Voraci consumatori di suolo a loro insaputa

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Foto F. Bottini

Tutti si occupano di territorio, per il semplice motivo che tutti ci stanno coi piedi appoggiati sopra. Escluse le sardine e simili, ovviamente. Però qualcuno se ne occupa (eccome se se ne occupa) a sua insaputa, come quando in casa ci giriamo sbadatamente pestando la coda al nostro amico quadrupede. Di solito il quadrupede miagola o guaisce offeso, e noi ci accorgiamo del misfatto, magari ripromettendoci di stare un po’ più attenti la prossima volta. Quelli che discettano di territorio a loro insaputa, invece, il miagolio o guaito si guardano bene dall’ascoltarlo, non sono sintonizzati all’ascolto, tendono a confonderlo con qualche fastidioso rumore di fondo. Gli scienziati in camice bianco che pontificano sugli Ogm, ad esempio, non solo parlano di territorio, ma di territorio al cubo, all’ennesima potenza visto che esiste quella cosa chiamata land grabbing, sterminate regioni agricole accaparrate dalle medesime multinazionali disposte poi a piantarci ogni cosa, ad ogni costo per l’ambiente e le popolazioni. Però, siccome il land grabbing avviene fuori dal loro laboratorio, non è cosa che si possa simulare in provetta o in un modello matematico, i nostri saggi a loro insaputa parecchio stolti lo ignorano. Così come ignorano un sacco di altre cose, liquidandole con un buffetto: quisquilie e pinzillacchere, avrebbe detto il principe De Curtis.

Spazio e società

La cosa diventa però piuttosto surreale quando a occuparsi di territorio sono certe discipline sociali, che il laboratorio e il camice bianco l’hanno sempre praticato poco o niente. E anzi sul territorio, come si dice, ci stanno ben piantate, vuoi direttamente in alcune loro branche dette appunto in Italia Sociologia dell’Ambiente e del Territorio (settore accademico disciplinare SPS/10), vuoi indirettamente studiando attraverso dati o altre fonti le dinamiche di quel contesto. Accade però, evidentemente, che qualcosa non funzioni come dovrebbe: sul territorio l’intreccio delle dinamiche avviene, ma ai nostri studiosi pervengono solo segnali molto filtrati. Nulla di male, anzi è virtuoso isolare la discriminazione di genere dalla deforestazione, o la composizione del reddito dagli spostamenti pendolari, anche se accadono nel medesimo bacino spaziale. Però a volte sarebbe davvero indispensabile ascoltare il famoso miagolio o guaito, se si leva piuttosto evidente in forma di disagio. C’è un modo abbastanza usato, anche se non abbastanza usato, e si chiama interdisciplinarità.

Metodi sul territorio

L’interdisciplinarità, però, non è roba facile, e viene praticata spesso in modo perverso, affiancando alla rinfusa contributi diversi che non si parlano tra loro, oppure facendo solo finta di acquisire al ragionamento gli altri punti di vista. Pensiamo per esempio a una studiosa fortemente orientata alla questione femminile che analizza le discriminazioni in un territorio: studierà tutti i dati anagrafici, economici, sociali, aspetti comportamentali, psicologici, l’incidenza di alcuni reati, e altro ancora. Ma faremo una fatica tremenda, quasi di sicuro, a convincerla della vaga utilità di affiancare alle sue riflessioni alcuni dati sull’uso del suolo, che invece potrebbero contribuire, e magari parecchio, a spiegare fenomeni o addirittura costruire modelli interpretativi generali. Forse, anzi di sicuro, esiste una correlazione fra le funzioni insediate, la loro densità, le qualità spaziali, e la condizione femminile: le case ad appartamenti promuovono una socialità diversa rispetto ai villini unifamiliari, la vicinanza o meno di attività economiche e servizi fa una grossa differenza e così via. Ma l’abitudine inveterata a concentrarsi sulla persona porterà, quasi automaticamente, a procedere in un solo modo rispetto al territorio: considerarlo una specie di tabula rasa dotata solo di confini, entro cui proiettare le proprie elaborazioni. L’unica vera interdisciplinarità, di solito, è quella garantita dal senso comune, e qui entra in campo un altro problema, ovvero cosa dice di solito questo senso comune.

Le banalizzazioni mediatiche

Ovvio che la ricerca, scientifica o meno, sia tale proprio perché si deve svolgere su un fronte avanzato, non accessibile a tutti, ma poi entra in campo la capacità comunicativa, o addirittura la voglia, di comunicare. Certo, esistono comunicazioni molto dirette, del tipo: se ti avvicini al tizio con quella malattia non rischi il contagio, perché abbiamo scoperto senza dubbio che si trasmette solo in modo ereditario. Ma di solito, e soprattutto con acquisizioni nuove, le cose vanno diversamente: la casalinga disperata sarà individuata come tale attraverso una serie di criteri avanzatissimi di studio, ma gli studi sull’ambiente in cui esprime la sua disperazione (e che magari la condiziona in modo determinante) non saranno altrettanto avanzati, anzi magari vecchiotti. Succede spesso, quasi sempre, non ci si fa caso e lo si considera anzi normale, ma ogni tanto lo iato si fa sentire, quando si traggono alcune conclusioni generali. Esempio: su un giornale quotidiano oggi un noto sociologo parla del “ritorno in provincia”, della fuga dalle grandi metropoli, del ritorno in auge dei vecchi borghi o paesi, dei territori locali, e ne cita anche molto correttamente alcuni aspetti territoriali, che chiameremmo in generale “consumo di suolo”. Anzi, si può dire che quanto raccontato dal sociologo altro non è che consumo di suolo, visto che per quanto riguarda le aspettative, i comportamenti, le aspirazioni, insomma i dati socioeconomici e psicologici, quel processo non ha nulla di particolare salvo il dispiegarsi altrove rispetto alla città industriale densa del passato. E però, rispetto a quanto avvenuto in passato, proprio il dispiegarsi altrove pone le premesse per effetti assai diversi, che cambieranno radicalmente sia la società che lo spazio in cui agisce. Questo il sociologo non lo coglie, ed è un vero guaio. Perché non ascolta i segnali delle discipline territoriali? Probabilmente perché sono deboli, troppo chiusi in sé stessi, troppo poco aperti all’interdisciplinarità. E il circolo vizioso continua.

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