Chi abita denso campa cent’anni anche se non sa perché

Foto E. B. Fisher

Cosa ci si aspetta più o meno dalla vita? Ovviamente le prospettive cambiano a seconda dei soggetti, dei gruppi, dei contesti e culture, ma di sicuro a unire in un unico grande unanime coro ingegneri elettronici e polli da allevamento (nessun sottotraccia sarcastico qui) c’è il fatto di auspicare per sé un’esistenza «lunga e soddisfacente». O detto ancora meglio, sperare nel migliore equilibrio tra durata nel tempo, di quella vita, e qualità delle cose che la caratterizzano, dai traguardi di lavoro al sapore del becchime. Oltre alla percezione del tutto soggettiva esiste però anche da tempo la valutazione scientifica, piuttosto propensa ad abbassare parecchio il valore relativo appagante del «giorno vissuto da leoni», a tutto favore della pura aritmetica sequenza quantitativa di anni su cui si sviluppa l’esistenza. Perché si ritiene, fondatamente, che oltre una distorta percezione soggettiva sia proprio la longevità a definire quell’equilibrio ideale, a costituirne il sintomo più evidente: vivi più a lungo quanto più trovi il contesto ideale per sviluppare al meglio i tuoi orientamenti, potenzialità, rispondere ai bisogni elementari e meno elementari. E per converso risulta di fondamentale importanza, per migliorare la nostra esistenza, anche capire quali sono i caratteri essenziali di quel contesto.

Anche i ricchi piangono

Non tutto si può comprare, dice il senso comune, affermazione forse un po’ banale ma certo corroborata da una constatazione: in generale non pare esserci alcuna correlazione diretta tra disponibilità di risorse, o meglio di risorse «che si comperano», e durata della vita. Parrebbe anzi che pur entro determinati limiti proprio l’enfasi posta su reddito, disponibilità, consumi, ricchezza materiale, risulti poi inversamente proporzionale alla longevità. E quale migliore contesto di enfatizzazione dei consumi privati, del possesso e uso individuale/familiare, del classico suburbio disperso automobilistico, dove anche tante cose che altrove magari con una qualità inferiore sono disponibili part time in forma condivisa per tutti, vengono invece raffinate e moltiplicate secondo un criterio consumista, tanti quanti sono i nuclei familiari e più? Per non parlare di tutti gli altri consumi personali, che qui assurgono in assoluto a status, cibo, viaggi, cultura di massa, comunicazioni immateriali … Eppure è proprio in quel contesto che si abbassa quel «tenore di vita oggettivo» risultante poi nella longevità: dentro lo sprawl suburbano si vive statisticamente meno a lungo che dentro la città densa, abbandonata per cercare «qualità» inesistenti, e questo nonostante il forte incremento dei «consumi sanitari», tra le altre cose. Perché?

Il dettaglio e il quadro generale

Tra la miriade di indizi che ci sia qualcosa che non va, in quel famoso e ricercato equilibrio città-campagna che chiamiamo suburbio, esiste quel fattore sanitario assolutamente spicciolo ma per nulla irrilevante, almeno se vogliamo davvero capirci qualcosa: l’insediamento auto-orientato garantisce quantomeno minore incidenza degli ingorghi da traffico, ma in caso di emergenza se qualcuno sta male mediamente l’ambulanza impiega di più ad arrivare. I motivi possono essere tantissimi, e sta poi alla ricerca capire quali, in che combinazione, e magari trovare per ciascuno una particolare risposta-soluzione. E la stessa cosa vale per altre rilevate patologie, individuali, collettive, umane e insediative: dalla propensione a mangiare di più e peggio a quanto pare caratteristicamente suburbana, al condurre una vita mediamente e marcatamente più sedentaria (nonostante le quote maggiori di spazi aperti vari, a partire dal verde privato, possano suggerire l’opposto), rilevabili anche nella maggiore incidenza di alcune malattie, che poi fanno sì si debba a volte chiamare quell’ambulanza che arriva in ritardo … Il fatto è, che le fondamenta stesse dell’ideologia suburbana hanno evidentemente qualcosa di sbagliato: quell’equilibrio città campagna fatto di cose prese un po’ qui, un po’ là, pare troppo virato al soggettivo, esattamente come aspettative di vita e comportamenti individuali. Ben riassunti dalla persona che esce ogni mattina in auto indignandosi per il traffico, traffico che in prima persona si impegna a intasare ogni giorno col proprio veicolo … Bisogna ragionare, e farlo senza fette di salame sul cervello, la Scienza (quella seria) prova ad aiutarci.

Riferimenti:
Shima Hamidi et. al., Associations between Urban Sprawl and Life Expectancy in the United States, International Journal of Environmental Research and Public Health, aprile 2018

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