No alle pedonalizzazioni (ma …)

road sectionCi sono le parti storiche o comunque pre-automobilistiche delle città, o quelle concepite originariamente per non dare particolare spazio al veicolo a motore, ma poi costrette a farlo. In queste zone, le politiche di pedonalizzazione possono anche non chiamarsi tali, visto che si tratta di una specie di restauro filologico. Naturalmente la parte non strettamente fisica la deve fare da padrona, perché la stessa storia a suo tempo ignorata dall’irruenza animalesca dell’auto, ha finito poi per accumularsi sull’auto stessa e la sua logica, costruendole attorno un contesto socio-spaziale. E così dentro a quegli ambienti magari originariamente nati per attività pedonali, ne prosperano altre che sarebbero costrette a cambiare radicalmente, oggi, per tornare alla logica del cosiddetto Cavallo di San Francesco. Di tutti questi aspetti, una saggia politica pubblica (e una altrettanto saggia azione associativa dei privati) deve assolutamente tener conto, graduando nel tempo l’esclusione, suggerendo modi di adeguamento, favorendo in ogni modo alternative. La cosa sicura è che non si torna indietro, ma si va avanti, ovvero la pedonalizzazione non vuol dire far girare la lancetta in senso antiorario. Ma poi, ci sono anche posti dove l’auto è socio fondatore, da ogni punto di vista, e tutt’ora componente essenziale della struttura e del metabolismo.

Universi a quattro ruote

Esistono corridoi di mobilità urbani di fatto cresciuti come adattamenti del modello autostradale puro. Luoghi sviluppati nella sola direzione longitudinale, ed esclusivamente concepiti per il movimento dall’origine alla destinazione, che pongono in secondo o terzo piano sia i flussi trasversali che la sosta che velocità di movimento considerate incompatibili col resto. Ogni altro elemento desideroso di partecipare al flusso, deve provvedersi di adeguato interfaccia, diretto o indiretto: gli attraversamenti trasversali con quote diverse o semaforizzazioni o svincoli, le destinazioni con corsie, parcheggi, guide di afflusso e deflusso. La stessa collocazione degli spazi per così dire «statici» dipende in tutto e per tutto dall’universo «dinamico» che li contiene, e che pare non dipendere affatto dalla loro esistenza. A differenza di quanto avviene per gli ambienti anti-automobilistici, questi corridoi non si prestano affatto alla pura politica di ritorno alla pedonalità, e per un motivo abbastanza ovvio: non possono esistere, in quello stato. Nel caso specifico quindi si pone, e forte, volendo, l’opzione della trasformazione fisica graduale in qualcos’altro. Ma qualcos’altro cosa?

Un problema di dieta

A titolo di indispensabile premessa, vale sempre la pena ribadire, quando parliamo di pedonalizzazioni, mobilità dolce e analoghi, quanto certe idee in voga in alcuni ambienti, di «eliminare l’automobile» siano quantomeno ideologiche, anche in prospettiva. Dalle recenti tendenze di sviluppo tecnologico tutto parrebbe indicare come, anche prendendo molto sul serio una massiccia riconversione urbana ed energetica, il ruolo del veicolo a motore privato-condiviso debba comunque restare rilevante: sia per i trasporti che per l’organizzazione spaziale entro cui si sviluppa la mobilità. Quindi uno dei presupposti della riconversione anche radicale degli ex corridoi automobilistici è che, a differenza di quanto avviene per spazi storici o comunque non concepiti attorno all’auto, per quei veicoli si dovrà mantenere un ruolo essenziale, attivo e passivo, anche magari oltre certe semplificazioni del cosiddetto «spazio condiviso» entro cui di fatto pedonalità, ciclabilità, mezzi pubblici, vengono ad assumere un ruolo dominante. La tecnica a quanto pare più sperimentata per la riconversione delle arterie stradali (tanto più valida quando si rapportano direttamente o indirettamente proprio con quei contesti a vocazione pedonale), si chiama Dieta Stradale, e consiste nel ridurre in modo drastico sia la quota delle corsie di scorrimento e degli interfaccia, sia il loro ruolo nel modellare spazi e funzioni circostanti. Ridurre, non tendenzialmente eliminare, ma la vera buona notizia, qui, è un’altra: è economicamente conveniente per la pubblica amministrazione, e quindi tutte le obiezioni sul fatto che così «si rallenta lo sviluppo» sono pretestuose. Cominciamo a pensarci seriamente, lavorando anche sugli altri fronti.

Riferimenti:
AA.VV., Costs and benefits of a road diet conversion, Case Studies on Transport Policies, settembre 2015 (pdf scaricabile direttamente)
Su questo sito per il medesimo tema (e l’esperienza di Flint, Michigan) vedi
Centralità della sezione stradale, e relativo link

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