Circonvallazione di incapace

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Foto F. Bottini

Spesso pronunciamo la parola boulevard più o meno con la medesima consapevolezza e profondità con cui il principe De Curtis sparava a zero il suo famoso noio vulevàn savuar l’inderizz. Perché quella parola ha un senso preciso, e se proprio vogliamo sempre affondare le radici da qualche parte forse è meglio farlo nel sapere critico, anziché arraffare pezzi e bocconi di pratiche tradizionali, scimmiottando appunto Totò invece di far qualcosa di intelligente. Cosa voglia dire, boulevard, superficialmente lo sanno un po’ tutti, in italiano lo si traduce con viale. Ma emerge subito, riflettendoci un solo istante, la distorsione subita dal nome: toponomasticamente il termine si riferisce sia in senso proprio a una via alberata ampia e ariosa, sia a tutta una serie di varianti sul tema e fuori tema, fino al solo misurare la sezione della carreggiata. Ovvero si dice viale o boulevard un’arteria semplicemente più larga, a distinguerla da una via o street. Del resto l’ambiguità sta già nella radice storica, non a tutti nota: baluardo.

Con la dismissione dell’ultimo tipo di fortificazioni urbane di epoca tradizionale, ovvero i bastioni a terrapieni, soprattutto nel XIX secolo nascono contemporaneamente l’idea di boulevard (baluardo, bulwark, bollwerk eccetera) moderno e quella piuttosto conseguente di circonvallazione. Il nuovo grande passeggio alberato, su cui di solito si affacciano edifici pubblici, su cui spesso si attesta la nuova stazione ferroviaria, da cui parte lo sventramento verso il centro storico, ricalca due cose in un colpo solo. La prima è quel nome, con tutte le implicazioni che si porta appresso e che proveremo a sviluppare, e la seconda è ovviamente il tracciato. Il boulevard, che nella versione fortificata rappresenta il limite netto fra la città e la campagna, nella versione moderna del bastione dismesso e diventato viale diventa la soluzione di continuità, fra città e suburbio. Si può addirittura fare un chiarissimo esempio di istituzionalizzazione di questo concetto.

La prima legge urbanistica italiana, approvata subito dopo l’unità nazionale dentro a quella sull’esproprio per pubblica utilità (2359/1865) distingue i piani regolatori in due tipologie, complementari ma separate. Esiste il Piano Regolatore Edilizio che di norma serve per l’allargamento dei vicoli a scopo sanitario o di efficienza urbana. Esiste il Piano Regolatore di Ampliamento che riguarda i nuovi quartieri di espansione. Ecco: basta dare un’occhiata anche solo alle mappe dei piani approvati per le città più importanti, per notare come i nuovi viali di circonvallazione lungo le antiche mura, direttamente o indirettamente rappresentino il raccordo fra questi due piani. Inizia l’epoca dell’espansione urbana più o meno continua o orientata o condizionata da vari fattori, ma sempre tendenzialmente illimitata a ingoiare ex campagne, e con nuovi boulevard di circonvallazione, completa o parziale, a fare da raccordo.

In un caso particolare ma emblematico, a metà ‘900 circa, un grande piano per una regione metropolitana europea simbolo, quella di Londra, prova a ribaltare di nuovo i termini, recuperando quasi filologicamente l’antico significato e senso del baluardo. Nel famoso Greater London Plan coordinato da Patrick Abercrombie, e presupposto per le successive e ancor più note politiche delle New Town, viene sviluppata su grande scala la greenbelt agricola teorizzata dal movimento delle città giardino. Ma si fa anche qualcosa di più: in piena epoca di automobilismo, si contrassegna quel margine fra la metropoli densa e la campagna circostante con un boulevard/baluardo di nuova concezione: l’autostrada M24. Dove cortocircuitando le due tradizioni del muro di cinta e della grande arteria di circonvallazione, se ne sintetizzano le funzioni principali saltando quella di raccordo dello sviluppo, di trait-d’union territoriale nel segno dell’urbanizzazione infinita.

All’interno dell’anello la città, all’esterno la campagna. L’energia per trattenere la spinta a confondersi, non è più data dalle mura fisiche, dal nemico esterno da cui ci difendono, ma dalla consapevolezza collettiva, diventata legge e piano territoriale, che occorre mettere dei limiti alla conquista umana degli ambienti rurali. Più città, più campagna, ciascuna con un proprio ruolo complementare. Quell’intuizione però, così come accaduto nei millenni con le mura della città, diciamo da Gerico in poi, o dall’ammonizione di Isaia sulla greenbelt agricola fuori dalle mura in poi, non è tanto facile da tradurre in realtà accettata. Ce lo spiega ancora ai nostri giorni la psicogeografia, quando si esercita su questo tema vagando proprio fra le contraddizioni ambientali e sociali dei grandi anelli di circonvallazione, dal London Orbital di Abercrombie ripercorso da Iain Sinclair su ispirazione di James Ballard, alle Tangenziali di Milano scanzonatamente scarpinate a piedi da Gianni Biondillo e Michele Monina, all’ultimo Sacro GRA di Roma raccontato nel suo documentario pluripremiato da Gianfranco Rosi.

Cosa ci dicono, generalmente parlando, queste testimonianze sociali e letterarie? Che da ogni punto di vista la doppia faccia del termine boulevard continua a vivere, ma che al tempo stesso val sempre la pena di tenere gli occhi aperti sulle strumentali confusioni, sia meccanico-moderniste che nostalgico-passatiste. Il margine rigido fra natura e artificio, o la semplice nuova frontiera dell’artificio alla conquista della natura, sono due aspetti destinati a convivere, non a essere negati o a vedere l’uno prevalere sull’altro. E scendendo parecchio di scala, pare proprio di poter usare questi termini, a giudizio di tutte le possibili politiche urbanistiche e territoriali dei nostri giorni, quando esattamente si prova in tutti i modi a confondere le acque. Ad esempio proclamando solennemente impegni a contenere il consumo di suolo agricolo, e poi a sfondare il confine logico di significato delle due facce del boulevard. Quante volte, nei centri minori tanto per fare un esempio tangibile e diffuso, vediamo comparire i picchetti del nuovo edificato su entrambi i lati della nuovissima circonvallazione? Il profeta Isaia si rivolterebbe nella tomba, ricordandoci il suo “guai a chi costruisce ovunque”. Da non confondere, ovviamente, con un guai a chi costruisce e basta. Da costruire c’è tantissimo, basta sapere come e dove.

[questo articolo era stato pubblicato, identico, su Millennio Urbano, e poi inopinatamente cancellato dall’attuale direzione]

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