Cielo di piombo, Geometra Rossi!

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Foto F. Bottini

Tempo invernale prevedibile, ma particolarmente persistente e che opprime i più, quest’anno. Quasi quasi non si vede l’ora che il sole, peraltro invisibile dietro la cappa di nubi rasoterra, finalmente tramonti per lasciar spazio al minimo di varietà in più offerto da lampioni, insegne, finestre degli uffici open space che ti lasciano intravedere dalla strada il viavai degli ultimi stacanovisti a tirar l’ora di cena. La cosa curiosa però è un’altra, ovvero che anche durante le ore di luce naturale c’è un modo di trovare sollievo psicologico: allontanarsi dallo spazio urbano. A questo punto, potrebbero naturalmente dilagare i classici teorizzatori del bel tempo andato, della vita contadina immersa nei ritmi naturali, di quanta gioia ci sia nel partorire con dolore e spaccarsi la schiena dietro un aratro, se si è tanto fortunati da avere una bestia che lo tira. Oppure spaccarsela direttamente davanti, se il lavoro della bestia tocca al fortunato di turno a contatto con la splendida natura. Ecco, prima che dilaghino questi cantori del bel tempo che fu, quando i cieli grigi sapevano stare al loro posto, mi permetterei un paio di osservazioni preliminari empiriche.

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Foto F. Bottini

C’è qualcosa d’altro, a ben vedere, che in queste giornate grigie diventate scure a un certo punto rallegra l’animo: oltre alle insegne che si accendono, ai lampioni che tracciano quei coni a volte simili al bull’s eye da rivista teatrale, c’è il viavai della gente che inizia a scendere per strada. Il posto è sempre quello che mezz’ora prima ti faceva cascare i cosiddetti là in fondo, ma ora pare più vivibile con le ombre cangianti dei passanti nel vialetto, verso l’insegna del supermercato o la fermata dell’autobus. Ti pare anche meno invasivo fermarti sulla panchina dei giardinetti a controllare le email, mentre un paio di cani si annusano lì davanti e i padroni dissertano a distanza sull’aggressività di cui hanno sentito parlare alla televisione. Quello che sta succedendo, in realtà, è che l’orrendo strascico di un paio di generazioni o tre di zoning esclusivo trova temporaneo antidoto in quell’ora di punta pomeridiana, che fortunatamente altre alchimie metropolitane tendono a prolungare un pochino. Zoning esclusivo, per chi si fosse messo in contatto in questo momento, altro non è che quanto il vostro geometra di fiducia, pur magari nominato professore e studioso, vorrebbe rifilarvi come buon senso: qui mettiamo le case, lì le fabbriche, lì gli uffici eccetera eccetera. Una sciocchezza madornale, come dimostra appunto la nostra depressione da cieli incombenti.

Chi fa il suo mestiere, e chi no

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Foto F. Bottini

La sciocchezza madornale di questo modo di comporre lo spazio la possiamo subire giusto negli altri momenti in cui le funzioni sono davvero separate: ci sono le case vuote, di fianco a decine centinaia migliaia di altre case altrettanto vuote, perché tutti stanno altrove, in luoghi di lavoro o studio sigillati, lasciando vuote le strade le piazze i giardini. Finché appunto, complice la necessità di spostarsi da uno all’altro di questi contenitori esclusivi, le cose almeno per un po’ si riequilibrano. Il nostro senso di disagio sotto il cielo plumbeo un pochino si attenuava andando in campagna, perché lì c’era tutto il resto a contestualizzare, a dar senso, le cose insomma si tenevano l’una con l’altra, i campi con le stoppie o appena arati, le attività ridotte al minimo salvo la manutenzione eventuale a pezzi di cascina o ai filari di alberi lungo i fossi. Quei cieli bassi erano in tinta col paesaggio, piace un po’ di più o un po’ di meno, ma ha senso. Quello che non ha senso è invece essere ridotti a un ingranaggio di una macchina, di una enorme macchina di cui non cogliamo il senso, e infatti ne ha pochissimo. Non a caso sin dal primo minuto in cui sono iniziate le grandi sperimentazioni sociali di massa nello zoning esclusivo, sono iniziate le sue critiche feroci, vuoi dai nostalgici della città “vera” ovvero del centro storico, vuoi da chi provava variamente a considerare i temi della modernità, dalle riflessioni sistematiche sul quartiere urbano della Jacobs, ai gelidi racconti suburbani di Revolutionary Road. Provate a ripensarci, aggirandovi in uno di questi artificiosi vuoti pneumatici, sotto il cielo di piombo che vi obbliga a subire il vostro personale Geometra Custode, appassionato di zoning esclusivo.

Se vi piacciono le foto che illustrano questi articoli, ne trovate molte altre negli album Città, Suburbio, Piste, Verde, della Community Facebook la Città Conquistatrice

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Foto F. Bottini

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