Le finalità della 167 (1963)

La Legge 18 aprile 1962, n. 167, rappresenta il primo tentativo di porre sul piano legislativo le premesse per superare le catene della Legge Urbanistica del 1942, obiettivo questo che verrà compiutamente conseguito con la nuova legge generale per la pianificazione urbanistica.

L. Benevolo, San Polo, Brescia

Trattasi indubbiamente di uno strumento congiunturale, adeguato alle condizioni caratterizzanti un periodo di transizione quale l’attuale , il cui superamento è condizionato al verificarsi sul piano politico di una larga maggioranza di centro-sinistra, che si assuma la responsabilità di guidare il processo di pianificazione democratica, con l’impostazione della programmazione economica, l’approvazione della legge generale sulla pianificazione urbanistica e l’attuazione dell’ordinamento regionale. La giustificazione iniziale del provvedimento veniva incentrata nell’esigenza di promuovere la formazione di demani comunali di aree fabbricabili, da mettere a disposizione delle iniziative di edilizia popolare degli enti pubblici e delle cooperative, al fine di contenere l’incidenza del costo dell’area fabbricabile sul costo di costruzione a vano.

L’onorevole Aldisio, nel preannunciare il provvedimento finalizzato a contenere i canoni di affitto e le quote di riscatto delle abitazioni in limiti accessibili alle categorie a reddito fisso, denunciava fin dal 1952 l’avvio di un fenomeno quale quello della speculazione fondiaria, che avrebbe comportato l’assorbimento dei contributi erariali al solo titolo di far fronte all’incremento del costo delle aree fabbricabili. I disegni di legge presentati successivamente dai Ministro On. Romita ed On. Togni portavano, infatti, alle definizione di zone, da individuarsi nei piani regolatori generali o nei programmi di fabbricazione, da destinare all’edilizia popolare o popolarissima, finalizzando quindi le norme legislative al conseguimento dei seguenti obiettivi:

a) vincolare le aree necessarie per l’edilizia statale e sovvenzionata in connessione ai piani pluriennali di intervento;

b) inserire in modo organico l’edilizia pubblica nella struttura della città

In realtà i disegni di legge presentati avrebbero consentito solo parzialmente il conseguimento degli obiettivi prefissati e in modo del tutto inadeguato. La determinazione dell’indennità di espropriazione era basata sul valore venale alla data di acquisizione dell’area,,con il correttivo dell’applicazione della Legge di Napoli, previsto dal progetto Romita, o della riduzione al 75% del valore venale dell’area, prospettata dal disegno di legge Togni. Inoltre, i nuovi insediamenti venivano localizzati nelle zone periferiche di espansione della città, senza alcuna considerazione del verificarsi di una continuità del tessuto urbano, che non deve certo manifestarsi come continuità della struttura edilizia, bensì nel permanere della struttura sociale caratterizzante la nostra comunità.

La impostazione di fondo dei due disegni di legge era, comunque, coerente con le linee di politica tendente a correggere i fenomeni insiti nel nostro sistema economico, anziché a promuoverne il superamento, evitandone gli squilibri e le storture con interventi diretti a modificare, opportunamente indirizzandolo, lo stesso automatismo di mercato. Il dibattito della Commissione LL.PP. Alla Camera dei Deputati, protrattosi dall’autunno del 1958 alla fine del 1961, è servito a modificare la struttura e gli obiettivi del disegno di legge governativo, in ciò agevolato dalla sensibilità ai problemi urbanistici del Ministro On. Zaccagnini. Le disposizioni della legge 167 devono, quindi, essere esaminate sulla base di un triplice ordine di considerazioni. Sul piano urbanistico scaturisce chiara la volontà di accelerare il processo di pianificazione comunale, il cui andamento è eccessivamente lento e faticoso, nonostante la formazione degli elenchi dei Comuni obbligati a redigere il piano regolatore generale, con un preciso richiamo alla competenza ed alla responsabilità dei governi locali nella formazione dei piani, ponendoli nel contempo in condizione di diventare i «protagonisti» dello sviluppo della città.

La specificazione della competenza e della responsabilità dei Comuni non esclude procedure sostitutive, che ho però motivo di ritenere del tutto inefficaci, dopo l’esperienza offerta dalla gestione commissariale della città di Roma; comporta, invece, degli incentivi che, per l’interesse popolare specifico, possono determinare un’azione di stimolo e di controllo della popolazione sulle scelte dei Consigli comunali. La obbligatoria localizzazione dell’edilizia sovvenzionata nelle zone destinate all’edilizia economica e popolare, prevista dalla legge 14-2-1963, n. 60 e dalle direttive del Ministro On. Sullo per le costruzioni assistite dal contributo erariale, rappresenta una spinta indubbiamente efficace all’utilizzo degli strumenti urbanistici, quale quello offerto dalla legge 167. Seppure in modo non del tutto perfetto, si offre pure la possibilità di individuare le zone di espansione residenziale nell’ambito del comprensorio intercomunale. Sotto questo profilo la legge dovrebbe essere integrata, ma soprattutto si prospetta l’esigenza di modificare la legge comunale e provinciale per consentire la costituzione delle comunità di zona, con il compito di dirigere l’attuazione del piano comprensoriale.

In tema di pianificazione comprensoriale, il dibattito è tuttora aperto anche sulle conclusioni cui si è pervenuti nella impostazione della nuova legge urbanistica: l’autonomia comunale trova necessariamente il suo limite nell’inquadramento del piano regolatore nel piano territoriale del comprensorio. Si tratta di conseguire un giusto equilibrio tra l’autonomia comunale e l’esigenza di ristrutturazione del più vasto comprensorio; tale equilibrio è tanto più facilmente conseguibile quanto più la concezione del piano comprensoriale tiene conto delle spinte culturali e sociali proprie di ogni singola comunità. L’ostacolo maggiore si ritrova nell’attuazione dei piani per la non precisa distinzione tra le iniziative di competenza del consorzio intercomunale e la capacità di iniziativa propria e irrinunciabile delle singole comunità.

La seconda considerazione riguarda l’estensione del provvedimento all’intero fabbisogno di aree fabbricabili per un decennio per l’edilizia economica e popolare, con la sola esclusione dell’edilizia cosiddetta di lusso. Si è infatti superata la concezione dell’edilizia popolare come azione paternalistica di assistenza da parte dello Stato o dei Comuni nei confronti dei ceti meno abbienti; si è soppressa la qualificazione di edilizia popolarissima, prevista dal progetto governativo, non ritenendosi conforme alla libertà ed alla dignità del cittadino il persistere nella costruzione di case-ricovero per diseredati. Il programma di sviluppo abitativo rapportato ai diversi tipi di fabbisogno di abitazioni per un decennio porta a definire l’estensione delle aree fabbricabili necessarie; l’identificazione di tali aree nell’ambito del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione si effettua mediante la formazione del piano delle zone destinate all’edilizia economica e popolare, quali piani particolareggiati per l’espansione residenziale. Contemporaneamente, la facoltà concessa ai Comuni di acquisire anche mediante esproprio, aree destinate all’edificazione fino da un massimo del 50% della previsione del piano, di urbanizzarle, di rivenderle o di concederne il diritto di superficie, viene finalizzata al conseguimento dei seguenti obiettivi:

a) produrre ed immettere sul mercato aree fabbricabili così da determinare con l’intervento pubblico la drastica interruzione della spirale di aumento dei prezzi. La mancata produzione di aree fabbricabili (si tratta evidentemente di un termine improprio, ma rende esattamente il concetto) viene interpretata dalla stampa economica come la causa prima del fenomeno dell’incremento di valore delle aree stesse. L’intervento diretto del Comune nel mercato fondiario può portare a contenere prima, ed eliminare poi la speculazione fondiaria, attraverso una massiccia offerta di aree urbanizzate;

b) dirigere lo sviluppo della città, determinando modalità e tempi di utilizzo delle aree con l’esecuzione dei piani particolareggiati;

c) promuovere l’inserimento attivo dell’edilizia sovvenzionata nel processo di sviluppo della città; cosicché l’intervento pubblico possa rappresentare il modello di riferimento del rinnovamento della struttura edilizia; obiettivo questo che si deve pur raggiungere, anche se non si possono nascondere le difficoltà derivanti dalle attuali procedure che regolano l’intervento pubblico, nonché dalla struttura degli enti di edilizia popolare.

La terza ed ultima considerazione riguarda il vincolo decennale di espropriabilità delle aree e le modalità di determinazione dell’indennità di esproprio. Si è, evidentemente, ricorsi al vincolo di espropriabilità decennale, in connessione con la durata dei piani, in relazione alla situazione economico-finanziaria dei Comuni: si è, infatti, constatato come l’istituto dell’esproprio preventivo, così come è previsto dalla Legge Urbanistica del ’42, non ha trovato pratica applicazione appunto in funzione delle dimensioni economico-finanziarie dei problemi connessi alla acquisizione delle aree ed alla relativa urbanizzazione. Pur assimilando i piani delle zone ai piani particolareggiati di esecuzione del piano regolatore generale, con il vincolo di espropriabilità decennale, non si è posta la condizione dell’obbligatorietà del piano finanziario.

Una nuova fonte di entrata per i bilanci comunali è rappresentata dalla contemporanea applicazione della imposizione fiscale sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili e dei contributi di miglioria specifica, previsti dalla legge n. 246, con la obbligatoria destinazione del 50% del gettito all’acquisizione di aree fabbricabili ed al finanziamento dell’urbanizzazione. Con il ricorso al credito a medio e lungo termine, i Comuni possono, comunque, accelerare i tempi per l’esecuzione dei piani, il che risulta indispensabile se si intende veramente adempiere alla funzione di calmierare il mercato fondiario. Il prezzo di acquisto delle aree o l’indennità di esproprio viene prevista in misura pari al valore venale alla data di due anni prima della deliberazione consiliare di adozione del piano, non tenendo conto evidentemente dell’incremento di valore derivante dalla formazione dei piani stessi e ferma restando la possibilità per gli enti di edilizia popolare di ricorrere alle modalità previste dalla Legge di Napoli, in tema di espropriazione per pubblica utilità: a tale determinazione si è arrivati al fine di interrompere drasticamente il movimento ascensionale dei prezzi.

San Polo, Brescia

Si è detto e si è scritto che si viene così a consolidare dei valori che già hanno risentito della componente speculativa, ed è vero, ma d’altra parte le condizioni politiche del momento, caratterizzato dalle cosiddette convergenze parallele, non consentivano la prospettazione di altre modalità di determinazione del valore quali quelle più avanti introdotte nello schema della nuova legge urbanistica. Le disposizioni della legge n. 167 sono evidentemente suscettibili di integrazioni, quali potranno derivare dall’esperienza applicativa, sia nella fase di predisposizione e di studia come nella fase esecutiva dei piani, ma non è ammissibile che l’esigenza di apportarvi delle modifiche venga avanzata solo ai fini di giustificare la mancata applicazione della legge. L’esame dei piani fin qui adottati e dei criteri posti a base del calcolo del fabbisogno delle aree, può portare a considerazioni ed a giudizi discordanti; si verifica infatti una applicazione più o meno estensiva della legge.

Pare a me che si debba assolutamente evitare una applicazione solamente formale della stessa. Da strumento, sia pure congiunturale, per orientare e organizzare razionalmente lo sviluppo della città, può essere consapevolmente trasformata, nella sua applicazione, in un nuovo incentivo alla speculazione fondiaria, se viene limitata la previsione di aree da urbanizzare ed ancora se non si verifica una rapida utilizzazione delle aree vincolate. Gli urbanisti italiani sono ancora una volta chiamati a dare il loro contributo, offrendo per ogni città uno schema di riferimento su cui i Provveditorati Regionali alle OO.PP. Possano misurare l’idoneità dei piani adottati dai Consigli comunali. Soprattutto l’applicazione della legge varrà ad accelerare il processo di pianificazione urbanistica, a formare una classe di tecnici preparati e di amministratori sensibili, a creare un vivo interessamento della pubblica opinione ai problemi collegati alla ristrutturazione della residenza, così da mettere in luce la validità dei principi introdotti nello «Schema Sullo» della nuova legge generale per la pianificazione urbanistica, in taluni aspetti anticipati dalla legge n. 167.

da: Urbanistica, n. 39, 1963

Su temi analoghi si vedano su questo sito almeno Piero Bottoni, La Casa a Chi Lavora, 1945 e gli articoli dedicati al Piano Fanfani o che ne riecheggiano i contenuti

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