Il problema della circolazione stradale a Milano (1923) Parte II

I vigili urbani

Da noi il pedone non forma ancora correnti molto fitte regolarmente fluenti, tali che occorrano ad esse arresti comandati nella teoria dei veicoli per ficcarsi nella breccia prima che il movimento dei veicoli venga di nuovo permesso. Le direttive municipali per ora si limitano sostanzialmente ai rotabili. Nei rari punti ove è posto un vigile adibito specificamente a regolare la circolazione, questo fa ciò che sa e che può, vale a dire pochino. Quasi sempre è poco destro e non per colpa sua, ma perché non viene opportunamente istruito. Malgrado la buona volontà che evidentemente pone nel suo servizio, esso non sa rendersi conto con chiarezza del come sciogliere una matassa tanto difficile. Recentemente un belga assai competente chiedeva alle autorità di Bruxelles che qualche vigile fosse mandato a Parigi o a Londra per impararvi l’arte. Figuriamoci se ciò non sarebbe opportuno a Milano!

La mancanza di metodo nei vigili fa sì che qualcuno rimane nel crocicchio pericoloso poco meno che impassibile e qualche altro gesticola come un direttore d’orchestra. I conducenti non possono farsi un’abitudine di interpretare sicuramente i loro segni, che dovrebbero essere costanti ed eguali per tutti. Occorre quindi un insegnamento preparatorio, d’altronde rapido e facile, purché il maestro sia capace e ben istruito. L’istruzione del vigile è tutta da fare di sana pianta. La maggior parte degli agenti quando non è in servizio speciali di circolazione, non si preoccupa affatto di qualsiasi inconveniente perché non vi annette importanza. La prima cosa per non trascurare una vigilanza continua, che sarebbe tanto utile, è di attribuirle il valore tecnico che effettivamente ha. Ma a questa convinzione si può giungere soltanto con un insegnamento tra noi del tutto sconosciuto.

La questione della circolazione è complessa: soltanto la competenza varia ed illuminata di un maestro ricco d’esperienza può chiarirne i termini regolamentari e quelli di opportunità a menti subordinate che debbono sorvegliarla e dirigerla. Anche qui il manualetto di circolazione di cui dico più sotto, avrebbe un valore sostanziale se rappresentasse l’epilogo di un vero corso di istruzione opportunamente condotto. È da notare che soltanto una concezione ristretta e meschina dell’ambiente potrebbe fissare, come un caposaldo di miglioramento di circolazione, la contravvenzione. Appunto perché una circolazione perfetta non si può avere, massime in Milano, per ragioni in parte insuperabili, occorre educare e persuadere e soltanto quando siano evidenti la malavoglia e la malafede, punire.

Recentemente il Touring ha indotto il comune di Arona a rinunciare a colpire di ammenda – ed erano ammende dalle 30 lire in su – gli automobilisti che venendo da Milano per andare al Lago Maggiore attraversano seguendo l’itinerario naturale la città. È bensì vero che all’entrata della via mediana un cartello averte che vi è proibito il passaggio delle auto, ma spesso il cartello sfugge alla vista. Seguendo il percorso che pareva naturale di dover fare, molti incappavano in agenti regolarmente imboscati per il preciso scopo di mettere una grossa contravvenzione e guadagnarsi la percentuale. È chiaro che o il cartello avrebbe dovuto essere straordinariamente visibile, oppure gli agenti avrebbero dovuto essere là, pronti ad avvertire e far tornare indietro, limitandosi a punire in caso di recidiva. Ben più civilmente a Roma dove per lungo tempo molte vie furono proibite alle auto e prima anche alle biciclette, i vigili si limitavano ad avvertire i contravventori ai divieti e colpivano con ammende pecuniarie soltanto nei casi in cui risultasse palese o presumibile l’infrazione volontaria.

Per i conduttori di veicoli

Alla loro volta i conduttori di veicoli devono essere «lavorati» ben altrimenti di quanto oggi si faccia. Per la loro educazione vi sono due vie: l’insegnamento e la coercizione. Tutto ciò che è servizio pubblico può essere coordinato ad un insegnamento iniziale semplice ma completo impartito da chi di ragione. I tramvieri ricevono già questo insegnamento rispetto alla velocità, al modo di comportarsi e alle precedenze nei bivi e negli incroci, ai rallentamenti ed agli arresti per gli ostacoli. L’immediata catastrofe che può produrre l’inosservanza delle istruzioni, di cui essi pure sarebbero vittime, o almeno dovrebbero rispondere come responsabili, li abitua ad una effettiva disciplina di circolazione. Perché non si farebbe una scuola altrettanto chiara e completa ai conducenti di auto pubbliche e private?

Qualche cosa di più di un decalogo può essere contenuto in un manualetto pratico di circolazione suburbana ed urbana di non molte pagine e sulla sua conoscenza potrebbe essere imposto un esame severo a tutti i conducenti pubblici. Quelli privati possono essere raggiunti nelle scuole di abilitazione. Non è escluso che si possa prestare anche lo Stato con un supplemento d’esame al rilascio delle licenze a condurre. Altri comuni italiani potrebbero seguire questo esempio e con paziente propaganda si potrebbe creare una concomitanza di sforzi efficaci. Né più né meno di quel che fece e fa il Touring col Manuale dello Stradino, divenuto un testo nella maggior parte delle Province italiane. Il Touring stesso potrebbe divenire un centro per questa propaganda.

Le vetture pubbliche a cavalli potrebbero essere coartate nello stesso modo. Alle private si potrebbe giungere attraverso i proprietari di cui si conosce l’indirizzo perché pagano e tasse municipali e che certo non si rifiuterebbero a una cooperazione. Fuori di città la cosa è meno facile e più lenta, ma non impossibile. Del resto su questa questione della circolazione urbana bisogna che il sindaco di Milano e i sindaci viciniori addivengano ad una serie di deliberazioni concordi che interessano la grande Milano, intendo dire il Comune milanese e quelli finitimi ad esso strettamente collegati, che ne formano quasi un sobborgo e saranno da esso in progresso di tempo assorbiti.

I fattori morali

Vi sono fattori morali sui quali potrebbero agire utilmente l’istruzione e la persuasione. Conducenti e pedoni circolano senza riguardo agli altri veicoli e agli altri pedoni. Qualche pedone attraversa la strada tranquillamente o passeggia giù dal marciapiede, leggendo un giornale o un libro. Ciò proviene in gran parte dall’ignoranza di regole anche elementari. Però si vedono sovente atti di prepotenza commessi dal più forte contro il più debole: veicoli contro ciclisti e pedoni; ciclisti contro pedoni. E questo accade specialmente nelle strade meno centrali. Orbene i vigili non intervengono mai, un po’ perché non si curano, un po’ perché i loro criteri sono incerti, incostanti e talora anche deplorevoli nei modi di interpretare le disposizioni regolamentari o le istruzioni ricevute, ciò che non conferisce loro autorità morale, pur tenendo sempre conto della facilità con cui gli individui non osservano le regole quando non è presente o in vista un vigile.

La coscienza della necessità di una cooperazione generale alla circolazione non è matura né nel pubblico, né – cosa anche più sorprendente – nelle autorità. Fino a ieri sono state permesse nei luoghi più centrali – basti ricordare il primo tratto di via Orefici – le file interminabili di carretti con le merci più svariate: dalle verdure ai borselli, dalle casseruole ai guanti. Oggi ancora gli sbocchi delle vie principali verso piazza del Duomo e piazza Ellittica sono regolarmente occupati da decine di fioraie su marciapiedi larghi poco più di due metri che esse riducono alla metà ed anche meno, obbligando i pedoni a scendere sulla carreggiata dove appena vi è lo spazio per il rapido e impressionante passaggio di auto e vetture, fra l’orlo del marciapiedi e il tram. Oggi ancora si mantiene quell’incredibile agglomeramento bisettimanale del mercato del grano e d’altro, in cui un migliaio di egregi cittadini – che contribuiscono senza dubbio alla ricchezza della metropoli coi loro affari – dimentica tuttavia che ingombra in maniera irreparabile la circolazione di centomila altri cittadini, non meno benemeriti della ricchezza milanese e che vorrebbero pure accudire alle proprie faccende.

Se una piccola comitiva di ambrosiani va in visita a Parigi e si attarda un po’ sul boulevard col naso in aria davanti a qualche cosa che l’interessa se sente subito all’orecchio dal sergent de ville il Circulez, monsieurs, garbato ma imperativo. Obbedisce, tace ed ammira. E forse in quelal comitiva c’è qualcuno che staziona regolarmente due volte per settimana nel momento del maggior passaggio agli sbocchi di via Mercanti, senza la minima preoccupazione del prossimo. Perché un vigile nostro non deve dirgli «Si prega di lasciar libero il passaggioı? È fatale che della confusione debba esservi nelle nostre strade strette, così abbondanti di trams, col traffico di certe ore.

Ma sarebbe minore se l’autorità prendesse dei provvedimenti nell’ordine dei qui accennati, massime per l’istruzione dei vigili, dei conducenti, ed altri che sarebbe troppo lungo indicare; se fosse prescritto -ed effettivamente fatto osservare – che i veicoli debbano regolarmente occupare solo la mano sinistra delle vie; se fossero impiantate con maggiore abbondanza zone di rialzo di pavimento, con cordonata di granito come i marciapiedi, che incanalassero opportunamente – dove ciò è possibile – i veicoli; se si esigesse che alle svolte fosse tenuta rigorosamente la mano; se le soste per i necessari servizi di scarico di merci ed il passaggio di veicoli lenti, fossero studiati, regolati, fatti osservare; se il rapporto fra binari e marciapiedi fosse sempre ben studiato e in quache caso modificato dall’esistente e così via: insomma se tutto fosse coordinato con criteri ragionevoli e pratici e che pertanto si potrebbe esigere fossero rispettati. Quanti se! Ma poiché non si possono abolire né i pedoni, né i veicoli, né le strade strette, né la fretta che ne sospinge, bisogna pur trovar degli accomodamenti. E questi sono possibili se davvero vii si vorrà giungere con un po’ di energia, di sale in testa e buona voglia generale.

da: Corriere della Sera, 10 febbraio 1923; vedi la prima parte del medesimo saggio 

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