L’espansione di Milano (1938)

Oggi più che mai sentiamo un vivo legame spirituale con quel gruppo di architetti (l’Albertolli, il Cagnola, il Canonica, il Landriani, lo Zanoia), che il 17 settembre 1807 presentarono a Napoleone il piano regolatore di Milano. Era quello un piano grandioso e rivoluzionario, in quanto al moto monocentrico che aveva caratterizzato fino ad allora l’accrescimento della città, contrapponeva l’espansione verso il nord-ovest.

Il Piano Regolatore del 1934

Quel piano troppo audace perché non commisurato alla potenzialità economica di una città di 130.000 abitanti, cadde con le fortune del Regno Italico. Cadde però con esso, e per sempre, lo spirito novatore ed antiveggente di quelle idee. Da allora ad oggi, la città è cresciuta da 130.000 abitanti ad un milione e centomila, con un costante moto d’espansione a macchia di olio: centro la piazza del Duomo e perimetro i successivi anelli delle circonvallazioni e delle barriere ferroviarie. Il piano regolatore del 1934, sorto dalla tradizionale suggestione che Milano debba essere monocentrica, chiude la città futura di due milioni di abitanti entro un’inesplicabile linea di circonvallazione che si snoda per ben 70 km lungo i confini amministrativi dell’ampliato territorio comunale. Entro questo enorme anello, l’abitato viene distribuito con esasperante uniformità di valori in ogni direzione della rosa dei venti, ed un’intricata rete stradale copre fittamente il terreno fin nell’aperta campagna, con astrusi disegni a base di raggiere, di linee diagonali, di angoli acuti, di piazze informi.

Se vogliamo passare da una polemica negativa a realizzazioni concrete, bisogna anzitutto rivangare profondamente il terreno per liberarlo da ogni scoria concettuale. Al settore nord-ovest di Milano, le «spettacolari sequenze» additate ai milanesi non potranno essere realizzate se prima non si procede ad una severa revisione strutturale di tutta la zona. Se, delle 15 grandi arterie foranee che convergono in Milano, ben 10 gravitano su quel settore, il piano regolatore le abbandona a sé stesse, senza risolvere il problema della loro immissione in città. L’esistenza del Corso Sempione è volutamente ignorata. Questa grande arteria, larga 90 m, sulla quale tende spontaneamente il traffico proveniente da Torino, dal Sempione, dalle Autostrade, dalla provinciale di Varese, l’unica strada di Milano che possa degnamente assolvere il compito di ingresso trionfale in città, viene degradata a strada qualunque.

Verso realizzazioni concrete

Al grande asse del Sempione il piano regolatore sostituisce una concezione nuova: un sistema stradale di 70 m di larghezza, creato in aperta campagna tra Musocco e San Siro, accoglie successivamente il traffico dalla strada di Torino, quello del Sempione, quello delle Autostrade. Carica della somma di questi traffici, la nuova arteria improvvisamente si contrae, devia sulla via Scarampo, passa in diagonale il quadrato della Fiera e si innesta finalmente alla via Boccaccio. Man mano che ci si avvicina al centro, al graduale aumento del traffico veicolare, quest’arteria risponde con successive contrazioni: da 70 m di larghezza essa scende a 40, a 30, fino ai 20 della via Boccaccio!

Se il piano regolatore ignora il corso Sempione, esso ignora pure il viale Zara, che fu creato di 60 m di larghezza non certo per congiungere Milano al solo parco di Monza. Il traffico del viale Zara diretto verso il centro trova un improvviso fermo nel piazzale Lagosta, donde due miseri bracci ad Y non riescono a fargli superare la barriera ferroviaria. La strada di Como e quella di Erba, pur venendo modificati i loro tracciati in aperta campagna, devono pur sempre innestarsi all’infelice sistema del sottopassaggio della via Farini. La strada di Varese, convogliata sulla grande circonvallazione esterna, viene totalmente abbandonata a sé stessa.

Ma se vogliamo aprire il terreno delle grandiose realizzazioni preconizzate dal Corriere, non è certo in questa caotica maglia stradale che potremo innestare le nuove idee. Bisogn anzitutto incidere i grandi solchi stradali. Il corso del Sempione potrà divenire la spina dorsale di una nuova città, ed i mezzi per giungere al fine sono:

  1. Portare sul piazzale Accursio (trasformato da informe raggiera a 11 bracci, quale è previsto dal piano regolatore a piazza d’ingresso della città) due grandi arterie a pretto carattere di autostrade. Queste fanno capo in aperta campagna a due nodi: nell’uno confluisce il traffico proveniente da Torino e dal Sempione, nell’altro quello delle Autostrade e della provinciale di Varese.
  2. Legare corso Sempione alla città, allacciando i due rami delle vie Canova e Melzi, non solo al sistema di Foro Bonaparte, ma direttamente (ed è possibile) all’asse della via Emilia ed a quello dell’Idroscalo.

Con queste riforme si traccerebbe nel corpo urbano un chiaro asse direzionale da nord-ovest a est ed a sud-est. Viale Zara, da tronco stradale sterile ed inerte, può essere tramutato in grande asse di comunicazione verso nord, solo che si provveda a: 1 – innestarvi, ancora in aperta campagna, la strada di Como e quella di Erba, e, oltre il Parco di Monza, quella di Lecco e dello Stelvio; 2 – risolvere l’arrivo a Milano con una forte saldatura al rigenerato sistema del Foro Bonaparte, attraverso il quartiere di corso Garibaldi, già destinato ad essere totalmente sconvolto dal piano regolatore. Se nel settore nord-ovest di Milano, solcato da queste nuove grandi direttrici di comunicazione, si intercalerà un sistema di assi, per dare uno sfogo all’espansione edilizia in direzioni ben definite (come potrebbe essere il prolungamento di via Monte Rosa a oltre S. Siro e di via Mac Mahon oltre la barriera ferroviaria), solo allora potrà considerarsi compiuto quel drenaggio indispensabile ad aprire il terreno a nuove realizzazioni.

Se queste idee sono in aperto contrasto con i principi del piano regolatore, che è legge, è pur assurdo il pensare che, per un rigido rispetto formale a questa legge, se ne possano distruggere lo spirito ed il fine: promuovere, non frenare il processo evolutivo della città. Se gli audaci progetti degli architetti dell’800 caddero perché legati al destino di un regio effimero, oggi, nello spirito del rinnovamento che pervade tutta la nazione e nella sicurezza di continuità spirituale del nuovo clima politico, non si deve dubitare della possibilità di realizzare opere degne del nostro tempo.

da: Corriere della Sera, 13 luglio 1938

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