spazi verdi e di posti (eventualmente sotterranei) per parcheggi. Occorre pertanto che il Comune abbia la possibilità di condizionare seriamente la riorganizzazione urbanistica anche nei centri urbani esistenti.

  4. Infine per eliminare la rendita occorre garantire una offerta di terreni nella cintura esterna in grado di soddisfare la domanda quale si manifesta ai prezzi corrispondenti ai valori normali.

10. L’esproprio, strumento indispensabile per l’eliminazione della rendita e per l’impostazione di programmi urbanistici razionali

Il solo meccanismo che a nostro avviso può consentire la politica urbanistica delineata nei paragrafi precedenti è l’esproprio delle aree che con la formazione dei piani particolareggiati diventano suscettibili di essere utilizzate a scopo di edificazione2.

Con l’esproprio – cioè col passaggio dal vecchio proprietario al nuovo che utilizza il terreno per costruzione attraverso il Comune – si assicura:

  1. che il valore del terreno realizzato dal vecchio proprietario sia indipendente dall’utilizzo che dello stesso è previsto e consentito dal piano regolatore, con la specificazione che di esso è fatta con i piani particolareggiati;
  2. che le aree siano aggregate o disgregate indipendentemente dai vecchi confini di proprietà, in armonia alle esigenze del piano regolatore;
  3. che le opere di urbanizzazione siano realizzate organicamente per un’area sufficientemente vasta che viene messa all’asta: le opere di urbanizzazione potranno essere così concepite secondo criteri di razionalità urbanistica e di efficienza economica, mentre i richiedenti di alloggi possono contare su nuove zone di insediamento completamente attrezzate. Diventa allora possibile una politica urbanistica in grado di ridurre anche le rendite differenziali;
  4. che i costi di urbanizzazione siano posti a carico degli utilizzatori delle aree.

Perché l’esproprio possa validamente realizzare qui anzidetti occorre che:

  1. esso sia generale, cioè concerna tutte le aree che sono o diventano edificabili nelle zone soggette a piani particolareggiati, per le quali cioè le Amministrazioni comunali debbono impegnarsi a realizzare le opere di urbanizzazione con le quali si rendono edificabili i terreni;
  2. che esso sia realizzato gradualmente cioè per zone stabilite in relazione:
  3. allo sviluppo della domanda di alloggi che dipende prevalentemente dallo sviluppo demografico e dallo sviluppo dei redditi;
  4. alle esigenze di attuazione del piano regolatore e in particolare alle esigenze di razionalità urbanistica e di efficienza economica delle infrastrutture;
  5. alle preferenze spaziali manifestate dai cittadini.

Le tendenze di sviluppo della città nel passato non sempre non sempre forniscono valide indicazioni per stabilire tali tendenze. Appare pertanto opportuno che la legge consenta che siano espropriate aree, oltre che nelle zone di attuazione di piani particolareggiati determinati dalle Amministrazioni comunali, anche in alcune zone indicate da privati disposti ad insediarvisi purché ciò non crei difficoltà o inefficienze nell’attuazione del piano regolatore.

La gradualità nella realizzazione dell’esproprio è imposta anche da considerazioni economico-finanziarie. Tra l’esproprio dell’area e la sua definitiva utilizzazione a scopo edificatorio intercorre un certo intervallo di tempo. Se l’ampiezza degli espropri è eccessiva si corre il rischio che il Comune debba indebitarsi, oltre i limiti ragionevoli, per corrispondere il valore delle aree agli espropriati in attesa di realizzare tale valore attraverso la cessione all’asta dei terreni.

11. Il prezzo dell’esproprio

Perché l’esproprio possa consentire l’effettiva eliminazione delle rendite patologiche occorre che il prezzo dell’esproprio sia stabilito al netto di tali rendite. Per i terreni che rientrano nella cintura esterna il problema è relativamente semplice: il valore normale di questi terreni è il valore che essi hanno come terreni agricoli: il prezzo di esproprio deve essere stabilito a tale livello. Poiché questo è il valore normale, il Comune non può correre alcun rischio per il mutare della dinamica della domanda di alloggi. Occorre infatti tenere presente che in Italia i rapidi incrementi di valore delle aree nei grandi centri sono stati possibili grazie alle forti immigrazioni (per cui la restrizione dell’offerta dovuta alle cause che abbiamo ricordato nei paragrafi precedenti ha potuto avere effetti rilevanti). Se l’immigrazione dovesse cessare e se per alcuni grandi centri dovessero addirittura verificarsi dei fenomeni di esodo in relazione anche ai programmi economici ed urbanistici intesi a valorizzare nuove zone, il valore delle aree marginali potrebbe subire notevoli riduzioni, ma non potrebbe mai scendere al di sotto del loro valore normale. I nuovi orientamenti nella politica agraria possono portare a riduzioni di prezzo dei terreni agricoli: è da prevedere però che tali riduzioni non saranno molto sensibili per i terreni nelle vicinanze delle città, suscettibili di particolari valorizzazioni agricole.

Per i terreni che sono o si rendono disponibili nelle corone interne il problema si presenta assai più arduo. Occorre per questi terreni riconoscere una certa rendita differenziale che però può divergere da quella attuale. Sul piano legislativo no sembra si possa prospettare una soluzione diversa da quella accolta nel disegno di legge Sullo.

L’eliminazione delle rendite patologiche risponde ad esigenze di efficienza economica ancor prima che ad esigenze di ordine sociale. La distribuzione dei vantaggi di tale operazione può essere attuata secondo criteri diversi: su questo punto ritorneremo più avanti.

12. La necessità di un amministrazione separata

Il pericolo che il meccanismo delineato nei paragrafi precedenti può comportare è una restrizione monopolistica da parte dei Comuni. I terreni espropriati debbono essere ceduti a coloro che li utilizzeranno a mezzo di aste pubbliche: il prezzo di base dell’asta è dato dal prezzo riconosciuto al proprietario originario aumentato della quota dei costi di urbanizzazione che è caricata sull’area; il prezzo di effettiva cessione però può divergere dal prezzo base, se l’offerta risulta inferiore alla domanda. I Comuni potrebbero essere tentati di svolgere una politica siffatta al fine di realizzare degli utili che, entrando nel bilancio comunale, potrebbero loro consentire di alleggerire l’imposizione fiscale.. Per eliminare tale tentazione è necessario stabilire che i movimenti finanziari relativi alle operazioni di esproprio e di cessione dei terreni e alla realizzazione delle opere di urbanizzazione siano contabilizzati in un conto particolare («Urbanistica») il cui saldo può essere utilizzato solo per sviluppare l’edilizia popolare o per favorire, nel quadro delle indicazioni della programmazione regionale, la valorizzazione delle zone industriali. In tal modo si riduce fortemente la tentazione dei Comuni di praticare una politica di restrizione nella concessione dei terreni all’asta. Se poi risultano dei saldi attivi questi sono utilizzati al fine di favorire lo sviluppo urbanistico.

A questo punto conviene accennare al problema della ripartizione dei vantaggi di una politica urbanistica razionale (che deve, per quanto si è detto, tra l’altro eliminare le rendite patologiche). Personalmente ritengo che i vantaggi di una tale politica debbano tradursi essenzialmente in una riduzione del costo degli alloggi; occorre in proposito osservare che i meccanismi accennati più sopra favoriscono anche il progresso tecnico nelle costruzioni attraverso l’omogeneizzazione e la standardizzazione di processi e di parti. Una riduzione del costo delle costruzioni può aumentare il potere d’acquisto delle masse lavoratrici e rappresentare un vantaggio notevole sia per la massa dei consumatori che per l’industria, che oggi risente negativamente degli aumenti patologici negli affitti. Si tratta di vantaggi considerevoli cui oggi si rinuncia per l’incapacità di contrastare interessi particolaristici (degli speculatori). Personalmente sono in linea di massima favorevole al nuovo disegno di legge Sullo predisposto da una Commissione della quale ho fatto parte. Tale progetto accoglie sostanzialmente i criteri suesposti3.

Coloro che desiderano una diversa ripartizione dei benefici della riorganizzazione e dello sviluppo urbanistico possono prospettare la loro esigenza senza rinunciare ai vantaggi che il meccanismo dell’esproprio, come si è visto sopra, può consentire e che appaiono più rilevanti se si considerano altre finalità della politica urbanistica. E’ sufficiente stabilire che per tutta la durata prevedibile dei piani regolatori, ogni anno un quota degli utili del conto «Urbanistica», di cui si è detto sopra, sia ripartita tra tutti gli espropriati o espropriandi in proporzione alla superficie delle loro aree: coloro che verranno espropriati un certo numero di anni dopo l’inizio dell’attuazione del piano riceveranno allora la loro quota di utile anche per le annate passate. E’ possibile pensare a tecniche di pagamento (con cartelle simili a quelle dei titoli obbligazionari, le cui cedole possono essere incassate presso Istituti Bancari) di facilissima attuazione.

Il problema dell’efficienza tecnica può essere così sganciato dal problema della distribuzione dei vantaggi che – mi sia consentito di ripetere – appare però preferibile si realizzi attraverso una riduzione dei costi degli alloggi e quindi degli affitti, come il meccanismo accolto dal progetto Sullo sostanzialmente consente. A tal fine è opportuno che i Comuni operino in modo da bilanciare il conto «Urbanistica».

La legge urbanistica può essere così un efficace strumento per aumentare l’efficienza del sistema economico. Essa appare necessaria poi per fornire strumenti indispensabili per l’attuazione della pianificazione economica. Ma di questo diremo prossimamente.

da: Urbanistica n. 38, marzo 1963 – Immagine di copertina: Fiorentino Sullo, da «Cinquant’anni dalla Legge Urbanistica», particolare 

NOTE

1 Il costo del terreno agricolo esterno alla città (nella corona esterna) può essere superiore al costo del terreno agricolo in zone più lontane in quanto la vicinanza alla città può consentire colture più redditizie.

2 Vedi gli artt. 17, 23, 24, 25, 26 del «Progetto della nuova legge urbanistica» predisposto dalla Commissione nominata e presieduta dal Ministro dei LL.PP. on. Sullo (Urbanistica 36-37).

3 Qualche disposizione dell’attuale progetto di legge potrebbe essere mutata. Mi limiterò in particolare a segnalare in relazione ai problemi discussi in questo capitolo, l’opportunità che:

  1. siano meglio precisati i criteri con cui i Comuni debbono procedere all’esproprio delle are inedificate e di quelle per le quali si prevedono trasformazioni urbanistiche, nell’ambito del piano particolareggiato (art. 23);

  2. sia esplicitamente considerato l’utilizzo di terreno a scopo di insediamento industriale e regolato con criteri analoghi a quelli stabiliti per l’utilizzo delle aree per edilizia residenziale;

  3. sia previsto il caso che il vecchio proprietario chieda che gli sia restituito il terreno espropriato, al prezzo di base dell’asta, per utilizzarlo, in armonia alle disposizioni del piano particolareggiato, entro un certo termine, per costruzione di casa intestata a se stesso o ad un suo familiare e per la quale sia disposto ad accettare il vincolo di inalienabilità per un certo numero di anni.

Si potrebbe anche riesaminare l’opportunità di mantenere la disposizione che prevede la cessione del mero diritto di superficie (la cui durata però dovrebbe essere fissata univocamente dalla legge) o modificarla nel senso che l’utilizzatore dell’area possa ottenere, attraverso l’asta, la proprietà del terreno.

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