Anche la mobilità dolce può essere di destra

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Foto F. Bottini

Vorremmo tutti avere dei comportamenti eleganti, adeguati al luogo in cui siamo, comodi ma al tempo stesso tali da farci sentire perfettamente all’altezza. Succede sia alle cene eleganti (o alle cene e basta), che al lavoro, per strada, quando saliamo o scendiamo le scale o saliamo sull’autobus. Pare sia piuttosto frequente, il caso di qualcuno di noi che mentre fa consapevolmente questo sforzo, di comportarsi in modo adeguato all’ambiente, specie all’aperto, immagina di recitare in un film, di essere inquadrato magari dall’alto, magari con una colonna sonora. Registi di sé stessi, insomma. Il massimo dell’eleganza naturalmente è ciò che deriva da comportamenti così abituali da diventare spontanei: non c’è nulla di più goffo, ridicolo, di qualcuno che si sta sforzando di infilarsi in una parte che non interpreta ancora a puntino. Dalla ragazzina che per la prima volta mette i tacchi, al campagnolo che prova a orientarsi fra spazi e comportamenti urbani che gli sono ignoti.

Esiste, anche, l’eleganza dei comportamenti trasgressivi, e qui si sale di un gradino, perché per praticarla bisogna non solo imparare tutte le regole, ma anche trovare un modo fluido per aggirarle o platealmente infrangerle. Qui la differenza è fra chi non sa neppure di trasgredire, e fa sostanzialmente la figura dello sciocco, e chi invece lo fa consapevolmente, arrivando col proprio gesto fino a denunciare le stesse incongruità delle regole. Ad esempio c’è un’infinità di modi per fermarsi col semaforo rosso, o invece passare col rosso, che riflette tutte queste sfumature. Un altro campo tipico, di questi tempi, è rappresentato dallo spostarsi in bicicletta nel contesto della grande città.

Nella città piccola il problema spesso non si pone neppure: si tratta di spostamenti abituali, di solito casa-scuola o casa-lavoro, su tragitti relativamente brevi, sempre gli stessi (non ci sono alternative) di cui si conoscono a menadito i particolari, e in cui anche gli altri che si spostano più o meno conoscono di vista quel ciclista. In quella grande, nell’ambiente propriamente metropolitano, si sovrappongono parecchi fattori, a condizionare il comportamento del ciclista: grandi distanze, grandi varietà di percorsi e alternative, grandi varietà di interlocutori. Si aggiunge una varietà di secondo grado, ovvero l’adattamento o adattabilità al muoversi non in auto dei vari tratti del percorso. Ci può essere la pista ciclabile (a sua volta in corsia separata o solo segnata) o la zona pedonalizzata, poi le vie con o senza marciapiede, e di quale larghezza, e confinante con cosa, la carreggiata più o meno larga o trafficata, i veicoli in sosta, gli incroci, i semafori, le rotatorie. Tutto un articolato sistema che, si scopre abbastanza rapidamente, è stato regolamentato attorno alle automobili, salvo quelle piccole porzioni “sottratte” a questa regola generale.

Ecco, qui adattamento, comportamento fluido ed elegante, denuncia di ciò che non va attraverso una trasgressione intelligente, trovano il loro campo ideale. E trova un suo campo ideale anche, come vedremo tra poco, un’altra possibile differenza fra destra e sinistra. Ad esempio non molto tempo fa in una delle tante capitali del neo-ciclismo rampante, Londra, c’è stata una drammatica escalation delle vittime su due ruote: in media un morto al giorno, una cosa davvero da brividi, e come al solito soprattutto per colpa dei mezzi pesanti. Ma a tutti i cittadini, ciclisti, appassionati e paladini di mobilità dolce e integrazione urbana, è subito arrivata in testa la doccia fredda del pur utente quotidiano della bicicletta e sindaco, Boris Johnson: chi si fa ammazzare sul sellino in fondo se l’è meritato, spiace ma doveva seguire le regole del codice. Ma come, pensano anche giustamente i suoi elettori, proprio tu che hai proposto infiniti progetti di piste ciclabili, che sostieni in tutti i modi la diffusione di questa modalità di trasporto, adesso davanti a questa tragedia non sai dire altro che dovevano rispettare il codice?

Beh, non c’è proprio nulla di cui stupirsi, in fondo, se si mette nel conto che Johnson è un tory a tutto campo, anzi pare in primissima fila per sostituire l’appannato David Cameron come giovanilista capo supremo dei conservatori liberisti britannici. La sua è una coerente posizione di destra, un po’ come era per motivi del tutto diversi di destra quella del suo ministro delle aree urbane, Eric Pickles, quando pareva sostenere il sistema degli spazi condivisi eliminando quello che chiamava street clutter, carabattole stradali, dalla segnaletica verticale ai salti di livello ai percorsi riservati. Johnson, un passo indietro rispetto a questa idea liberista estrema di ambiente stradale (il laissez faire circolatorio), dice in sostanza che è giusto e sacrosanto non solo muoversi in bici dentro la città a orientamento automobilistico, rispettando le regole – dal codice alla segnaletica all’urbanistica in senso lato – dettate in sostanza da un secolo di lobbying delle case produttrici. Dice anche, il sindaco, che i trasgressori sono proprio degli stronzi, morti a loro rischio e pericolo. E in fondo, se si prova a leggere la premessa di queste note, forse si inizia a capire, di nuovo, dove è possibile ricollocare il discrimine fra destra e sinistra. O se vogliamo fra un atteggiamento anche anti-ideologico ma progressista, e uno sottilmente conservatore, al netto del folk rappresentato dalla bici, dalle dichiarazioni vagamente ambientaliste, insomma da sovrastrutture riverniciate a uso dei gonzi. Leggiamo in questa prospettiva anche la fortissima resistenza del nostro Lupi alle modifiche del codice della strada che renderebbero possibili forti miglioramenti della circolazione ciclabile senza ricorrere a costosissime opere: ma come, si rallenta il sacro traffico automobilistico senza neppure rilanciare il settore delle costruzioni? Mai! Ecco qui cosa vuol dire, terra terra, la distinzione fra destra (i grandi interessi) e sinistra (i cittadini) all’alba del terzo millennio. Poi possiamo pure filosofeggiare sui particolari.

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