Metropoli e attacchi terroristici

Si ritiene da parte delle autorità competenti che una migliore strategia di sicurezza contro gli attacchi terroristici (e potremmo dire con qualche piccola variante contro qualunque atto ostile) si articola su quattro complementari e intrecciati fronti: Conoscere in anticipo l’origine probabile dell’attacco, sia in in termini di soggetti a rischio che di ambiente fertile, da monitorare, controllare, e su cui eventualmente intervenire in fase di organizzazione attuativa; Prevenire il formarsi degli ambienti fertili e a rischio attraverso un lavoro di relazione e informazione che quasi naturalmente si collega al primo punto; Tutelare cittadini, istituzioni, servizi e infrastrutture, sia rafforzando gli interventi della pubblica sicurezza, sia predisponendo ambienti adeguatamente difesi; infine, dato che è impossibile escludere effetti nefasti degli attacchi terroristici, Prepararsi a ridurli comunque al minimo attivando tutto ciò che induce resilienza, oltre che sfruttarli in positivo per migliorare ogni aspetto della prevenzione. Tutto questo, che forse a una prima rapida lettura può apparire giusto buon senso da tinello, andrebbe invece ribadito e approfondito, perché puntualmente dopo ogni attacco nelle città, e non solo nelle città ovviamente, opinione pubblica, media superficiali e certa politica di bassissima lega, sventolano la medesima bandiera. Agitando lo spettro di una società e un territorio assediati, delineando scenari di guerra e barriere impenetrabili, di vigilanza armata capillare e invadente ovunque, per la nostra «sicurezza» naturalmente. Se forse si tratta di un riflesso emotivo del tutto spontaneo e in fondo naturale sul brevissimo termine, lascia comunque scoperta la vera questione, di come combinare una auspicabile e ragionevole sicurezza anche nei probabili bersagli di attacchi, anche intervenendo sulla progettazione urbana, ma al tempo stesso senza intaccare quella vitalità di relazioni e caratteristiche inclusive, che distinguono una metropoli da una fortezza sotto assedio.

Il flusso è vita

Una indiretta ma chiarissima conferma, del fatto che sicurezza significa garantire vita, e quindi vitalità, e quindi relazione e inclusione, la possiamo leggere nel ruolo affidato ai trasporti urbani di ogni genere, anche nei momenti di massimo rischio e trauma da attacco terroristico. È opinione degli esperti e responsabili, che le autorità di gestione delle varie reti debbano appena tecnicamente possibile, sempre optare per un loro funzionamento, magari a regime ridotto se indispensabile alla sicurezza. In qualunque situazione i flussi devono continuare ad alimentare la vita della metropoli (ad esempio, ma è solo un singolo aspetto, per consentire e migliorare soccorsi e resilienza generale). Alla lettera, per il caso di Londra, uno dei bersagli preferiti del terrorismo, si raccomanda che «in qualsiasi situazione debba essere mantenuta operativa la rete dei trasporti, in tutto o in massima parte». Affermazione che letta come obiettivo di carattere generale, allargando quindi il campo oltre le infrastrutture citate (nello specifico si parla della rete di metropolitana considerata strategica), dovrebbe riguardare il concetto di accessibilità, più che i modi, accessibilità naturalmente garantita a persone, mezzi, servizi, cose, e rapida ed efficiente così come ci si aspetta ragionevolmente nella città contemporanea. Accedere e interrelarsi in sicurezza, velocemente, efficientemente, anche in situazione di emergenza, pensiamo al cosiddetto ultimo miglio della mobilità rappresentato dagli spostamenti pedonali dei soli esseri umani, e vediamo che il flusso rapidamente trascolora nell’accessibilità spaziale, nella forma della città.

L’anima del commercio è la vita

Esclusi strumentalmente qui gli spazi residenziali, il cui requisito specifico di privacy e flussi naturalmente controllati e filtrati, li rende un ambito del tutto particolare della sicurezza e prevenzione, rimane quel nocciolo duro della metropoli costituito da commercio, servizi pubblici e privati, attività economiche varie, che ovviamente si nutrono del via vai di persone: canale che costituisce di per sé sia il percorso finale del rischio, dell’attacco, sia quello della prevenzione e della reazione. L’equilibrio tra vitalità e sicurezza si costruisce focalizzato in pratica proprio qui, in questi nodi di relazione che possono per inciso essere anche l’obiettivo principale di un attacco, proprio perché vi si trova concentrata gran quantità di bersagli semplici da raggiungere. Centri commerciali, locali di spettacolo, bar e ristoranti, tutti tipi di spazi che negli anni recenti sono stati in tutto il mondo teatro di eventi violenti. Per questi luoghi è importantissima, la consapevolezza del peggio, in entrambi i sensi: sia del rischio, sia della necessità comunque di evitare l’interruzione dei flussi (anche perché sarebbe ovviamente contraria alla funzionalità dei luoghi). Consapevolezza che si esprime sia nei comportamenti e atteggiamenti di personale e visitatori, sia nell’organizzazione fisica dei luoghi e del loro rapporto con gli spazi pubblici esterni della viabilità e accessibilità, pedonale come veicolare. Ecco, molto brevemente, ciò che deve al minimo contestualizzare la classica, inevitabile azione direttamente preventiva e repressiva delle forze dell’ordine e dei vari servizi collegati alla reazione a un attacco terroristico a una città. Maggiori dettagli e raccomandazioni, con riferimento al caso emblematico di Londra, nel più recente rapporto di settore.

Riferimenti:
Lord Toby Harris, An independent review of London’s preparedness to respond to a major terrorist incident, ottobre 2016

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