Gli incidenti stradali non sono un destino inevitabile

I cosiddetti securitari lievemente paranoici vedono rischi ovunque nella città, malfattori aggressivi annidati in ogni angolo, o addirittura interi ambienti e quartieri quando si tratta della cosiddetta insicurezza percepita, ovvero del semplice disagio soggettivo per i messaggi che comunica un luogo o un atteggiamento. Molta meno attenzione pare riservata a un oggettivo fattore di insicurezza e rischio com’è la strada, intesa in quanto contenitore di flussi in movimento, in grado di scontrarsi anche assai violentemente l’uno con l’altro, per caso o per forza. Un tempo sottovalutata e considerata colpevolmente come un prezzo dovuto al progresso tecnologico e dei trasporti, in cambio di una maggiore libertà di movimento, oggi la sicurezza stradale delle città diventa oggetto di tantissime politiche integrate, ad esempio in quelle che si chiamano Visione Zero ovvero interventi vari mirati a ridurre a zero incidenti e vittime. Che naturalmente possono e devono articolarsi almeno su tre fronti: i comportamenti, i flussi dentro cui si sviluppano quei comportamenti, e gli spazi dentro cui si incanalano i flussi. Purtroppo spesso si sopravvalutano i primi due aspetti, forse perché più semplici da trattare, mentre il terzo, ovvero la forma della strada e della città, resta abbastanza sullo sfondo. Mentre invece forse sarebbe più utile invertire la gerarchia.

Spazi sicuri

Eppure dovrebbe apparire abbastanza lampante come esista un rapporto ormai gerarchicamente invertito, per cui non sono più i mezzi di trasporto e i loro flussi a adattarsi agli spazi, ma viceversa. Caratteristico e piuttosto riassuntivo tutto lo sviluppo suburbano novecentesco a orientamento automobilistico, dove ogni dettaglio addirittura dell’organizzazione interna domestica viene realizzato su misura per il veicolo. E l’unica prevenzione praticata per ridurre le vittime del «fatale» scontro tra i due corpi di consistenza e velocità diversi, resta la segregazione/progettazione meccanica di interfaccia, anziché l’addomesticamento del veicolo stesso cambiandone natura e contesto. Una recentissima ricerca pubblicata nella serie degli studi urbani di Lancet, ci conferma anche con l’imprimatur della certezza scientifica, quanto una forma dell’insediamento adeguata e una promozione conseguente del trasporto non individuale (più contestuale, diremmo) sia il percorso migliore almeno per una riduzione dei danni. E magari per iniziare a riconfigurare i modelli di crescita e sviluppo delle nostre città. Le quali si possono caratterizzare in buona sostanza proprio per la propensione o meno a favorire vuoi flussi organici sicuri, vuoi frammentate meccaniche molecolari foriere di incidenti.

Modelli

La città a insediamento disperso. Il modello suburbano a baccelli cul-de-sac. L’insediamento informale spontaneo caratteristico dei contesti più nuovi e poveri. La città a forte orientamento spaziale automobilistico con griglia ortogonale continua indifferenziata e traffico segregato per modalità. Il sistema urbanistico a isolati molto estesi e scarsa permeabilità. Le città ad elevate densità edilizie e di relazioni. Lo spazio organizzato sui flussi collettivi pubblici. Tutti, questi modelli messi in fila, evidenziano una quantità decrescente di vittime rilevate degli incidenti stradali. Ovvero senza neppure definire meglio tutto il complesso sovrapporsi di situazioni, piani, reti, funzioni, esiste una chiara rilevata correlazione tra griglia viaria (spesso coincidente col rapporto pubblico/privato) e quel «prezzo che paghiamo al progresso», come da anni ci vengono proposte le vittime degli incidenti stradali. È così inevitabile, che davanti al tavolo degli strateghi di sviluppo locale e non, questa corrispondenza tra forme e risultati di sicurezza, e sanitari, e altro, finisca per diventare invisibile, nascosta dietro ad altre volatili considerazioni contabili o teoricamente modellistiche? Per usare le parole di uno dei ricercatori di Lancet in una intervista sullo studio: «Spesso si sono sviluppate anche politiche efficaci di riduzione delle vittime stradali con controlli e educazione, ma occorre puntare molto di più in futuro verso spazi urbani compatti, e allontanarsi dal modello automobilistico, verso quello di un efficiente trasporto collettivo».

Riferimenti:
AA.VV. A global analysis of urban design types and road transport injury: an image processing study, The Lancet Planetary Health, gennaio 2020

Commenti

commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.