Covid-19 e Governance

Foto F. Bottini

La risposta alla pandemia dello sconosciuto coronavirus – Covid-19 ci ha già insegnato molto sulla gestione dei nostri comportamenti. Quando una società si trova di fronte a una grave crisi con la necessità di una azione decisa e coordinata, guarda al potere pubblico, alle conoscenze scientifiche, mette in campo società civile e forze dell’ordine, si appoggia ai militari per alcune funzioni di emergenza. Gioca un ruolo importante anche il settore privato, come l’assicurare le forniture alimentari nonostante gli effetti del panico (come gli accaparramenti), o quelle di presidi medici e sanitari. In altri casi il privato guarda allo stato solo per sostegno e vantaggi. I liberisti credono che ci sia il rischio di approfittare dell’occasione per allargare troppo il controllo pubblico sula nostra vita, e molto pochi considerano davvero la possibilità che il Covid-19 metta in crisi il nostro benessere. Anche noi in quanto studiosi riconosciamo la necessità di cooperazione tra paesi per una azione internazionale, e tra le persone per un mutuo sostegno sociale.

Governi

Una volta tornata la «normalità» ci saranno inevitabili appelli al ritrarsi dello stato, oltre che al far riferimento agli esperti, tornando all’isolazionismo nazionale, ripetendo ancora una volta che «la società non esiste», e naturalmente che il metodo migliore è sempre affidarsi al libero mercato. Dobbiamo però sempre ricordarci che così come i pubblici poteri sono stati essenziali per affrontare Covid-1, allo stesso modo saranno fondamentali per il cambiamento climatico e la crisi della biodiversità. Reagendo all’epidemia si è sostituito a un normale ruolo governativo una azione più decisa di coordinamento finalizzata al bene comune, arginando il contagio attraverso l’isolamento, e garantendo servizi medici e alimentari.

Essenziale anche la cooperazione e coordinamento internazionale, a ridurre la diffusione della pandemia, a condividere le informazioni scientifiche e i dati epidemiologici. Una trasformazione del ruolo governativo certamente non priva di lentezze e difficoltà, visibili sia nel caso del Regno Uniti che degli Stati Uniti, che nei prossimi mesi sicuramente verranno pagate in termini di decessi. Riconoscere queste debolezze della risposta alla pandemia significa anche accrescere la fiducia del pubblico nell’azione governativa e nel contributo degli esperti alla soluzione della crisi.

Circolazione

Appare chiaro come uno dei motivi che fa di Covid-19 una malattia respiratoria tanto grave e mortale, sia l’essere provocata da un virus zoonotico, con caratteristiche genetiche sconosciute al nostro sistema immunitario, che aggirano la capacità di produrre anticorpi in grado di combattere l’infezione. Pare sempre più probabile che il vettore di trasmissione tra specie sia stato il mercato illegale di animali rari come pangolini o pipistrelli di Cina e Sud-est asiatico.

Quanto fosse rischiosa questa eventualità del virus zoonotico ce lo dicono i casi precedenti come influenza aviaria del virus H5N1 del 1996. Già si parlava di «bombe a tempo» riferendosi al commercio di animali selvatici nei wet market cinesi meridionali dieci anni fa, collegato a sua volta allo sconvolgimento degli ecosistemi e della biodiversità. Il governo della Cina ha proibito tutti questi mercati e i traffici di animali selvatici all’inizio del contagio, ma data la loro importanza culturale ed economica in molte zone rurali, si è già deciso che in futuro passata l’emergenza le regole saranno meno rigide, come del resto già successo nel 2002-2003 con la SARS. Si teme anche che proseguire nel rigido divieto possa far nascere un mercato nero di cui già ci sono segnali.

Economia

Col senno di poi, sarebbe stato meglio ascoltare prima gli avvertimenti degli esperti e avere un atteggiamento più strategico, riducendo via via questi mercati degli animali con interventi governativi sia di ordine culturale che repressivo. A questo punto ci si dovrebbe impegnare sul lungo termine a proibire il commercio così come è oggi, sia in Cina che negli altri paesi in cui si articola la filiera e l’impatto sulle specie rare. Se guardiamo al futuro, tra le conseguenze della pandemia spicca una profonda e grave recessione economica. Pare probabile un ritorno a interventi pubblici di tipo keynesiano sui mercati, sviluppo di sistemi di welfare e nuovo spirito di cooperazione internazionale, come accadde dopo il 1929 o la Seconda Guerra Mondiale.

In tempi più recenti una minore regolamentazione dei mercati è stata secondo molti tra le cause scatenanti il crollo economico del 2008, ma pare che la pandemia internazionale finalmente faccia riconoscere l’importanza del ruolo degli stati e della cooperazione inter-statale per una economia più stabile e un diffuso benessere. Ci sono stati anche ottimistici appelli a cogliere l’occasione per ripensare il nostro rapporto con la natura mettendo cambiamento climatico e biodiversità in cima all’elenco dei programmi, per usare le parole delle Nazioni Unite «accettare la sfida dell’emergenza e trasformare l’economia globale».

Emissioni

Esistono anche valutazioni di scenario meno ottimistiche per il post-pandemia. In primo luogo perché l’azione collettiva di cittadini e stati per l’isolamento, sviluppata attraverso cooperazione e costrizione, non può essere ripetuta nel caso del cambiamento climatico, in assenza di qualsiasi ente in grado di controllarla. Se internazionalmente è stato accettato l’elevatissimo rischio di breve termine del Covid-19, ciò non significa la stessa cosa per quello di lungo termine del cambiamento climatico, specie a fronte della priorità della ripresa economica.

I collegamenti tra contrazione delle attività economiche ed emissioni in caso di recessione (questa e le precedenti) mostrano se non altro come non si sia riusciti a far divergere sviluppo e cambiamento climatico. Un veloce «rimbalzo» dalla crisi Covid-19 potrebbe incrementare le emissioni, nonostante gli sforzi per promuovere quella divergenza. Si potrebbe osservare che si tratta di ragionamenti molto USA-centrici di analisi neoliberale, ma è evidente che non esista alcun consenso sul fatto che questo momento possa rappresentare una occasione di rilancio delle tematiche ambientali alla luce di ciò che ci insegna la pandemia. Se la chiusura di tante attività economiche ha benefici ambientali dal punto di vista del taglio di emissioni e perdita di biodiversità, non se ne ritengono comunque legittimi i costi socioeconomici. Saranno cruciali le scelte sul come impostare adeguatamente la ripresa dopo la crisi.

Comunità

Appare chiaro come alcune fasce di lavoratori, da quelli del settore sanitario a quelli della filiera alimentare, siano stati troppo a lungo sottovalutati e penalizzati. Occorre riconoscerne l’importanza sociale anche in termini di reddito e organizzazione del lavoro. Torna in auge nelle società occidentali il concetto di comunità, insieme a quelli di cooperazione, cura, solidarietà e relativi comportamenti. Le politiche pubbliche di sostegno alle piccole attività locali possono fornire stimoli economici mirati a chi ne ha più bisogno, per la crescita, dei grandi soggetti. E oltre alla scala nazionale e internazionale, anche quella locale e le relative decisioni e azioni contribuiscono ad arginare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità. È lo stesso IPCC ad affermare che sono indispensabili le collaborazioni tra le più ambiziose politiche nazionali e quelle locali, per raggiungere l’obiettivo dello «1,5˚».

La Convenzione per la Biodiversità sottolinea il bisogno di tutelare aree non solo da parte dei governi, ma con l’azione di una ampia serie di soggetti e interessi, tra cui spicca la partecipazione delle popolazioni locali, che ne condividono i vantaggi. Ancora IPCC osserva il contenimento del riscaldamento entro 1,5 gradi possa avere effetti positivi importanti proprio sui paesi più poveri. La rete di sostegno economico attivata da tanti governi del mondo in occasione di Covid-19 potrebbe anche restare e consolidarsi, se le comunità locali diventano una priorità della ripresa economica dopo la pandemia. Una prospettiva che potrebbe tradursi in meno scelte economiche ecologicamente distruttive, e rassicurare chi è stato forse più colpito da Covid-19, e lo sarebbe anche dal cambiamento climatico.

Cosa impariamo

Che si adotti un punto di vista ottimistico o pessimistico, possiamo comunque imparare qualcosa di utile da queste considerazioni. Per quando si tornerà alla «normalità», di cui già ascoltiamo appelli da parte neoliberale, dovremo ricordarci chi e come si è fatto carico della crisi. Si è confermato quanto i governi possano avere un ruolo centrale nella salute e sicurezza. Incentivi pubblici, politiche pubbliche, fiscali, regolative, di ordine pubblico, sono cruciali nel governo della società verso obiettivi condivisi, di breve e lungo periodo. Ma si opera al meglio agendo sia a scala nazionale che locale, collaborando con le comunità in un mutuo sostegno. Il primo ministro britannico Boris Johnson pare averlo accettato visto che afferma dall’isolamento: «La società certamente esiste». Cosa decisamente notevole per un ammiratore dell’antenata Conservatrice Margaret Thatcher, che aveva come slogan l’esatto contrario a pilastro della propria ideologia neoliberale di mercato.

E si sentono oggi anche voci che affermano: per affrontare il cambiamento climatico è meglio affidarsi ai privati, non fidiamoci degli scienziati, non c’è bisogno di uno stato infermiera e i comportamenti non possiamo cambiarli da un momento all’altro. Nel film Marvel Iron Man 3, Tony Stark trionfante afferma: «Vi ho fatto un favore: riuscire a privatizzare la pace nel mondo». Tra le lezioni di questa pandemia ricordiamo che quando siamo di fronte a una vera crisi, è allo Stato che si guarda, per una azione collettiva, e alla società civile per la cooperazione e il mutuo sostegno. Non facciamo come l’Uomo dell’Organizzazione Iron Man. Abbiamo di fronte le sfide di lungo periodo del cambiamento climatico, della perdita di biodiversità, e probabilmente di nuove pandemie, e dovremmo capire come la più preziosa eredità di Covid-19 sia la consapevolezza del fallimento dei mercati neoliberali nel tutelarci. Al contrario, l’intervento pubblico orientato dalla scienza, insieme alla consapevolezza sociale e alla comunità, quello potrà salvarci.

Da: The Ecologist, 8 aprile 2020 – Titolo originale: What Covid-19 can teach us about governance – Traduzione di Fabrizio Bottini

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