Consumo di suolo e politiche di contenimento (4)

Il modello inglese

Per riuscire a comprendere appieno le politiche di contenimento urbano in Gran Bretagna è fondamentale esaminare la loro genesi. Probabilmente, la Gran Bretagna è stato il primo paese al mondo dove si è presentato il fenomeno della diffusione urbana. Contemporaneamente è però anche stato all’avanguardia nell’aver applicato procedure di pianificazione e di controllo dello sviluppo urbano. La loro impostazione risale, infatti, agli anni Quaranta del XX secolo e da allora la politiche di contenimento hanno dominato le decisioni nel campo della pianificazione degli usi del suolo.

All’origine della diffusione urbana si trova, da una parte, l’enorme pressione che sulle città ha esercitato l’urbanizzazione di massa con una popolazione urbana superiore al 50% già nel 1851; dall’altra parte, il fenomeno è stato alimentato dalla scadente qualità della vita urbana e dalle innovazioni nei trasporti che permettevano di risiedere in luoghi sempre più lontani dal posto di lavoro.

Fin dagli anni Trenta del secolo scorso, il governo britannico si allarmò per la continua perdita di terreno agricolo prezioso, soprattutto nei dintorni di Londra, e nutriva preoccupazioni riguardo alle spese da sostenere per fornire i servizi di base in uno schema di edificazione sempre più frammentato. Successivamente, lo scoppio della seconda guerra mondiale rese necessaria la brusca interruzione di tutti i lavori edilizi, meno quelli strettamente necessari, e la campagna dig for victory (letteralmente: zappare per la vittoria) metteva al centro dell’interesse nazionale la preservazione del suolo agricolo per garantire l’alimentazione della popolazione.

La particolare attenzione al tema della diffusione urbana in Gran Bretagna è documentata anche dagli ottimi studi sugli usi del suolo che furono iniziati allora. Già nel 1930, il Land Utilisation Survey diretto da Dudley Stamp aveva realizzato una cartografia in scala 1:10.000 documentando gli usi in atto del suolo in Inghilterra, Wales e Scozia. In Italia i primi studi sugli usi del suolo, peraltro a scala inferiore e meno organici, risalgono agli anni Cinquanta.

Pertanto, fin dal secondo dopoguerra la Gran Bretagna aveva elaborato una chiara visione per lo sviluppo urbano futuro. In rapida successione temporale emise alcuni provvedimenti legislativi (il New Towns Act del 1946 e il Town and Country Planning Act del 1947), dando inizio a una politica che negli anni a seguire sarebbe stata chiamata “politica di contenimento della diffusione urbana”.

La politica di contenimento si basava, da un lato, sul sistema di pianificazione e su strumenti di controllo che ne avrebbero assicurato il rispetto. Il programma di New Towns anticipava l’idea di sviluppo policentrico che successivamente sarebbe stata adottata da molti altri paesi europei. Pensato per ridurre la pressione abitativa nelle grandi aree urbane, fu affiancato da “schemi di espansione” anche delle città minori. Ma soprattutto fu introdotto un meccanismo grazie al quale era la comunità e non i singoli proprietari terrieri a trarre profitto dall’aumento di valore dei terreni quando essi diventavano edificabili.

Dall’altro lato, la restrizione della crescita fisica fu resa più efficace dall’individuazione delle green belt (cinture verdi), nelle quali il divieto di convertire terreno agricolo in terreno urbano fu assoluto. Progettate dapprima a Londra e a Glasgow, furono applicate più tardi a numerose altre città o conurbazioni1.

Lo scopo primario delle politiche di contenimento della diffusione urbana era quello di restringere la crescita fisica degli insediamenti, assicurando che lo sviluppo urbano avesse luogo a una densità relativamente alta, in siti contigui al territorio urbano esistente, riducendo in questo modo il costo dei servizi pubblici e minimizzando l’impatto sull’agricoltura (Hall, 1992; Cullingworth e Nadin, 1997).

Fin dagli anni Quaranta, dunque, le politiche di sviluppo urbano in Gran Bretagna sono guidate dal duplice intento di assicurare schemi urbani ordinati ed economicamente efficienti e migliorare contemporaneamente la qualità di vita nell’ambiente urbano. Anche se vi sono stati cambiamenti nelle politiche adottate, l’impostazione di fondo è ancora oggi la stessa.

Restringendo il campo di analisi, invece che sulla Gran Bretagna le considerazioni si concentrano nel seguito sulla sola Inghilterra. Come si è detto, con i suoi 384 abitanti per kmq è, in Europa, uno dei paesi più densamente abitati. Solo nei Paesi Bassi la densità abitativa è maggiore (pari a 395), mentre nella maggior parte degli altri paesi è decisamente inferiore (Germania 231, Italia 193, Francia 112). Il 90% della popolazione è considerata urbana, mentre il 9% della superficie territoriale complessiva risulta urbanizzata.

Se la dinamica dello sviluppo urbano richiede ovunque stringenti misure di governo, data la particolare scarsità di territorio in Inghilterra le politiche di contenimento urbano sono una necessità imprescindibile. L’efficacia della strategia finora adottata è dimostrata dalle serie di dati storici.

La massima dinamica di espansione delle aree urbane si è registrata in Inghilterra e nel Galles negli anni Trenta (circa 25.000 ettari all’anno). Nel ventennio successivo al 1945 si era ridotta del 40% e continua a ridursi ulteriormente. Negli anni più recenti, la progressiva urbanizzazione si è ridotta a un terzo del valore di allora (circa 8.000 ettari all’anno).

Secondo l’associazione ambientalista Campaign to Protect Rural England (CPRE), oggi la conversione annuale di territorio aperto in territorio urbano ammonterebbe nella sola Inghilterra a circa 5.500 ettari all’anno.2 Questo dato significa l’occupazione di 15 ettari al giorno, ovvero 1,1 mq all’anno per abitante. Significa altresì che ciò che in Germania è annunciato come obiettivo politico entro il 2020 (30 ettari al giorno, pari a 1,3 mq all’anno per abitante), in Inghilterra è già realtà.

La stessa politica di istituzione dei green belt dimostra un notevole successo, raggiungendo oggi una superficie di quasi 1,7 milioni di ettari. L’insieme del territorio variamente protetto secondo le leggi vigenti (green belt, aree di particolare bellezza naturale, parchi nazionali) copre ormai oltre un terzo del territorio nazionale complessivo. Le aree occupate a fini urbani raggiungono, invece, appena il 9%.

Nel 1998, il governo inglese ha rivisto le proprie strategie in merito allo sviluppo urbano. Da un lato si continua a scommettere sui green belt per limitare l’espansione e forgiare la qualità urbana. Dall’altro lato sono state rafforzate notevolmente le strategie di riconversione urbana, imponendo l’obiettivo, entro il 2008, di reperire almeno il 60% dello spazio necessario allo sviluppo all’interno di aree già urbanizzate (brownfield sites).

I due documenti che definiscono la nuova strategia politica sono le Planning Policy Guidance Notes n. 2 e n. 3 (PPG2 e PPG3) che riguardano rispettivamente le green belt e le politiche per la casa.

La PPG2 – green belts aggiornata al 2001 conferma in tutto l’impostazione storica. “Obiettivo principale della politica dei green belt è prevenire lo sprawl urbano. La caratteristica principale dei green belt è l’essere territorio aperto.” Fra gli obiettivi specifici si elenca il contenimento dell’espansione urbana attorno alle grandi conurbazioni e l’impedimento della fusione di nuclei urbani diversi, la tutela del paesaggio agrario e delle caratteristiche delle città storiche nonché l’incoraggiamento alla rigenerazione urbana per l’indisponibilità dei greenfield (terreni vergini).

Anche se continuano a non essere disponibili ad accogliere funzioni urbane, oggi nelle green belt si incoraggiano anche usi diversi da quello agricolo legati alla ricreazione e allo sport all’aria aperta, nonché il recupero ambientale delle aree a stretto contatto con la città.

Le principali novità del corso politico inaugurato dal governo del New Labour sono, però, contenute nella PPG3 – Housing del 2000. Le più rilevanti sono:

  • le nuove modalità di determinazione del fabbisogno abitativo. Diversamente dal passato, quando la determinazione del fabbisogno di spazio seguiva delle semplici proiezioni statistiche (trend based projections), adesso ogni regione deve fissare un tetto massimo di nuovi alloggi avvalendosi del principio di plan, monitor and manage. I criteri di determinazione del fabbisogno sono calibrati sull’andamento del numero delle famiglie, sulle necessità dell’economia regionale, sulla capacità residua delle aree urbane, sull’impatto ambientale e sulla capacità delle infrastrutture esistenti;
  • l’approccio sequenziale. Ogni nuovo impegno di aree deve essere giustificato: ha priorità lo sviluppo delle aree già urbanizzate mentre il ricorso a quelle vergini è concepito come ultima risorsa. Con la Greenfield Direction, inoltre, sono stati definiti ammissibili interventi di espansione soltanto su lotti di almeno 5 ettari o per progetti di oltre 150 alloggi. Con questa misura si intende prevenire il frazionamento delle aree aperte;
  • i nuovi criteri insediativi. Le scelte di trasformazione sono subordinate all’indagine della disponibilità di aree sottoutilizzate o dismesse, alla raggiungibilità del posto di lavoro e dei servizi a piedi o con mezzi pubblici, alla capacità di carico delle infrastrutture esistenti, alla possibilità di formare comunità e alla verifica della sostenibilità ambientale. È particolarmente significativo che questi criteri hanno carattere retroattivo, obbligando gli enti locali a rivedere le proprie scelte insediative pregresse. Nel 2002, inoltre, la Density Direction ha stabilito una densità minima obbligatoria di 30 alloggi per ettaro nelle nuove aree di espansione.

Towards an Urban Renaissance è il titolo del rapporto sulle città, curato da Richard Rogers nel 1999 su incarico del governo. Esso rappresenta in modo esemplare la strategia attuale, in cui il contenimento urbano è inteso come condizione per ogni rinascita urbana e per il miglioramento della qualità abitativa. La grande sfida che attende oggi le politiche urbanistiche in Inghilterra è così sintetizzata: “con questo rapporto, la Urban Task Force definisce una strategia volta a dare un nuovo volto all’assetto urbano della Gran Bretagna: utilizzare un aumento di 3,8 milioni di nuclei famigliari in un periodo di venticinque anni come un’opportunità per rivitalizzare le nostre città”.

La strategia della rivitalizzazione delle città tramite il recupero delle aree dismesse e il rafforzamento del carattere urbano sembra condivisa dai più. L’obiettivo di realizzare entro il 2008 almeno il 60% dei nuovi alloggi su aree già urbanizzate è stato già raggiunto nel 1999, mentre la densità media dei nuovi insediamenti è dal 2002 superiore alla soglia dei 30 alloggi per ettaro3.

Che la rivitalizzazione debba però passare attraverso la costruzione di milioni (sic!) di nuove case come prospetta il rapporto Rogers è fortemente avversato dalle associazioni ambientaliste4. In parte, perché proprio le nuove modalità di determinazione del fabbisogno abitativo introdotte dal governo smentiscono i dati previsionali di Rogers. In parte, perché non sono affatto convinti che il problema della casa, che si affaccia nuovamente anche in Inghilterra, sia risolvibile con un grande programma di edificazione privata.

Nel frattempo, il governo sta preparando una revisione profonda della vigente Planning Guidance sulla casa. Secondo uno studio economico, commissionato dal ministero del Tesoro, l’attuale politica della casa danneggerebbe la competitività del paese (Barker, 2003). Sul territorio, si sostiene, debba prevalere il mercato, rendendo determinante nelle scelte urbanistiche il rapporto fra il prezzo delle case e il reddito. Ciò equivale a un cambio di paradigma nella pianificazione, dalla carrying capacity, la capacità di carico del territorio, alla market oriented supply, l’offerta residenziale di mercato.

L’eccezionale successo delle politiche di contenimento urbano che, in Inghilterra, ha contrassegnato gli ultimi Sessant’anni di governo del territorio, ha dimostrato, nei fatti, che è possibile slegare le dinamiche di occupazione di suolo dall’andamento economico. Perché allora tale legame deve essere forzatamente ricercato proprio oggi?

Conclusioni

Non c’è dubbio che il modello di governo dell’espansione urbana, ampiamente sperimentato in Inghilterra, è di grandissimo fascino. Con una strategia basata su tutti i livelli della pianificazione si è riusciti a mantenere un encomiabile equilibrio fra città e campagna. L’aggiornamento, con l’introduzione di un tetto massimo di alloggi per regione e un parametro di riuso delle aree urbanizzate, introduce anche in Inghilterra un elemento quantitativo, necessario a promuovere una vera e propria politica di pianificazione, gestione e controllo.

Come ogni elemento quantitativo, l’obiettivo di localizzare almeno il 60% del fabbisogno su aree già urbanizzate, introduce però anche un carattere a-territoriale nel sistema di pianificazione. Le aree dismesse hanno, ovviamente, una dimensione spaziale ma si “trovano dove si trovano”. Mentre la strategia generale rimane, dunque, decisamente territoriale, le singole localizzazioni possono seguire criteri non territoriali. Lo stesso concetto di benchmarking è vicino all’approccio di equilibrio economico e non territoriale.

Nella proposta tedesca, questo approccio per obiettivi quantitativi prevale decisamente su un disegno territoriale. Oltre agli strumenti di natura giuridica e pianificatoria, un posto centrale è occupato da quelli economici, gestionali e comunicativi. Per il raggiungimento dell’obiettivo generale (30 ettari al giorno), la strategia sembra funzionare. La qualità complessiva del sistema territoriale non è, invece, così semplicemente misurabile.

La complessità dell’obiettivo di disaccoppiamento dello sviluppo economico dall’espansione urbana richiede certamente una molteplicità di strumenti. Basta la semplice considerazione che quasi nessuna politica è neutrale rispetto alle scelte di allocazione di risorse sul territorio. Si pensi alle politiche infrastrutturali e quelle per la casa, ma anche a quelle per la ridistribuzione del reddito. È evidente, dunque, che il contenimento dell’espansione smisurata delle aree urbanizzate può essere affrontato solo con strategie trasversali, che comprendono, cioè, molti settori politici diversi. È altrettanto chiaro, però, che il mero perseguimento di un obiettivo quantitativo non può ritenersi in sé sostenibile. Esso mancherebbe di una dimensione territoriale, di storia e di natura.

Da: AA.VV, No Sprawl: Perché è necessario controllare la dispersione urbana e il consumo del suolo, a cura di Maria Cristina Gibelli e Edoardo Salzano, Alinea, Firenze 2006 (per le parti precedenti del saggio in questo sito si veda il tag George Joseph Frisch a piè di pagina; dalla medesima raccolta anche F. Bottini, Sprawl – Nel cuore verde della Megalopoli Padana

NOTE

1 Si utilizza appositamente il termine di ‘conurbazione’, data la grande riluttanza negli ambienti ufficiali britannici a utilizzare l’espressione ‘aree metropolitane’.
2 CPRE (2006), Countryside under attack: a damage assessment, in www.cpre.org.uk.
3 Secondo le statistiche ufficiali, nel 2004 la percentuale di alloggi realizzati su aree già urbanizzate ha raggiungo quota 67%. Questo livello è stato costante negli ultimi 3 anni, mentre ha visto una crescita anno per anno dal 1998 in poi. Il Nord-Ovest, i Midlands occidentali e Londra presentano un tasso maggiore della media nazionale. Il più alto, pari a 94%, è stato registrato nel 1993 a Londra; il più basso nei Midlands orientali con appena il 53%. Per quanto riguarda la densità, nel 2004 sono stati costruiti in media 39 alloggi per ettaro. Rispetto ai 34 nel 2003 e ai 25 nel periodo tra il 2006 e il 2001, la tendenza è in crescita. Soltanto nelle regioni dello Yorkshire e di Humber, la densità era inferiore a 30 alloggi per ettaro. Nelle altre regioni, a eccezione di Londra, la densità era compresa nella forbice fra 30 e 50 alloggi per ettaro. A Londra, invece, ha raggiunto i 73 alloggi/ha. Office of the Deputy Prime Minister (2005), Land Use Change in England: Residential Development to 2004 (LUCS-20).
4 Confronta in particolare i documenti di commento alle politiche della CPRE; uno fra tanti: Policy Position Statement. Housing and Urban Sprawl, settembre 2003.

Riferimenti bibliografici e fonti

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