Il volante, i pedoni, la strada di tutti (1952)

Vita stradale difficile, in questi tempi. E forse più difficile per coloro che sembrano privilegiati: gli automobilisti, per esempio. Quanti mai che invidia fanno ci farebbero pietà … Stare al volante di una automobile per le strade di Milano, o al manubrio di una motocicletta, o anche d’una bicicletta, quale tormento! – E lei crede che il mestiere di pedone sia facile? – Non dico: ma il pedone gode della simpatia e della comprensione del pubblico. – Non sempre gode della simpatia dei guidatori d’auto e delle moto. – Ogni regola ha le sue eccezioni. – Sono eccezioni che mandano dritto all’ospedale. E noi ciclisti, niente? Non vi pare che abbiamo una vita stradale difficile? Sempre costretti a guizzare accanto a ruote e a parafanghi d’autoveicoli, a sfiorare gruppi di pedoni, a scantonare rapidi dinanzi a una vettura tranviaria … – Ma voi ciclisti avete una speciale indipendenza di andatura: in fondo siete dei pedoni seduti.

Senta, lei: io sono un pedone totalmente a piedi, non seduto, e la mia esistenza è tutta percorsa da brividi di allarme e d’angoscia. – Come la mia. Quando alla mattina esco di casa e mi metto in circolazione per i miei affari, non dimentico di abbracciare la moglie e i figlioli; non si sa mai. E un pensiero lugubre mi traversa la mente: forse sto abbracciando una povera vedova e del poveri orfanelli. – Eh la Peppa, come è pessimista! Lei ritiene che i centro-avanti e i terzini più famosi delle nostre squadre di calcio siano costretti, nelle loro partite, a manovrare di scatti, di salti, di deviazioni, di strategia e di tattica, più di noi meschini pedoni, per evitare il gol avversario, che per noi pedoni è rappresentato da un investimento in piena regola?

Bè, cari pedoni, non atteggiatevi a sole vittime esclusive. Noi automobilisti, non contiamo niente? Credete che la nostra vita, perché stiamo in auto, sia una vita di comodità e di dolcezze? Credete che sia facile stare al volante e guidare un’auto per le strade di Milano? Si torna a casa tutti vibranti, come se fossimo continuamente percorsi da una corrente elettrica ad alto potenziale. – Appunto: dobbiamo schivare non soltanto i fiduciosi e impassibili pedoni che traversano beatamente le strade leggendo il giornale, ma dobbiamo anche schivare i ciclisti che corrono a zig-zag come fossero sempre assaliti all’improvviso dall’idea di cambiare itinerario: e dobbiamo anche schivare certi impazienti colleghi guidatori d’auto che, senza badare a regolamenti e a comandamenti di buona educazione, cercano di sorpassarci sulla destra e sulla sinistra, o svoltano d’impeto senza segnalazioni di frecce.

E quelli che beatamente s’arrestano, e per scendere aprono la portiera proprio dalla parte in cui stai passando? – Cara la mia gente, che occupa la strada come se fosse di sua proprietà personale, e non vi dovesse passare nessun altro! – Ogni tanto abbiamo anche il contentino degli allievi delle «scuole guida», che vengono accompagnati nel turbine del traffico perché possano impratichirsi. Trovarsi dietro o dinanzi ai loro ondeggiamenti è davvero una letizia fuori serie. – Non parliamo poi dei «motorscooters», che sarebbero i pronipoti dell’automobile, gli scoiattoli della giungla stradale. – Ce n’è di mansueti, evangelicamente animati dall’amore verso il prossimo: ma ce n’è di quelli che Attila era appena appena un bonario principiante, in confronto a loro.

Indisciplinatezza italiana. – Ah sì? E lei crede che gli automobilisti stranieri siano più diligenti e disciplinati? Vada in giro in auto per le strade delle città, e specialmente di campagna, o sull’autostrada, e si accorgerà che molti di quelli che tengono una condotta poco corretta stanno al volante di automobili con targhe straniere. – Vero, svizzere e inglesi specialmente. – Ammettiamo che alcune di queste automobili con targhe straniere appartengano a cari bravi patrioti italiani, che in tal modo vogliono sfuggire alle imposte nazionali, ma molte vetture con targhe straniere sono realmente proprietà di stranieri, che le guidano con eccessiva disinvoltura. – Forse sentono dire che gli Italiani considerano le strade come piste d’allenamento: e s’allenano anche loro, alla velocità e alla mancanza di disciplina. – Che qualche volta fa tutt’uno con la mancanza di educazione. – D’accordo, ma io voglio insistere sul fatto della difficoltà di guidare automobili per le strade cittadine. Tutti gridano contro di noi, lasciate che una volta gridiamo anche noi automobilisti contro gli altri.

Basterebbe che il pubblico fosse più disciplinato, e la circolazione diventerebbe più facile per tutti. – Bella scoperta. Hai detto niente. Ma chi vuol mettersi a cominciare a essere disciplinato? – Almeno i pedoni hanno i loro passaggi tracciati. – Non lo dica: non ha visto che adesso in certe strade milanesi le automobili sono autorizzare a invadere anche una parte dei marciapiedi, sostando a spina di pesce? – È una spina di pesce che non ci va giù, a noi pedoni. – Per quello che riguarda l’invasione dei marciapiedi, io che sono una delle signore munite patente di guida negli ultimi tempi, ricordo che il giorno prima dell’esame per le vie di Milano ne ho dato notizia agli amici, e uno esclamò: «Hai fatto bene ad avvertirci, resteremo rigorosamente sui marciapiedi». Ho risposto: «Bravo furbo: sui marciapiedi ci verrò io». – Vuol dire che lei aveva già il suo programma stabilito.

A proposito di programmi, visto che la possibilità di circolare va diventando sempre più difficile per tutti, non sarebbe conveniente che ci mettessimo d’accordo per non complicarla, e cercare ciascuno per suo conto, di ubbidire ai regolamenti? – Ma l’accordo c’è già, non le pare? – Sì, l’accordo per agire ciascuno di propria iniziativa, senza curarsi del prossimo: ma io intendo parlare d’un accordo d’altro genere. – Meno facile, signore: anche perché sarebbe un voler limitare la libertà di ciascun cittadino. E la libertà è sacra. – Allora siamo a posto. – Io una soluzione ce l’avrei, e facile. – Dica, dica, per carità. – Visto che così si va male, cerchiamo tutti insieme, autorità e cittadini, di continuare così …

Da: Corriere della Sera, 19 ottobre 1952

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