Dal nodo stradale, al suburbio, alla città

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Foto F. Bottini

Immaginatevi Silvio Berlusconi che si presentasse al pubblico televisivo di prima serata, nel suo nuovo look anziano rugoso pensoso, e con adeguato caminetto alle spalle esordisse con un clamoroso “ammetto di aver fatto una cazzata”. Immaginatevi anche, però, che quella frase oltre lo studiato effetto retorico si riferisse, come si capisce subito dalle immagini che scorrono sullo sfondo, non ai vent’anni e passa di avventura politica del nostro, ma al suo ancor più lontano esordio imprenditoriale, quella Milano Due da sempre decantata o detestata a seconda dei punti di vista, di solito ideologici. Se assumiamo un punto di vista non ideologico, lo stesso quartiere simbolo del sogno suburbano immerso nel verde all’italiana, vedrebbe in buona sostanza il Cavaliere riconoscere che è tramontata definitivamente, anche per i paladini dell’immobiliarismo, l’era dell’espansione quantitativa indefinita, del consumo di suolo, dell’automobilismo come misura del progresso. Ecco, non sappiamo se questo accadrà mai dalle parti della Brianza, di Segrate, degli studi televisivi e annessi consigli di amministrazione, ma di sicuro sta accadendo per altri versi qualche migliaio di chilometri più a occidente.

La Fairfax County, Virginia, è una delle principali amministrazioni locali nell’area metropolitana di Washington D.C. Con oltre un milione di abitanti, è la più più popolosa delle circoscrizioni che fanno riferimento alla capitale federale, e il suo sviluppo socioeconomico e territoriale è ovviamente legato a strettissimo filo con la grande città. In particolare nella seconda metà del ‘900, nel quadro di vari piani e progetti di sviluppo a scala regionale, nel territorio della Fairfax County sono cresciuti due veri e propri simboli dello sprawl suburbano. Quello forse più noto al pubblico internazionale è il nodo autostradale di Tysons Corner, assurto una ventina d’anni fa a paradigma della cosiddetta Edge City, mito ideologico di sedicenti nuove frontiere di sviluppo urbano. In pratica, una anticittà al 100%, a totale orientamento automobilistico e funzioni ultra-segregate, dove come raccontava una sorpresa ed esterrefatta Dolores Hayden nel suo Building Suburbia (2003) anche spostarsi da un grande magazzino a un ristorante richiedeva laboriosi trasferimenti tra svincoli, sottopassi, sterminati piazzali di sosta e corsie. Poi, oltre a questa paradigmatica Edge City, c’è il suburbio residenziale modello di Reston.

L’idea di Reston matura in piena epoca montante di suburbanesimo, quando anche studiosi attenti come Lewis Mumford in fondo ritengono che il mito della città giardino, mescolato vuoi alle joint-ventures pubblico private caratteristiche dello sviluppo militar-industriale americano, vuoi all’ideologia automobilistica anni ’60, possa rappresentare il modello vincente. Ed è anche con la supervisione dello stesso Mumford che nasce il piano regionale per il corridoio aeroportuale della capitale, entro cui la Simon Enterprises si propone nel 1962 di rispondere alle “moderne esigenze [che] richiedono nuove idee da parte di chi vuol realizzare nuove città. Uno degli obiettivi principali di Reston è quello di costruire una comunità equilibrata, dotata di servizi e di una organizzazione sociale in grado di rispondere alle necessità dell’uomo nella nostra epoca. Reston, che copre circa 25 chilometri quadrati nell’area della Fairfax County, in Virginia, è pensata per ospitare, e per quanto possibile dar lavoro e reddito, a una popolazione di 75.000 abitanti entro il 1980”.

Pur in una logica già abbastanza orientata alle modalità che poi avrebbero prevalso nell’insediamento suburbano all’americana dei baccelli cul-de-sac autosufficienti, delle basse densità, della scarsa o nulla composizione funzionale, Reston si inserisce però ancora coerentemente nella tradizione locale della città giardino, da Forest Hills Gardens dello studio Olmsted, attraverso Runcorn di Stein-Wright, sino agli ultimi quartieri effettivamente pianificati del dopoguerra. Ovvero una composizione che alterna spazi verdi di alta qualità (molto spettacolari gli specchi d’acqua), raggruppamenti edilizi che citano a modo loro una neighborhood unit, e veri e propri punti di riferimento collettivi, architettonicamente definiti, antenati dell’attuale moda del suburban town center. Ed è proprio questa caratteristica ad aver rappresentato e rappresentare ancora un punto di forza.

Negli anni recenti l’altro insediamento simbolo (oggi decisamente in negativo) della Fairfax County, il nodo autostradale di Tysons Corner, è stato oggetto di un piano molto ambizioso, che interpretando le tendenze alla densificazione e re-infrastrutturazione già bene presenti nell’area di Washington, di cui la stessa capitale è un modello, si voleva trasformare nel segno del cosiddetto Transit Oriented Development. Da nuova frontiera dell’automobilismo a polo avanzato della pedonalità, del trasporto pubblico, e naturalmente della composizione funzionale e delle tipologie multipiano. Un totale ribaltamento che, forse un po’ troppo sbilanciato secondo criteri pubblico-privati da epoca di crescita economica, si è quasi bloccato di fronte all’esplosione della bolla edilizia e successiva crisi finanziaria. A dimostrare, tra l’altro, che buona parte delle radicali ipotesi di rilancio del suburbio attraverso interventi che si muovono in una logica sostanzialmente privatistica e immobiliarista sono assai fragili.

Maggiore successo sembra avere invece il piano parallelo (nel tempo) di rafforzare l’antico corridoio del Dulles Airport, compreso ai tempi nel piano regionale coordinato da Lewis Mumford, con infrastrutture di trasporto su rotaia che vadano anche a servire gli insediamenti urbani esistenti, in una logica “europea”. Qui si trova tra l’altro la piccola downtown di Reston, autentica eccezione di densità e relativa composizione funzionale nella fascia suburbana della Virgina settentrionale. Tutte le cose che nella Edge City di Tysons Corner sarebbero da realizzare ex novo, qui almeno accennate e su piccola scala già ci sono da sempre: piazze, marciapiedi con bar e caffè, arterie commerciali dove si passeggia e si può andare qui e là. Per usare le parole del responsabile ufficio urbanistica di contea, intervistato dal Washington Post, “Reston possiede elementi urbani che mancano a Tysons, in fondo solo una concentrazione di complessi per uffici, concessionarie per auto, centri commerciali. Reston ha anche zone di una certa densità”. Caratteri già ben compresi anche dalle imprese, disposte a spendere fino al 50% più al metro quadro per insediarsi lì.

E si capisce quindi come mai ci siano prospettive assai più rosee per l’esperimento del nodo di trasporti pubblici circondato da quartieri a funzioni composite oggetto del Comprehensive Plan for the Reston-Herndon Suburban Center approvato dagli uffici di contea nel quadro della riorganizzazione trasportistica regionale. Mappe e disegni del nuovo grande complesso che via via dovrebbe realizzarsi a ridosso delle antiche neighborhood unit suburbane restituiscono un quadro assai simile a quello di altri progetti simili, con forti concentrazioni edilizie e prevalenza di attività economiche (più spazi pubblici) nel polo interno prossimo alle stazioni e interscambi, una rete di mobilità dolce, e a scalare densità decrescenti man mano ci si allontana. Niente di più e niente di meno di quanto visto in una ventina d’anni di new urbanism, con la differenza che qui (come del resto nella Silicon Valley) siamo di fronte all’azione congiunta di amministrazioni pubbliche e operatori privati, nel quadro di piani e programmi di area vasta già finanziati per quanto riguarda l’elemento portante, ovvero la rete di mobilità su ferro. In definitiva, si potrebbe concludere, un altro chiodo nella bara del novecentesco mito di suburbia, non solo rivelatosi ambientalmente insostenibile, ma anche portatore di squilibri sociali e in fondo economici. Resta da vedere, naturalmente, quali imprevisti problemi emergeranno dai poli neo-urbani, ma questa è un’altra storia.

Riferimenti:

Il piano (urbanistico e socioeconomico) del 1962, è disponibile anche in italiano, completo di mappe, tradotto da Fabrizio Bottini nella sezione Antologia di questo sito

l’articolo citato per l’intervista al responsabile urbanistico di contea, e che riassume alcuni aspetti del dibattito locale attuale, è Jonathan O’Connell, An urban vision for Reston. Will it work?, The Washington Post, 14 febbraio 

scaricabile direttamente da qui, via Google Drive, un documento di sintesi del piano per il TOD di Reston e il corridoio aeroportuale Dulles

tutta la documentazione del Piano (ovviamente piuttosto corposa e complessa) è disponibile nelle pagine dedicate sul sito del settore Pianificazione Territoriale della Fairfax County, Virginia 

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