La scintilla dell’ideologia suburbana

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Foto N. Bassani

Quando i Tre Uomini in Barca al lordo del Cane decidono di aver bisogno di una vacanza, hanno chiarissimo un quadro dei loro bisogni: relax, una bella distanza dai fumi e dallo stress della metropoli, ma tutto con una certa comodità, e la possibilità di tornare a piacere verso gli amati marciapiedi della pazza folla. In altre parole, nel loro immaginario manca esattamente quel che negli anni ’80 del XIX secolo, in cui prende vita a puntate su un giornale la loro storia, pare l’universale sogno fantozziano nazionalpopolare: trasformare quell’uscita fuori porta in esperienza quotidiana, grazie ai potenti mezzi messi a disposizione dal trasporto meccanico. Col tram e le ferrovie suburbane diventa infatti accessibile al ceto medio ciò che prima era appannaggio solo di una fascia piuttosto alta ed esclusiva della società, la villa in campagna, con gli adeguamenti del caso, riguardanti sia il primo che ahimè soprattutto il secondo termine.

Succede, in breve, che la villa diventa cottage nella versione di massa accessibile a redditi di parecchio inferiori, anche se non ancora popolari, ma è la campagna a subire la mutazione più profonda, che si avvicina parecchio alla cancellazione, e non a caso abbastanza rapidamente da questa forma di prima suburbanizzazione di massa nascerà la moderna pianificazione urbanistica, sia con le leggi generali che estendono l’area e gli obiettivi del piano, sia con provvedimenti speciali come i primissimi contro lo «sviluppo a nastro» per la tutela del paesaggio, o sulla greenbelt.

Nuove frontiere

Nel frattempo però l’antica ideologia antiurbana del cosiddetto ritorno alla terra, della fuga dai fumi e dallo stress, aveva avuto modo di imporsi come nuovo conformismo, mercato di massa, sogno preconfezionato. Infinite schiere di casette una di fianco all’altra, ad anticipare la versione successiva alla seconda guerra mondiale alimentata dall’automobilismo di massa, ma già a banalizzare nella versione tranviaria della cosiddetta Metro Land i sogni di città giardino, nuovi equilibri uomo-natura, industria-agricoltura, tutto cacciato nel frullino della speculazione. Quanto bene avevano fatto Jerome, George, Harris e Montmorency, a godersi la loro settimana in barca sul Tamigi per poi tornare nella casa londinese, invece di pretendere quel ridicolo ricongiungimento definitivo con la campagna, ormai scomparsa proprio sotto i giardinetti e i vialetti di impiegati meno saggi di loro. Non c’era proprio nulla di intelligente ed equilibrato in quell’antica versione di suburbio, magari meno impattante e alienato solo se guardato attraverso la solita lente deformante della nostalgia, magari un po’ meno individualista negli stili di vita, senza automobile televisione centro commerciale. Ma che conteneva in nuce, in quel suo ridurre ogni cosa a marmellata indistinta da vendere a fette spalmate sul mercato, quanto sarebbe accaduto dopo, e che gli urbanisti non riuscirono a bloccare in tempo, al massimo a contenere.

Riferimenti:

Adam Forrest, Metroland, 100 years on: what’s become of England’s original vision of suburbia? The Guardian, 10 settembre 2015

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