Politiche di assetto territoriale (1966)

Unità dei problemi economici ed urbanistici

Nell’impostazione del problema dell’assetto territoriale, il programma 1965-69 parte dal presupposto di una fondamentale unità dei problemi urbanistici ed economici del territorio; e dalla conseguente esigenza che le politiche rivolte a risolverli siano reciprocamente e intimamente connesse. Gli squilibri economici tra le regioni di uno stesso Paese e il disordine urbanistico sono gli aspetti più evidenti del cattivo uso del territorio che un meccanismo di sviluppo non programmato determina. In effetti, malgrado le ottimistiche previsioni formulate dagli economisti classici, che prevedevano un processo di tipo diffusivo, tendente a traboccare spontaneamente dalle regioni meglio dotate a quelle più povere, lo sviluppo economico capitalistico si è risolto in processi di tipo agglomerativo che hanno sempre più accentuato le differenze tra regioni ricche e regioni povere.

Inoltre, all’interno delle stesse regioni ricche, l’utilizzazione di tutte le risorse, compreso il territorio, allo scopo immediato del profitto, ha gravemente ristretto lo spazio disponibile per esigenze non direttamente collegate alla produzione di valori monetari; e ha finito per impoverire gravemente il rapporto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive. La reazione a queste tendenze ha provocato un sempre più accentuato intervento di parte pubblica: a favore delle aree sottosviluppate e a tutela delle esigenze sociali e civili della comunità nelle città e nelle zone industriali. Si tratta di interventi e di politiche (le politiche «regionali»; le politiche urbanistiche) che procedono dapprima indipendentemente le une dalle altre, muovendo da situazioni e da esigenze distinte prevalentemente economiche le prime; prevalentemente tecnico-ingegneristiche le altre. Ben presto tuttavia, appaiono i nessi e le interdipendenze; e diviene evidente che il problema del sottosviluppo è l’altra faccia del problema del congestionamento delle aree urbane; che essi sono due aspetti di un unico meccanismo di sviluppo; e che dunque non possono essere affrontati in modo unilaterale, con semplici azioni correttive e parziali, ma devono essere affrontati in modo globale, con una politica di programmazione territoriale. In Italia questo processo di convergenza appare con molta chiarezza.

Nuovo modo di concepire il problema meridionale

Consideriamo il problema del sottosviluppo. Identificato dapprima con la «questione meridionale», questo problema ha attraversato nella coscienza e nella e nella politica economica varie fasi. Dapprima, avvertito lo stridente contrasto tra le due Italie, sono stati denunciati i più vistosi aspetti di una politica economica che, attraverso i suoi vari strumenti (credito sistema fiscale; distribuzione territoriale della spesa pubblica) favoriva nettamente il Nord a danno del Sud; e si è invocata la cessazione degli «incentivi» inversamente proporzionali al grado di povertà delle regioni. In una seconda fase, più avanzata, si sono provocati interventi attivi dello Stato, rivolti a creare nelle zone sottosviluppate le necessarie infrastrutture e a equilibrare – grazie a facilitazioni doganali, fiscali, creditizie – le condizioni di convenienza per l’operatore privato.

In una terza fase, rivelatosi insufficiente anche questo approccio, si è promossa un’attiva politica di industrializzazione. In questa fase la responsabilità fondamentale dello sviluppo è assunta dallo Stato, il quale non si limita a fornire le basi infrastrutturali e a creare le «convenienze» per lo sviluppo; ma traccia concretamente sul territorio un piano di sviluppo: indicando le aree di concentrazione industriale, le aree di insediamento urbano, le zone di sviluppo agricolo, turistico; e raccordando a questo disegno del territorio la stessa politica delle opere pubbliche. In questa fase emerge chiaramente l’impossibilità di limitare il «disegno» o piano territoriale ad una sia pur vasta zona arretrata, sottosviluppata. In primo luogo, problemi di equilibrio regionale esistono anche al di fuori del Sud, in forme più o meno gravi. Inoltre, un programma di intervento nel territorio è inefficace se non viene esteso a tutta l’area entro la quale esiste un alto grado di mobilità della popolazione e dei capitali. Si profila dunque l’esigenza di inserire l’azione di sviluppo dell’area arretrata in un ampio e organico programma territoriale di dimensioni nazionali.

Impostazione «globale» dell’intervento urbanistico

Consideriamo l’evoluzione dell’altro problema: quello urbanistico. Anche qui, esso si configura entro ambiti e con aspetti limitati: la destinazione del suolo cittadino a tutela dele esigenze sanitarie, igieniche, civili, sociali, artistiche delle comunità cittadine. Ma nella misura in cui lo sviluppo tumultuoso dei centri urbani travolge la vecchia cinta comunale e si irraggia su vaste zone modificando profondamente i tradizionali rapporti tra città e campagna entro i nuovi conglomerati delle aree metropolitane, il tradizionale approccio normativo diviene insufficiente. Il piano regolatore comunale è assorbito nell’ambito dei piani intercomunali, comprensoriali, regionali. Le interdipendenze dell’economia spaziale conducono anche qui ad ampliare il concetto di intervento urbanistico e a confonderlo con quello globale di programmazione territoriale. Si passa in tal modo da approcci parziali ai problemi dell’intervento sul territorio, intesi a correggere le manifestazioni più negative di un meccanismo di sviluppo spontaneo, a un’impostazione globale, tendente a condizionare il meccanismo di sviluppo a scelte precise concernenti l’equilibrio economico tra le varie regioni e la ripartizione del territorio nazionale tra le varie destinazioni.

Un primo inquadramento del programma territoriale

In ordine a questa impostazione unitaria del problema dell’assetto territoriale, venutasi via via maturando nella coscienza nazionale, il Programma fissa alcune scelte ispirate alla finalità generale di assicurare un più equilibrato meccanismo di sviluppo, determina alcuni fondamentali obiettivi da conseguire nel quinquennio per quanto riguarda la ripartizione della popolazione e delle risorse tra le varie parti del territorio nazional; e delinea conseguentemente le linee generali delle politiche che il Governo si impegna a seguire per rendere possibile l’attuazione di questi obiettivi. Si tratta di un quadro molto generale e aggregato. Basti dire l’analisi e le previsioni sono compiute prendendo per base le tre grandi ripartizioni nelle quali si suole convenzionalmente distinguere, a fini di rilevazione statistica, il territorio nazionale: Italia Nord-Occidentale, Italia Centro-Nord-Orientale, Italia Meridionale. Non si tratta dunque di un «programma territoriale», ma di un primo inquadramento, basato su alcune fondamentali scelte, di un programma territoriale che dovrà essere predisposto nella base di un intenso lavoro di consultazione con le istanze regionali.

Linee generali di assetto del territorio nazionale

Quanto all’Italia Nord-Occidentale, indirizzo fortemente assunto nel programma è quello di contrastare i fenomeni di eccessiva e disordinata concentrazione degli insediamenti produttivi e residenziali, assicurando tuttavia le condizioni per un ulteriore sviluppo, tale da consentire anche un adeguato afflusso di capitali nelle aree meno sviluppate del Paese. La crescita economica del «triangolo industriale» implica la rimozione di alcune strozzature, determinate soprattutto dalla insufficienza di infrastrutture e di servizi sociali. Un ruolo fondamentale spetterà, in questo senso, alla politica urbanistica che, evitando un antieconomico congestionamento delle attività produttive e degli insediamenti in alcune zone, potrà interessare allo sviluppo (attraverso processi di decentramento) le «isole» di depressione esistenti nell’area stessa, supplendo alla funzione assegnata agli interventi economici di carattere speciale, che si sono rivelati scarsamente efficaci.

La seconda circoscrizione, dell’Italia Centrale e Nord-Orientale, è caratterizzata dall’esistenza di una situazione tendenziale di equilibrio tra domanda e offerta di lavoro e da un notevole ritmo di crescita del prodotto pro-capite. Tuttavia, al suo interno sussistono situazioni di sviluppo territoriale molto diverse. L’esigenza di pervenire ad una conoscenza sempre più precisa e particolareggiata delle caratteristiche delle singole zone si riflette nel tentativo – contenuto nel programma – di individuare, in prima approssimazione, all’interno della circoscrizione, alcuni tipi di aree economiche, di differenti caratteristiche e dinamiche. Il primo tipo (aree di sviluppo secondario) comprende: a) le propaggini del «triangolo industriale» in cui tende a propagarsi naturalmente il processo di sviluppo; b) caratterizzate da un basso livello pro capite ma da una rapida dinamica di sviluppo; c) altre zone che hanno raggiunto livelli di sviluppo relativamente elevati, ma registrano oggi una dinamica sfavorevole.

Il secondo tipo (aree di depressione) riguarda vaste zone, in cui si registrano livelli di sviluppo più bassi, accompagnati da una scarsa dinamica delle attività produttive. Questo primo quadro di riferimento dovrebbe consentire, con successiva analisi, di definire con più precisione i contorni dei vari comprensori. Soltanto a questo livello sarà possibile identificare politiche organiche di intervento, che consentano di affrontare diverse situazioni con strumenti di intervento diversi e commisurati agli specifici problemi e alle concrete possibilità economiche delle varie zone.

Quanto infine alla terza grande circoscrizione, il Mezzogiorno, siamo ancora di fronte a una realtà economica caratterizzata nel suo insieme da gravi e diffusi elementi di sottosviluppo. Tuttavia, poiché nell’ambito meridionale già si profilano importanti tendenze alla differenziazione del processo di sviluppo economico, è stato stabilito nel programma un indirizzo di diversificazione territoriale degli interventi. Sono state identificate alcune «aree di sviluppo globale», caratterizzate da una più consistente presenza di infrastrutture di base, da maggiori possibilità di sviluppo industriale, agricolo e turistico, e da notevoli fenomeni di urbanizzazione, le quali si dispongono lungo direttrici di sviluppo di importanza essenziale per l’economia meridionale e per l’intera economia nazionale.

Le «economie esterne» presenti in queste aree dovrebbero rendere altamente produttivi gli interventi, in termini di occupazione e di valore aggiunto, ed avere favorevoli conseguenze sui fenomeni di propulsione e di programmazione dello sviluppo. In queste aree si dovrà, pertanto, concentrare l’azione della Cassa per il Mezzogiorno, sulla base di nuovi criteri di coordinamento dell’azione ordinaria dell’Amministrazione con quella straordinaria fissati nella nuova legge attualmente in esame al Parlamento. Al riguardo, il programma prevede l’elaborazione di un piano territoriale di coordinamento degli interventi pubblici. Alla concentrazione degli interventi nelle aree di sviluppo globale dovrà corrispondere una più intensificata azione di carattere ordinario nel restante territorio meridionale, mentre in talune «zone povere» interventi speciali dovranno risolvere problemi particolarmente gravi di sistemazione economica ed ambientale: in modo che la concentrazione costituisca uno dei fattori – determinante, ma non esclusivo – di una politica globale di efficiente uso delle risorse del territorio meridionale.

Direttive generali della politica urbanistica

Le direttive generali da assegnare alla politica urbanistica sono considerate dal programma in stretta correlazione con gli obiettivi di riequilibramento territoriale delle tre circoscrizioni. È da tenere presente, in proposito, che i fenomeni di urbanesimo si sono sviluppati principalmente sotto lo stimolo di un intenso flusso immigratorio, proveniente soprattutto dalle regioni meridionali. La disordinata crescita urbana (verificatasi con particolare intensità nel «triangolo industriale», caratterizzato da più alti livelli di occupazione, di reddito e di attrezzature civili) ha accentuato gli squilibri economici e sociali di carattere territoriale. Obiettivo del programma è quello di contenere e di ordinare nel Nord lo sviluppo degli insediamenti urbani, in modo anche da evitare l’aggravarsi e il generalizzarsi di alcuni fenomeni di congestione; di perseguire, d’altro canto, nel Mezzogiorno, la formazione di un sistema di aree di sviluppo urbano sufficientemente equilibrate, polarizzato su alcuni grandi e medi centri, che potranno orientare i movimenti della popolazione in funzione degli sviluppi previsti nello stesso ambito meridionale.

In particolare, è da osservare che nell’Italia centrale e nord-orientale, il tessuto urbanistico è relativamente valido: tuttavia, su di esso si vanno innestando fenomeni di avanzata urbanizzazione e di sviluppo industriale che occorrerà ordinare ai livelli regionale e comprensoriale al fine di evitare che producano i negativi effetti che si sono manifestati in altre aree del Paese. Il programma si limita – allo stato attuale – a identificare «aree di influenza» e «agglomerazioni» urbane tra le quali sarà compito della politica urbanistica – che dovrà essere formulata alla scala nazionale, nel piano urbanistico nazionale e alla scala regionale nei piani regionali – di stabilire le condizioni di un migliore equilibrio.

da: La città regione in Italia – Premesse culturali e ipotesi programmatiche, a cura di Franco Archibugi, Boringhieri, 1966

Immagine di copertina: Urbanistica 50-51

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