Un bel parco a tema per la civiltà contadina

scarecrow

Foto M. B. Fashion

Come scordarsi, specie in questo incipit primaverile, quelle indimenticabili strofe che sin dagli anni ’30 cantano: «Stars shining bright above you. Night breezes seem to whisper “I love you”. Birds singing in the sycamore trees: Dream a little dream of me»? Pare la colonna sonora perfetta per certi lenti risvegli mattutini, in cui i sogni scivolano quasi senza soluzione di continuità nella vita quotidiana, senza quei bruschi passaggi dal calduccio al gelo della brutta stagione. O anche quegli altri, di bruschi passaggi, dalla beata immaginazione alla dura realtà, come quando in convegni o disinvolte pubblicazioni si straparla di nuovo paradigma contadino, in stile Transition Town, immaginando tracolli della civiltà, o quantomeno modelli di vita da utopie ottocentesche resuscitate per l’occasione. Ma poi, fuori dalle sale dei convegni, o dalla tenuta biologica del cortese ospite, si pesta il grugno con la dura realtà: c’è di mezzo un oceano, fra quei sogni ruralisti e non solo il sistema attuale di coltivazione e distribuzione alimentare, ma anche le aspettative della maggior parte degli abitanti del pianeta, che vanno da tutt’altra parte, per esempio verso l’urbanizzazione. Urbanizzazione intesa come uso dello spazio, stili di vita, consumi, organizzazione del tempo, aspirazioni e immaginario: nessuno sogna sul serio di vivere la vita di un contadino ottocentesco, per quanto un po’ ripulito.

La vertical farm della porta accanto

Chi però non è un ottuso fanatico, forse concederà anche che escludere quel tracollo filoruralista della civiltà contemporanea, non vuol dire sognare al contrario una utopia negativa tutta fatta di inquinamento, spazi di tipo carcerario, dittature tecnocratiche delle multinazionali, Grandi Fratelli computerizzati che decidono tutto e compagnia bella. No: chi in fondo non sa che farsene dell’Eden vintage di stile vittoriano, ritenendolo al massimo un innocuo passatempo, vorrebbe solo cercare strade diverse, che ritiene più percorribili. Una di queste è l’idea di cosiddetta vertical farm, quando non la interpretano gli architetti troppo fantasiosi, ovvero un criterio tecnico e organizzativo in grado di garantire cibo eliminando via via tutti i collateralismi negativi dell’agricoltura come la conosciamo da sempre. Vale a dire, in generale, coltivare senza depredare risorse non riproducibili, suolo, aria, acqua, energia. Chiaro che si tratta di un obiettivo senza alcun rapporto con l’utopia vintage di cui sopra, ma forse un rapporto possiamo provare anche a costruirlo, pensandoci un istante, e costruendolo tentare di impostare un’alleanza politica. Cosa fa, l’agricoltura tecnologica che definiamo brevemente verticale? Risparmiando spazio e risorse, a parità di produzione, ne lascia disponibili per altri usi.

Ah: finalmente ci si diverte!

Ora, giusto per fare un esempio, immaginiamoci un po’ di ettari a coltura tradizionale (nel senso di industrializzata), a cui si aggiungono le infrastrutture di trasporto, la trasformazione, la distribuzione, le varie gestioni. Immaginiamoci di poter produrre le stesse cose, e renderle pronte per il consumo, già in prossimità dei consumatori stessi, magari dandogli anche da lavorare in loco, sul pianerottolo di casa per così dire. Questo è chilometro zero sul serio, no? La cosa è possibile con una infinità di tecniche diverse, usate in modo integrato, a partire dall’idroponia in su, come dimostrano infiniti studi ed esperimenti condotti sia sul versante direttamente produttivo che nei loro aspetti sociali e urbani. Ma ci si scorda sempre, in queste descrizioni, di quel che ci siamo lasciati dietro: quegli ettari di suolo, acqua, aria, inopinatamente strappati all’agricoltura. Di solito qui iniziano a fregarsi le mani i vari sedicenti teorici dell’urbanizzazione, intesa come solidi metri cubi quotati sul mercato immobiliare. Ma noi stiamo sognando l’alleanza politica fra utopisti rurali e utopisti tecnologici, e cosa proponiamo per quei bei dieci cento mille ettari sostituiti dalla vertical farm? Una specie di parco a tema, dove gli amici convinti della loro utopia ruralista, possano sperimentarla davvero, in ambiente controllato (controllato anche politicamente), e senza esagerare con la pervasività. Vi pare un’idea praticabile? Parliamone. La possibilità, se davvero dobbiamo dar retta alle scoppiettanti evoluzioni tecnologiche, pare davvero a portata di mano, ma si deve concordare su alcuni punti essenziali. Dream a Little Dream of Me.

Riferimenti:

Future Growing (agricoltura aeroponica tecnologica prevalentemente per strutture verticali) 

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