La metropoli migliora la vita e la allunga

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Foto F. Bottini

Non c’è nessuno più sordo di chi non vuol sentire, più cieco di chi non vuol vedere, più scemo di chi persiste ostinatamente nell’errore. Girano spesso sul social network per esempio la dichiarazione di guerra alla campagna di personaggi decisissimi a spaparanzarcisi sopra (traduzione letterale: sprawl) grazie al diabolico sottile distinguo: niente cementificazione, ma mattonazione a mano. Ovvero i nostri eroi, replicanti a propria insaputa dell’identico percorso che in un paio di generazioni di automobilismo di massa ha portato centinaia e centinaia di milioni di famiglie fuori dai nuclei urbani, spacciano al pubblico festante il proprio trasloco come ritorno alla natura, semplicemente per via della tecnica con cui si costruiscono la fantozziana villetta. E chi non vuol sentire né vedere ragioni, persiste nell’errore, applaude, salvo poi girarsi dall’altra parte e accusare di peccati mortali i devastatori, cementificatori di chissà cosa. Mentre i veri colpevoli si fregavano di nuovo le mani, davanti al saggio di manifesta insipienza: con questi qui andiamo sul sicuro per anni e anni, avranno sicuramente pensato.

Se le parole sono importanti, e il loro uso a vanvera (ecomostro, cementificazione eccetera, a definire quel che semplicemente non piace, con motivazioni soggettive e discutibilissime) micidiale per le cause serie di tutela, vale quindi la pena tornarci spesso, alle definizioni. Su questo sito proviamo quasi sempre a sottolineare la centralità dei tre distinti contesti: urbano, suburbano, rurale. A definire tre diversi e complementari ambiti fisici, sociali, di consumo, stili di vita, impatti vari sull’ambiente. Aspetti che sfuggono naturalmente al senso comune, quasi sempre intrappolato nell’idea secondo cui ad esempio la città è frenetica e spietata, la campagna sana e tradizionalmente rigenerante, il suburbio placido e ricco, eccetera eccetera. Leggende ancorate di sicuro a qualcosa di concreto (i luoghi comuni lo sono sempre) ma certo fuorvianti se le si osserva col medesimo paraocchi di chi non vuol vedere lo sprawl solo perché avvolto nella confezione retorica adeguata.

Per esempio la campagna sana: una balla bella e buona, certificata da statistiche sanitarie articolate su mezzo secolo di rilevazioni. Che ci raccontano come nel paese che più ha stramaledetto, abbandonato, lasciato marcire e sputtanato le città nel XX secolo, gli Usa, nelle verdi praterie dei padri, punteggiate dalle scatoline bianche di ranch e fattorie con uova e latte fresco ogni dì, si viva peggio e di meno che nelle aborrite grigie metropoli. Letteralmente: “su un arco di tempo di quarant’anni, gli abitanti delle zone rurali hanno avuto incrementi nell’aspettativa media di vita inferiori rispetto ai corrispettivi urbani, e si tratta di una distanza che tende ad allargarsi”. Si aggiunge, visto che questo sito di solito distingue tre ambiti, mentre lo studio pubblicato dall’American Journal of Preventive Medicine distingue tra aree metropolitane statistiche e non, che gli insediamenti classificati “small urban town”, ovvero tendenzialmente suburbani, si collocano in una posizione intermedia fra i massimi e i minimi di incremento dell’aspettativa di vita. E non a caso in cima alle cause di morte stanno i classici problemi di cuore e malattie del metabolismo, già al centro di tante ricerche sul rapporto forma urbana-salute.

Cos’è accaduto, insomma? Che nelle bistrattate grigie metropoli anche i poveracci colored abbandonati dentro agli alveari razionalisti non ancora demoliti con la dinamite, vivevano sempre meglio e più a lungo del bianco ricco rancher col cappello a larga tesa scorazzante in fuoristrada dai pascoli al centro commerciale/emporio sul più vicino svincolo della state route. Perché conto in banca a parte, ruolo centrale nelle copertine delle riviste e nelle elezioni politiche a parte, i presunti poveracci urbani potevano evidentemente contare su parecchi vantaggi competitivi, magari a propria insaputa. Su quali fossero e ancora di più siano oggi, si lascia al lettore immaginare: qual’è il tipo di urbanità che più apprezzate? E naturalmente si lascia agli ideologi della sciocchezza facoltà di replicare che sono tutti dati falsi, messi in giro dai cementificatori, naturalmente. Ognuno ha le sue, di idee: l’importante è che siano davvero tali.

Riferimenti:

Gopal K. Singh e Mohammad Siahpush, “Widening Rural–Urban Disparities in Life Expectancy, U.S., 1969–2009”, American Journal of Preventive Medicine; Non tutti possono (o vogliono) accedere  alla rivista scientifica, ergo una brevissima sintesi delle premesse e risultati disponibile su Science Daily, “Gap in Life Expectancy Between Rural, Urban Residents Is Growing”

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