Bologna: rianimare il volto spirituale della città (1956)

Dedichiamo anzitutto la nostra attenzione ai seguenti grandi problemi:

  1. l’ispirazione comunitaria del volto urbanistico della città
  2. la urgente necessità di articolare la città – per quanto è ancora possibile – in quartieri organici
  3. il coordinamento di tutti i problemi inerenti alla così detta educazione popolare

RIANIMARE IL VOLTO URBANISTICO DELLA CITTÀ

Non si tratta ancora di affrontare il complesso dei problemi strutturali relativi al Piano Regolatore (del quale invece ci occuperemo altrove): si tratta qui di fissare soltanto alcune preliminarissime scelte ideali e politiche che debbono stare alla base di ogni possibile intervento in materia urbanistica od edilizia. Gli autori del Piano regolatore di recente pubblicato, non ignoravano questa preliminarità e vi hanno anche fatto un cenno espresso, ma se ne sono sbrigati esattamente in sei righe: «Il vecchio nucleo cittadino è molto ricco di edifici monumentali, di cui alcuni di alto pregio architettonico, e d’altra parte anche la modesta edilizia di molte zone costituisce per la conformazione e tessitura stradale, la presenza dei portici, l’aspetto e il colore degli edifici, una serie di ambienti pittoreschi e caratteristici, nonché di alto valore storico. Anche all’esterno del vecchio nucleo esistono, seppure isolati, edifici di particolare interesse storico ed artistico che richiedono rispetto e valorizzazione» (dalla Relazione sul Piano regolatore generale, p. 15).

Tutto qui. Neppure il più lontano tentativo di ricavare da questi così detti «valori ambientali» delle indicazioni normative per lo sviluppo della Città. E questo non per caso, e neppure per pura negligenza, ma per una necessità radicale, che scende dalla scelta prima che da 11 anni, coscientemente e deliberatamente, l’Amministrazione Dozza ha fatto al riguardo. Un’Amministrazione comunale è investita per quanto riguarda l’espansione urbanistica di una somma di poteri, che non ha per nessun altro problema della vita cittadina: può fare attraverso quella serie di disposizioni che prendono il nome di Piano Regolatore, la sola legge che un Comune può emanare. Ora, di questa somma di potere può valersi in due modi:

  1. intendendo il suo intervento normativo come una legge di polizia emanata dal solo esecutivo e come puro limite o correttivo dell’iniziativa privata, considerata, invece, questa – cioè l’iniziativa privata – come l’unica forza determinante per lo sviluppo della Città
  2. oppure, per contro, intendendo l’intervento e la norma comunale come scaturita da una consultazione di base, da un’approfondita discussione e da una intelligente applicazione dell’esecutivo, come essa stessa (e non la pura iniziativa dei singoli) determinante delle correnti di sviluppo sociale cittadino, potenziatrice delle iniziative economiche, unico vero regolamento che posto in atto con fermezza e convinzione può veramente creare l’avvenire della Città

In questo modo con il Piano regolatore un’Amministrazione comunale può configurare un progetto di città in espansione, che faccia salve le esigenze della comunità urbana quale «sviluppo di istituzioni, teatro di azioni sociali e simbolo estetico di unità collettiva» – per dirla con Lewis Mumford – oltre che «plesso geografico» e organizzazione economica. Tale alternativa è ormai ben netta nella coscienza e nell’azione dei migliori urbanisti dell’Occidente. Essa comporta una critica radicale alla concezione della espansione urbana e della città del periodo storico, ormai prossimo a concludersi, della prima rivoluzione industriale. «Mentre nello sviluppo della città durante il secolo scorso – ripetiamo con Lewis Mumford (La cultura della città) – abbiamo fatto dilatare senza ordine il tracciato materiale, e considerato l’essenziale nucleo sociale, gli organi di governo, dell’educazione, dei servizi sociali quali fatti puramente secondari, oggi dobbiamo trattare il nucleo sociale quale elemento fondamentale in ogni piano urbanistico: l’ubicazione e le interrelazioni di scuole, biblioteche, centri comunitari è il primo compito nel definire il nucleo urbano e nel tracciare lo schema di una città integrata».

Dall’una o dall’altra scelta possono nascere per una città o gli sviluppi casuali propri della maggioranza delle città moderne oppure gli sviluppi organici, che pur rispettando, anzi interpretando l’anima propria di ogni città ne permettono uno sviluppo omogeneo al suo passato e originale. Prodotto tipico della prima concezione è Milano, città deprimente, che nella sua espansione indifferenziata ha perduto lo spirito comunitario, che non deve essere confuso con l’infantile orgoglio di abitare in una metropoli ricca grande e coi grattacieli. Bologna, invece, nonostante l’espansione più recente, mantiene ancora – per quanto da ultimo gravemente compromesso – un costume civico che la rende ancora accogliente, che porta i suoi abitanti a conoscersi e a riconoscersi, con un centro vitale, intendendo per centro non il nodo maggiore del traffico cittadino, ma la piazza come luogo di ritrovo e di relazione umana. Però l’attuale centro costruito per 60.000 abitanti deve oggi servire a una comunità sei volte maggiore: così che già solo per questo se non si provvede a una diversa scelta e a un orientamento responsabile e adeguato, non solo la vecchia città dovrà sopportare mutilazioni che ne altereranno definitivamente la fisionomia, ma – cosa a nostro parere incalcolabilmente più grave – se ne distruggerà lo spirito.

Ecco perché noi dichiariamo nel modo più energico che la scelta adottata sinora dall’Amministrazione Dozza è una scelta sbagliata: una scelta che ha già provocato una grave deformazione prima ancora che nelle strutture materiali della città nella sua realtà più intima e spirituale: una scelta che non era per nulla fatale, che anzi avrebbe potuto benissimo essere evitata e sostituita con la scelta opposta, soprattutto 11 anni fa, quando i problemi urbanistici della città erano ancora impregiudicati ed erano tutti di dimensioni dominabili, non sovrumane ma a statura di uomo. Ecco perché a questo punto, la Democrazia Cristiana assume il suo quinto impegno programmatico: cioè di orientare l’opera dell’Amministrazione in materia urbanistica secondo una scelta opposta, che pone a base di tutto il convincimento della necessità di un intervento attivo e anticipatore degli organi della Comunità perché lo sviluppo della città serva non all’arbitrio individualistico ma allo spirito comunitario.

RIASSETTO URBANISTICO E SOCIALE DELLA PERIFERIA ED ESPANSIONE DELLA CITTÀ PER QUARTIERI ORGANICI

Ogni abitante si riconosce non solo quale cittadino di tutto il gruppo urbano, di tutta la città, ma anche come abitante di una zona della città, che è più vasta del gruppo di case o di appartamenti in cui abitano i suoi vicini. Egli si ritrova di continuo sui filobus o sui tram, in Chiesa, nei viali, nei negozi, nei bar, nel cinema rionale, nelle associazioni religiose parrocchiali, nelle sezioni politiche, con altre persone: nasce una conoscenza che se non è personale e formale è però valida a creare un tipo di convivenza più omogenea. Ognuno tien conto della presenza dell’altro perché ciascuno sa di essere giudicato: l’uso di comuni servizi crea comuni problemi ed una potenziale solidarietà di gruppo al fine di risolverli. Quesi raggruppamenti minori della città, anche quando non sono voluti dai costruttori (come invece nel caso dei villaggi Fanfani-CASA) acquistano una caratteristica che non è solo quella fisica, urbanistica, o dei ceti economico-professionali prevalenti nella zona, ma che nasce dai rapporti tra le persone, sia spontanei (rapporti umani) che in funzione di determinati compiti, interessi e vincoli collettivi (rapporti sociali).

Questi reali gruppi di popolazione, che non sempre coincidono con le circoscrizioni di competenza di una Parrocchia o di organizzazioni amministrative, vanno riconosciuti e delimitati per quello che realmente sono. Sono parti vive della città, attraverso l’integrazione delle quali la città prende la sua figura e il suo volto spirituale. Sono centri di vita dove si svolge molta parte della giornata della popolazione (specie delle casalinghe, dei bambini, dei ragazzi e dei vecchi, di negozianti e di artigiani), dove certi bisogni elementari vengono comunque soddisfatti o possono esserlo con maggior rapidità e comodità dai cittadini quando i servizi corrispondano alle esigenze (sia per il mercato annonari, come per altri acquisti giornalieri delle famiglie, per la scuola, la Chiesa, il riposo in zona verde, come per certi ritrovi).

Il Piano regolatore generale ha già indicato 14 tra quartieri e zone di espansione residenziale fuori porta. Ma altre distinzioni a riguardo esistono: le circoscrizioni delle parrocchie, dei circoli didattici, della scuola elementare, degli Uffici periferici dell’ECA, delle zone di censimento o tributarie. Tuttavia, pur tenendo nel maggior conto queste suddivisioni che hanno una rispondenza – anche se in diversa misura – nella realtà sociale, occorre (e perciò l’inchiesta sociale sarà preziosa) delimitare i perimetri di questi grandi nuclei residenziali sulla scorta non solo delle indicazioni fisico-urbanistiche del Piano regolatore generale, ma anche e soprattutto delle inclinazioni prevalenti degli abitanti delle varie zone edilizie. Per ciascun quartiere così definito, e a partire da quelli più periferici o per i quali possibilità ed esigenze appaiono maggiori, il Comune dovrà:

  1. dare una forma ai nuovi quartieri periferici nati per espansione edilizia spontanea, garantire cioè alla popolazione che vi abita, specie a quella che vi passa la maggior parte della giornata (casalinghe, bambini, persone anziane, negozianti ed artigiani) quelle comodità, quei servizi e quell’ambiente che hanno gli abitanti dei piccoli comuni. Per incuria o debolezza degli amministratori comunali uscenti, la città si è ingrossata ed allungata a macchia d’olio, senza molto riguardo per le esigenze primarie della vita di quartiere (una piazza in cui si muova la vita di relazione elementare: tra la Chiesa, la scuola, il centro assistenziale e civico comunale, un mercato rionale, un giardino pubblico e possibilmente un campo di gioco per i ragazzi).
  2. per le aree da assegnare ad enti di edilizia popolare o sovvenzionata (Istituto Autonomo Case Popolari, INA-Casa, UNRRA-CASAS, ed alla stessa Cooperativa per il Risanamento Edilizio), evitare la formazione di città satelliti e cioè di grandi complessi edilizi costruiti troppo lontano dalla città e in qualche modo segregati da essa e dalle stesse punte terminali di espansione dell’edilizia privata. Il Comune dovrà inoltre impedire, con i mezzi di cui dispone, il formarsi di grandi complessi edilizi destinati ad una stessa classe sociale,ma favorire quanto possibile l’integrarsi di case popolari accanto a case del ceto medio e viceversa.

Non dunque città satelliti, ma quartieri organici, cioè tali per composizione sociale pluriclasse e per servizi e beni di interesse pubblico da favorire in essi la collaborazione dei cittadini alle scelte fondamentali dell’amministrazione civica, e da ridurre gradualmente – col crescere della città – l’affluenza al vecchio centro per incombenze quotidiane minori delle famiglie. Solo così il centro storico di Bologna potrà assolvere anche negli anni avvenire la sua funzione, per tutta la città, di centro dei traffici e delle manifestazioni culturali, religiose e civiche più qualificate salvando l’armonia delle sue parti in cui si esprime nei secoli una compiuta forma d’arte.

RISVEGLIARE L’INTERESSE PER LA CULTURA E PER L’ARTE MEDIANTE ATTIVITÀ PERIFERICHE DI EDUCAZIONE POPOLARE ED INIZIATIVE ARTISTICHE

Perché Bologna conservi e sviluppi nel suo crescere quelle doti umanità e quelle consuetudini di vita associativa che la rendono ovunque ammirata e caratteristica, occorre innanzitutto che il risanamento del centro come l’espandersi delle case alla periferia non facciano degli inquilini di uno stabile o degli abitanti di un quartiere degli estranei gli uni agli altri, ignari delle tradizioni civiche, massa anonima di fronte all’Amministrazione municipale. A questo fine sono rivolte le direttive programmatiche sopra esposte circa l’applicazione del Piano regolatore e circa la costituzione di quartieri organici e di delegazioni comunali per ciascuno di essi. Ma queste riforme saranno sterili se mancherà la rispondenza adeguata dei cittadini. Perciò il Comune non può non essere sollecito, con iniziative proprie e incoraggiandone d’altrui (di privati, di associazioni, di enti) a favorire ed accrescere occasioni di incontri tra i cittadini per interessi culturali, di ricreazione attiva e in genere di educazione popolare, durante il tempo libero che, col progresso sociale, tende ad aumentare.

Il settore di attività detto di educazione popolare e cioè di iniziative fuori della scuola e del lavoro per uno sviluppo della personalità dei singoli, per una loro vita più varia e piena, per una partecipazione più attiva e sensibile al miglioramento civile, è un campo nuovo di lavoro cui il Comune è chiamato. Non si tratta, anche qui, tanto di nuove opere, ma di valorizzazione delle attrezzature e dei beni esistenti, di coordinamento e di più intelligente distribuzione dei fondi ora assegnati a varie associazioni sportive, ricreative, corali e musicali, culturali, o per date manifestazioni cittadine (mostre di pittura, teatri, concerti). I principali tipi di iniziative per la cultura e l’educazione popolare che l’amministrazione civica può, secondo la D.C., promuovere ed incoraggiare anche col concorso delle apposite Consulte di Quartiere, sono:

  1. Centri di lettura con biblioteche popolari ed annesso centro di ritrovo di quartiere, dirette ed animate da un maestro possibilmente della zona e a questo incarico proposto dal Ministero della Pubblica Istruzione. Tali centri, riscaldati nei periodi freddi e aperti il pomeriggio e dopo cena, dovranno consentire in ogni quartiere a molte persone anziane di avere un comodo centro di ritrovo al riparo dalle intemperie e un’occasione per stimolare e sviluppare interessi culturali (mediante la lettura di libri e riviste, la possibilità di avere informazioni, spiegazioni, di sollecitare discussioni ed incontri ecc.)
  2. Attività di animazione e di stimolo culturale mediante il cinema e la televisione. A partire dalla più lontana periferia potranno essere sollecitate e incoraggiate iniziative di quartiere per la proiezione di film di particolare interesse e successivi dibattiti (circoli del cinema) o per visione di certi programmi televisivi che si prestino ad essere meglio interpretati e discussi (teleclub)
  3. Attività teatrali, musicali e feste di quartiere. Oltre che alle compagnie teatrali, corali e bandistiche già brillantemente affermatesi sul piano cittadino e in numerosi casi nazionale, l’aiuto del Comune va rivolto anche alle iniziative analoghe (filodrammatiche, complessi corali e bandistici) delle zone più periferiche della città. In tal modo sarà anche possibile che le feste rionali o di quartiere, specie dei quartieri nuovi, siano ravvivate da iniziative ricreative locali e comunque da concerti bandistici e da corali che ridonino alla solennità delle feste cittadine alcuni caratteri altrimenti prossimi a scomparire
  4. Corsi e conferenze per adulti su argomenti richiesti dal pubblico e con i moderni metodi delle attività per l’educazione degli adulti promosse e finanziate dal Ministero della Pubblica Istruzione. Oltre ad aiutare quegli enti ed associazioni che con serietà e serenità d’intenti già svolgono iniziative del genere, l’Amministrazione comunale dovrà stimolare attività di quartiere, attraverso le consulte, sia per svolgere veri e propri corsi (di educazione degli adulti, di scuola popolare) che conferenze e incontri sugli argomenti più vari, da problemi civici in specie locali (problemi annonari, di servizi ecc.) ad incontri con pittori, con artigiani, a conferenze sull’arredamento, sui sistemi di riscaldamento, come sui problemi di interesse generale e di larga cultura. Tale attività comunque sarà il frutto delle iniziative dei cittadini e della collaborazione di associazioni o gruppi locali
  5. Valorizzazione, anzitutto mediante la più larga conoscenza da parte dei cittadini, delle bellezze monumentali e naturali di Bologna, delle tradizioni storiche incorporate nell’assetto urbanistico, dei depositi culturali (palazzi, musei, pinacoteche, biblioteche, chiese) esistenti. Occorre stimolare in tutti i modi, e con forme nuove, nei bolognesi, specie delle zone popolari periferiche, il gusto per la scoperta della loro città, da turisti in casa propria, con l’aiuto di studiosi e di appassionati cultori di tradizioni bolognesi. In tal modo, l’erudizione e l’amore, spesso geloso, accumulato da pochi amatori, potranno essere trasmessi e ravvivati nell’incontro con i più larghi ceti popolari o comunque non intellettuali. Questa della conoscenza e della scoperta delle bellezze monumentali e tradizioni storiche di tutta la città è forse la più efficace forma di autoeducazione popolare: cetto la più ricca di positivi riflessi sulla coscienza civica […]

da: Democrazia Cristiana, Libro Bianco su Bologna, tip.Resto del Carlino, 1956 (programma per le elezioni comunali del candidato cattolico a sindaco Guseppe Dossetti, Parte II, Sezione 2, pp. 28-35)
Immagini a colori nel testo selezionate da: Mary Lusk Pierce, The Community Where I Live, 1952

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