Cibo per l’umanità non per le filiere dell’allevamento

foto F. Bottini

Si suole dire che nemmeno le crisi si devono sprecare. L’invasione militare dell’Ucraina ha immediatamente innescato dichiarazioni allarmiste dal settore dell’allevamento animale sulla minaccia alla sicurezza alimentare della guerra, in Europa e oltre. Immediatamente dopo sono arrivate le richieste di riconsiderare o al limite abolire i limiti posti dalle strategie Farm to Fork o sulla Biodiversità. Ora nessuno vuol negare che la brutalità della guerra in Ucraina abbia gravi impatti sulla disponibilità di grano, mais, semi di girasole, olio, sia a uso alimentare che per l’esportazione europea, specie per quanto riguarda la carne.

Consumo

Ma non è affatto cinico osservare che il conflitto oggi funzioni come scusa per rinviare o evitare le essenziali trasformazioni del sistema alimentare di cui abbiamo urgente bisogno, per fermare la cancellazione di biodiversità e contrastare il cambiamento climatico. Il riscaldamento globale non si fermerà certo ad aspettare che i russi abbassino le armi. Senza decise azioni per ridurre le emissioni di gas serra e tutelare la biodiversità, gli effetti su persone ed ecosistemi saranno catastrofici e irreversibili. La questione della sicurezza alimentare è ovviamente una questione sensibile. Nessuno vuole vedere prezzi che salgono alle stelle, difficoltà di trovare beni essenziali o colpire il diritto all’alimentazione dei più deboli. Ma oggi esiste una questione ancora più importante: quanti dei cereali e olio di semi prodotti o importati vengano effettivamente destinati a cibo per gli esseri umani.

Sfruttamento

Secondo i dati della Commissione Europea, circa due terzi della produzione continentale di cereali e oli di semi, sono destinati ad alimentare miliardi di animali da allevamento, e non bastano neppure per tutta la produzione di carne latticini e uova della Unione. Ci si devono aggiungere i milioni di tonnellate di farine di soya importate ogni anno, principalmente da monocolture agro-industriali latinoamericane che hanno distrutto foreste pluviali. Circa il 95% di queste importazioni vanno all’alimentazione degli allevamenti anziché degli esseri umani. L’uso di cereali e legumi per dar da mangiare agli animali è un modo terribilmente inefficiente di ottenere proteine. Servono 20kg di cibo per ottenere ogni chilo di carne bovina. Una conversione che varia a seconda delle specie, ma non esiste però nulla di più efficace del dar da mangiare direttamente agli esseri umani le proteine delle piante. Se vogliamo seriamente tutelare la sicurezza alimentare, dobbiamo parlare di alimentazione umana prioritaria, invece di nutrire una quantità assolutamente spropositata di animali da allevamento sfruttati per la produzione.

Salvaguardia

Il mio paese, l’Olanda, offre un esempio vergognoso di come l’allevamento intensivo superi di gran lunga i bisogni alimentari della popolazione. Il settore è principalmente rivolto all’esportazione dei suoi prodotti, come le carni suine. Tra emissioni di gas serra e concomitante inquinamento da ammoniaca la produzione animale è così sfuggita di mano da obbligare il governo olandese a tagliarla del 30%. Il paese si trova di fronte a una vera e propria «crisi dell’azoto» da quando la Corte Suprema ha deliberato che si superano di gran lunga i limiti imposti dall’Europa. La strategia Farm to Fork individua gli impatti climatici dell’allevamento agricolo e la necessità di una transizione verso diete più vegetali, ma non parla esplicitamente di ridurre la quantità di animali allevati. Principalmente cerca di ridurre gli impatti dell’allevamento sostenendo soluzioni innovative e pratiche «sostenibili». L’innovazione non è una panacea per il problema dell’allevamento intensivo. Mentre ridurre il numero di animali è il modo migliore per proteggere non solo l’ambiente, ma anche salvaguardare la sicurezza alimentare dell’Unione Europea: oggi con la crisi, domani per ridurre la dipendenza dai prodotti agricoli importati.

Sostenibile

In una recente lettera aperta sulla riconversione dei sistemi alimentari ala luce della crisi ucraina, un gruppo di 80 scienziati sottolinea come «ridurre di un terzo l’uso di cereali per alimentare animali di allevamento potrebbe controbilanciare il crollo delle esportazioni di di grano e semi da olio dall’Ucraina». Invece di sospendere la strategia Farm to Fork come chiedono alcuni, o intervenire come chiedono altri a sostegno dell’allevamento suino già in crisi, o ancora mettere a coltura terreni oggi destinati alla tutela della biodiversità convertendoli ad alimentazione animale, potremmo cogliere l’occasione di ridurre le quantità di animali allevati e accelerare la transizione verso una dieta a base di piante. Il primo passo è di fermare la riproduzione in settori come quello suino: meno nati meno capi da nutrire. Un’equazione semplice, che ci avvicina a un sistema alimentare più sostenibile e sicuro, in un colpo solo.

da: The Ecologist, 22 marzo 2022 (l’Autrice è Parlametare Europea del gruppo Sinistra) – Titolo originale Feed humans – not factory farms – Traduzione di Fabrizio Bottini

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