La demotorizzazione terrorizza i «mercati»

electric car

Foto M. B. Style

Ogni tanto, sempre più di frequente in realtà, qualche giornalista ci racconta nei dettagli e con ampio respiro narrativo l’automobile «del futuro». Lo spunto è puntualmente qualche annuncio delle grandi aziende che stanno da anni impegnandosi negli studi e sperimentazioni driverless-car e relativi investimenti, e che fissano sempre più o meno attorno al 2020 l’immissione sul mercato dei veicoli automatizzati. Come cambierà la nostra vita, si chiede il giornalista di turno, e inizia a descrivere una giornata tipo della famiglia, per esempio con la normalissima uscita del papà dallo scivolo del garage la mattina, imboccando prima il vialetto, poi la via centrale del quartiere, e poi ancora la superstrada fino in centro dove sta l’ufficio. La cosa diversa, è che il papà non è impegnato al volante, ma invece fa delle telefonate portandosi avanti col lavoro, o legge qualcosa, scrive, ascolta messaggi o semplicemente si sintonizza su un notiziario. Intanto la sua driverless-car si è mossa a una velocità media altissima e senza trovare alcun ingorgo, perché il traffico procede con efficienza del 100% visto il perfetto coordinamento degli spostamenti fra un veicolo e l’altro, tutti in connessione tra loro e con una regia centrale. Davanti all’ufficio, poi non c’è più quell’orrendo parcheggio da qualche ettaro che occupava tutto lo spazio non costruito fino a cinque anni prima: adesso ci sta un bel giardino, attraversato semplicemente da una corsia: le auto arrivano davanti all’ingresso, scaricano il passeggero, e se ne vanno da sole verso la nuova destinazione, e cioè tornano a casa.

L’auto di famiglia? Pensateci un momento

Il giornalista ha finalmente tirato fuori il suo asso retorico nella manica, con quella storia che l’automobile se ne va da sola, ma non semplicemente a parcheggiare: il parcheggio è un concetto filosoficamente superato, nella nuova logica tecnico-organizzativa dei veicoli sempre in movimento. Adesso la macchina rifarà a ritroso tutto il percorso fino alla casa da dove era partita, per caricare la signora che esce coi bambini, facendo sosta alla scuola per poi proseguire fino al centro commerciale. Il fatto è che, però, a questo punto ci stiamo praticamente addormentando tutti, che razza di immagine del «futuro» sarà mai questa orba, in stile Jetsons, dove a parte le astronavi e il sedicente aspirapolvere atomico, tutto il resto pare inchiodato alla medesima logica di una puntata dei Flintstones? E in effetti quel giornalista dimostrava di essere un pessimo futurologo, dato che non traeva neppure la conclusione minima da tutta quell’alluvione di innovazioni tecnologiche: la prima cosa che salta, qui, è proprio il concetto di auto di famiglia. Perché mai le masse dovrebbero sobbarcarsi le spese fisse di un’auto in proprietà (che presumibilmente tanto raffinata costerà un occhio solo all’acquisto) quando i veicoli spostandosi da soli possono arrivarti a prendere ovunque quanto vuoi? Ma il giornalista che tanto si lambiccava il cervello per tirarla lunga con la giornata della driverless car non era mica scemo, capita l’aveva capita, ma semplicemente non può dire la verità.

La consegna del silenzio per non innescare il panico

Qualche cifra gira, ormai: con la possibilità di spostarsi da sole, di non stare mai ferme, di essere pronte all’uso sempre e dovunque, le automobili moltiplicano moltissime volte la loro utilità individuale. Ma di fatto finiscono per fare concorrenza a sé stesse: ogni driverless car svolge il lavoro di 10-20 auto normali. Il che significa che a parità di popolazione, se poniamo prima c’era un veicolo per ogni abitante adulto, in futuro ce ne potrà essere uno ogni 10-20 adulti. È evidente che non si tratta di un’auto familiare, ma di una forma qualsivoglia di car sharing, non sappiamo esattamente organizzato come, però di sicuro quella scenetta dell’auto di famiglia che torna a casa dall’ufficio a raccattare la signora non la vedremo mai. Il giornalista se l’è inventata, magari inconsapevolmente, per tutelare sé stesso e gli altri finanziariamente interessati dal panico, dalla vendita sconsiderata di ogni titolo che abbia a che fare lontanamente con le automobili (sono tanti). Immaginiamoci, ridurre così drasticamente la produzione, quante imprese farà saltare, quanti passaggi e fusioni potrebbe innescare, specie se mescolato all’altra innovazione della propulsione diversa dal solito motore a scoppio. Una rivoluzione, un rimescolamento, un intorbidirsi delle acque dove nuoteranno gli squali della più forsennata speculazione. Ma i segnali ci sono, e la stampa ne dà parecchi, tutti i giorni, magari molto diluiti dentro le sciocchezze sul nuovo modello di Suv per signore coi sedili in fibra naturale. L’ultimo per esempio è che General Motors ha assorbito un’altra impresa, come ci informa un sito di Detroit, specializzata in piani di mobilità urbana, una specie di concorrente di Uber, che lavora sull’elettronica, sulle app, sul coordinamento, più che sulle tecnologie dei veicoli. Insomma GM pian piano, senza darlo a vedere all’azionista di massa, sta anche lei cambiando pelle, per diventare magari in futuro un erogatore di servizi car sharing. Pare fantascienza, ma succede: ed è meglio dirlo a poco a poco, continuando a sognare quella scenetta ridicola del Jetsons che vanno al lavoro con l’auto automatica.

Riferimenti: Greg Gardner, GM acquires Sidecar assets for urban mobility plan, Detroit Free Press, 19 gennaio 2016

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