L’auto elettrica fa bene al clima ma male all’ambiente

foto F. Bottini

Le nostre auto tradizionali brucia benzina via via vengono sostituite da modelli elettrici, e diminuiscono le emissioni dai tubi di scarico. Ma le auto hanno anche altri impatti negativi su ambiente e salute, indipendentemente da ciò che scarica il motore. Uno dei principali e pur sempre sottovalutato è l’inquinamento da pneumatici, o per meglio dire in linguaggio tecnico «particelle da attrito gomma-asfalto». Le gomme a ciascuna rotazione si consumano, e lo fanno soprattutto in accelerazione, nelle frenate, nelle curve più brusche, ma anche guidando normalmente resta inevitabile l’inquinamento da particolato. E si tratta di un problema destinato a peggiorare ulteriormente col passaggio al veicolo elettrico.

«Lavoriamo tantissimo alla decarbonizzazione sostituendo veicoli a benzina con quelli a batteria, ma contemporaneamente finiamo per aumentare le emissioni dagli pneumatici» commenta Nick Molden, fondatore e amministratore delegato di Emissions Analytics, impresa londinese che si occupa di verifiche in strada sugli inquinamenti delle auto, che siano dal tubo di scarico o dalle gomme. Molden riconosce la drastica riduzione degli scarichi indotta da filtri e marmitte catalitiche, che eliminano tanta parte dell’inquinamento grazie a reazioni chimiche. Ma quello degli pneumatici è un sistema aperto a differenza di una marmitta, e non esiste ancora nessun modo adeguato di catturare tutte quelle emissioni di particelle. Emissions Analytics ha rilevato come una singola automobile rilasci circa quattro chili di materiale da pneumatici ogni anno in media. Calcolando a scala globale ciò significa sei milioni di tonnellate, in gran parte dai paesi più ricchi dove di veicoli ce ne sono di più.

La quantità di emissioni di particelle per veicolo cresce al crescere dei veicoli elettrici in circolazione: 14 milioni nel mondo quest’anno secondo la International Energy Agency. Un tipo di auto più pesante di quelle a combustibile fossile o ibride a causa delle ingombranti batterie. In media quelle sul mercato oggi pesano mezza tonnellata e a volte anche tre volte tanto, in pratica come un intero veicolo a benzina. Emissions Analytics calcola che aggiungere una batteria così a un’auto media ne aumenta il peso di circa il 20%, e finisce che anche un modello Tesla Y genera il 26% in più di particelle rilasciate dagli pneumatici rispetto a una equivalente ibrida Kia. Altro fattore tape da aumentare la perdita di particelle è la velocità di accelerazione di questi veicoli maggiore di quelli a carburante fossile.

Il particolato da gomme è un composto micidiale di microplastiche, materiali organici volatili, e varie sostanze chimiche da additivi che entrano in atmosfera nel suolo o nelle acque delle aree più trafficate. Quella gomma, metalli, e altro, si depositano sui lati delle carreggiate e sono risciacquati via dalle acque piovane negli scoli. Le particelle più piccole restano sospese, possono essere inalate, e le microscopiche PM 2,5 entrano direttamente nel sistema sanguigno. Una ricerca del 2017 stima che il rilascio degli pneumatici pesa dal 5% al 10% sull’inquinamento da micropastiche degli oceani, dal 3% al 7% di quello atmosferico PM 2,5. Una componente chiave delle gomme è 6PPD, aggiunta sempre a prevenire le rotture del materiale. Ma che rilasciata nell’ambiente reagisce con l’ozono trasformandosi in un’altra sostanza, 6ppd-chinone, a cui si attribuisce anche la moria dei salmoni nel nord-ovest Pacifico. Una ricerca del 2022 ne conferma la tossicità letale per molte specie di trote.

Ulteriori studi mostrano l’assorbimento dalle piante commestibili, come la lattuga che la accumula. Nel sud della Cina si sono rilevate presenze di 6PPD e 6PPD-chinone in campioni di urina umani. Non conosciamo ancora precisamente gli effetti sulla salute, ma queste particelle da pneumatici sono state poste in relazione a irritazioni della pelle, problemi respiratori, addirittura danni al cervello. Visto l’intensificarsi della consapevolezza del cambiamento climatico sicuramente si accelererà la dismissione dei veicoli a combustione interna. Ma secondo gli esperti di tutto il mondo lo si può fare anche limitando gli effetti sull’ambiente e la salute dei veicoli elettrici e dei loro pneumatici, iniziando a farne circolare meno.

Nelle città occorre arginare la dipendenza dall’auto privata, e anche se sembra trattarsi di una sfida impossibile possimo guardare all’esempio dell’Olanda, dove un tempo c’era il record assoluti di vittime da incidenti stradali. Fino alla mobilitazione generale degli anni ’70 quando la pressione di gruppi come Stop de Kindermoord (Fermate la Strage di Bambini) convinse la politica a intervenire. Secondo Chris Bruntlett, coautore di Building the Cycling City, si iniziava a costruire la città olandese di oggi con meno traffico, più biciclette, velocità ridotte. «Gli amministratori cominciarono dai limiti di velocità, poi vincoli alla sosta, al traffico di attraversamento, e interventi sulle sezioni di carreggiata» spiega Bruntlett. David Zipper, esperto di mobilità e docente a contratto della Harvard Kennedy School, aggiunge che le amministrazioni cittadine possono anche intervenire sui sussidi all’acquisto di auto, o sugli standard di sosta: «Finita una certa facilità a possedere e usare un’automobile ne circoleranno di meno».

Ovviamente si tratta di politiche che funzionano esclusivamente dentro programmi più ampi di modifica dei sistemi di trasporto. Lo Infrastructure Investment and Jobs Act americano del 2021 finanzia a livello federale mezzi pubblici mobilità pedonale e ciclabile, ma dipende dalle decisioni locali nelle città e negli Stati. Secondo Zipper in alcuni centri si sviluppano azioni interessanti: come a Boston dove la sindaca Michelle Wu promette di allargare la rete ciclabile finché riuscirà a servire a un massimo di tre minuti almeno metà della popolazione. Un altro modo di ridurre le emissioni degli pneumatici è mettere sul mercato veicoli più piccoli e leggeri. Specie negli USA le automobili negli ultimi decenni si sono fatte più pesanti e ingombranti. Dagli anni ’80 le case produttrici hanno introdotto i SUV solo perché fiscalmente si trattava di «trasporto leggero» e si schivavano così le norme sui consumi. Ancora l’anno scorso nove su dieci tra i veicoli più venduti sono classificati furgoni o SUV, quando la International Energy Agency rileva come i SUV siano la seconda causa di emissioni di CO2 fra 2010 e 2018.

Una buona soluzione legislativa è tassare i veicoli in base al peso, promuovendo così quelli leggeri che provocano meno particelle. La Francia ha varato una norma così nel 2021, obbligando i consumatori a pagare dieci euro per ogni chilo in più oltre i 1.800. Quest’anno la Norvegia estende la sua norma sul peso anche ai veicoli elettrici, poco più di un euro al chilo oltre i 500, oltre a tassare le emissioni di anidride carbonica e ossido di azoto. Prese complessivamente, sono tre tasse che incentivano più veicoli elettrici, e meno pesanti.

Negli USA, certi stati favoriscono fiscalmente l’immatricolazione di veicoli più leggeri, e Washington, D.C., recentemente si è aggiornata penalizzando quelli pesanti. I proprietari di un’auto che va oltre le tre tonnellate spendono 500 dollari l’anno. Lo stato di New York favorisce in modo analogo i veicoli più leggeri. Si può anche limitare l’inquinamento da pneumatici, come hanno iniziato a fare in California. Da ottobre un nuovo regolamento del Department of Toxic Substances Control statale, chiede ai produttori di gomme di cercare alternative sicure all’additivo 6PPD. I produttori presenti sul mercato locale dello stato devono notificare a DTSC tuti i loro prodotti che contengono 6PPD entro la fine di novembre. Karl Palmer, vicedirettore per la sicurezza dei consumatori al Dipartimento, è convinto che così si convinceranno le aziende ad una «analisi delle possibilità» verso prodotti più sicuri per l’ambiente: «Facciamo leva sul ricco mercato della California, se vuoi starci dentro segui le nostre regole».

da: Grist, 25 settembre 2023 – Titolo originale: EVs are a climate solution with a pollution problem: Tire particles – Traduzione di Fabrizio Bottini

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