Humphry Repton: Le mode nella progettazione del paesaggio (1806)

Qualche nota storica

I gusti sono influenzati dalle mode. Qualunque evoluzione nei gusti di un paese avviene secondo i medesimi principi con cui ne cambiano le leggi, i costumi, le opinioni, parte dall’amore per il cambiamento e la novità dei pochi, e da quella di somiglianza e imitazione dei molti. Ma qualunque reazione del sistema presente all’influenza e al cambiamento imposto dalle mode del momento, pare impossibile fissare qualunque criterio del gusto, che non possa essere scosso dagli orientamenti della maggioranza del pubblico, giusti o sbagliati che siano. Così, anche per il piacere e lo svago umano, una vecchia moda per quanto razionale, verrà soppiantata dal cambiamento del gusto in una nuova moda. Il che ci porta a riflettere sulle origini di ciò che chiamiamo moda, e che la moltitudine in genere considera gusto.

Origini della Moda. Chiunque ha la capacità di pensare individualmente, ma la gran massa dell’umanità agisce senza pensare, e come un gregge di pecore segue la guida di qualcuno nei vari percorsi della propria esistenza. Senza questa naturale propensione a imitare, qualunque membro della società avrebbe un’opinione diversa, e il mondo sarebbe ridotto a un perenne campo di battaglia. A ben vedere qualunque disaccordo, dall’inimicizia tra le nazioni alle beghe quotidiane parrocchiali, trova la propria causa e ragione in qualche figura guida, che poi le moltitudini seguono, imitano, sostengono. Qui si trova l’origine del cambiamento, nei costumi o mode, in ogni forma.

Le opinioni sono proclamate da uno, e seguite da molti. Se queste figure guida possedessero sempre una sensibilità superiore, o se il resto dell’umanità considerasse sempre ciò che sta per seguire, la moda sarebbe forse più ragionevole: ma ciò presuppone una umanità che agisca come entità razionale, cosa contraddetta da qualunque esperienza pratica. Dunque, che si tratti di religione, politica, filosofia, medicina, linguaggio, arte, abbigliamento, accessori, arredamento, o tanti altri aspetti più o meno frivoli dell’esistenza, notiamo sempre come siano migliaia ad agire come qualcuno ha fatto prima di loro: così come appare sforzo eccessivo tracciare una nuova via, risulta troppo difficile provare a capire se questa via sia giusta o sbagliata.

Il cambiamento e chi lo induce. I cambiamenti della moda, in altre parole dei costumi di un paese, diventano poi fonte di ricchezza e scambi, e contribuiscono a tante cose che fanno la vita quotidiana tanto preferibile nella società civile. Pagliacci e selvaggi non hanno bisogno di alcun cambiamento o varietà; il volgo, appena di poco superiore, adotta il cambiamento da altri con lentezza, e inconsapevolmente scivola nella moda. Mentre al contrario l’osservatore più attento, lo elegantiae formarum spectator che sa giudicare la bellezza, equilibratamente coglie e imita il nuovo, a volte senza neppure porsi troppe domande sulla sua ragionevolezza e proprietà.

È così che forme e mode di un ambiente si spostano in un altro, senza alcun rapporto con gli usi e intenzioni originarie. Quelle di vestiti, arredamento e simili sono abbastanza innocue, destinate a finire in fretta, a diventare sempre più ridicole man mano aumenta la distanza dalla loro voga. Per questo ridiamo delle stravaganze dei nostri antenati dipinti su tela, o ci stupiamo del pessimo gusto di certi mobili rosicchiati dai tarli, senza capire che nel giro di pochi anni anche i nostri gusti diventeranno obsoleti. Ma nell’ambito più duraturo dell’arte, la moda dovrebbe lasciarsi guidare anche dal buon senso, per non perpetuare delle assurdità. Apparteneva a questo genere la furia generalizzata di distruggere i vecchi edifici inglesi che chiamiamo Gotici, per introdurre le architetture di paesi caldi poco adatte ai nostri climi freddi, come avviene per quei portici in stile greco o romano sull’affaccio a nord di un’abitazione inglese, o verande indiane per ripararci dai venti freddi orientali del nostro clima.

Nell’idea di giardino. La moda ha esercitato in pieno la propria influenza nel giardinaggio,così come in architettura, importando modelli da paesi lontani. I giardini d’Inghilterra imitano una volta quelli dell’Italia, un’altra ancora quelli dell’Olanda.

Stile italiano. Lo stile italiano del giardino è fatto di terrazzamenti con balaustre in muratura, meravigliose scalinate, archi e grotte, curatissime imponenti siepi con nicchie e recessi arricchite da sculture. Troppo costoso per una diffusione generale; e là dove è stato adottato, come a Nonsuch o altrove, si è poi rivelato inapplicabile al clima inglese, e non ne resta alcuna traccia se non in alcuni dipinti di artisti italiani.

Stile olandese. Segue il giardino olandese, introdotto da Re William III, e prevalente nel nostro paese per mezzo secolo. Consiste di pendii erbosi, forme regolari di terreno e acque, artisticamente definite, curiosamente addobbate di alberi in vaso, o alternativamente in terra, bel potati per mantenere perfetta regolarità di aspetto. Sono questi i tipi di terrazzamento, non quelli italiani, poi distrutti da Brown per restituire al terreno l’andamento originario.

Stile inglese. Osservava che la Natura, distorta a prezzo di tante spese e lavoro, avesse perduto il potere di essere gradevole, perdendo la capacità di essere nuova; ogni luogo diventava uguale a un altro. Capiva come si potesse introdurre novità copiando dalla Natura, assecondando la sua opera. Con la guida di Brown [Lancelot «Capability» Brown, 1715-1783, n.d.t.] ha luogo un cambiamento totale di moda del giardino; lo stile olandese che era subentrato a quello italiano è universalmente sostituito da quello inglese. Con l’autorevole guida di Brown, o per meglio dire di chi sostiene la sua intuizione, ci viene insegnato che il solo nostro modello sarà la Natura. La moda del giardino è destinata a durare tanto quanto l’esistenza stessa della natura.

Natura: il modello di Brown. La Natura è il modello del poeta, del pittore, e del giardiniere, tutti se ne dichiarano imitatori: pochi però hanno genio o gusto sufficiente per evitare di diventare solo manieristi! Brown copiava dalla Natura, ma i suoi illetterati seguaci copiavano da lui, e in mani del genere, senza intenzione di oscurarne la fama o allontanarsi dai principi, si metteva in pericolo la moda del giardino all’inglese, rendendolo noioso, sciapo, innaturale, peggio dei peggiori esempi di stile italiano o olandese.

Il degrado dello stile di Brown. Brown, dopo la morte, ha come successori un vero e proprio gregge di collaboratori e giardinieri che, per il solo aver eseguito i suoi progetti ed essere stati impiegati nelle sue realizzazioni, saranno poi consultati impiegati in seguito per il prosieguo delle opere a cui erano stati delegati. Tra questi, uno si era meritato grande credito a Harewood, Holkham, e altrove, realizzando percorsi a viale, piantando arbusti, e altri elementi di paesaggio in genere separati dal parco vero e proprio da una recinzione a fossato o ha! ha!; meglio sarebbe stato per tutti noi e per l’arte del giardino, se avesse esercitato il proprio talento restando dentro quella stessa recinzione. Purtroppo, senza le medesime ottime intuizioni, lui decise di allargare i progetti. Introducendo così gran parte di quel cattivo gusto poi attribuito al suo maestro, Brown.

Più grande non significa più bello. L’idea sbagliata è che le dimensioni grandi corrispondano a grande qualità: nascono così sterminati nudi pascoli, tediosi lunghi serpeggiare di strisce verdi e viali, inutilmente larghi, monotonia di cespugli e radure, enormi specchi d’acqua privi di alberature; insomma tutti i caratteri per nulla pittoreschi che sono la disgrazia del giardinaggio moderno, e hanno guadagnato al modello di Brown l’obbrobrioso epiteto di spoglio e spelacchiato. Eppure resta così apprezzata la grandiosità per dimensioni, da far valutare la bellezza di un parco un tanto all’ettaro, o la perfezione di percorsi e vedute un tanto al chilometro, nonostante spesso si possa solo guardarli senza alcun interesse, e fuggire lontano alla ricerca di campi e prati, preferendo un qualunque pascolo o ciuffo di arbusti a qualunque anonimo viale alberato, senza carattere o varietà.

L’immagine del parco. Quando questo ingannevole gusto per le dimensioni ha finito per allargarli oltre ogni ragionevole limite di cautela ed economia nell’uso dello spazio, pare poi adeguato destinarne larghe porzioni di terreno a scopi agricoli, entro il perimetro e ambito di questa inutile e stravagante definizione; e così gran parte dell’interno di un parco si trasforma in campi arati. Al punto da far sorgere la necessità di decidere quale parte della tenuta destinare all’estetica anziché al profitto.

L’immagine del giardino. Molto del dibattito sul giardinaggio moderno deriva dall’esigenza di precisione nel linguaggio. Giardinaggio vale per il parco, il pascolo, gli arbusti e siepi, gli orti, e così l’aspetto dell’uno si mescola all’altro, quando esiste tanta differenza tra giardini, parchi, boschi, così come avviene tra orticoltura, agricoltura, o natura. Il primo oggetto è artificiale, e non ha altra pretesa naturale che non quella delle piante vive che lo compongono: la loro selezione, disposizione, coltivazione, tutto deve essere opera d’arte; e invece di tracciare una linea invisibile o recinzione nascosta che separa il prato falciato dal pascolo del bestiame, pare più razionale mostrare che sono separati, a patto che la separazione non sia antiestetica; altrimenti potremmo pensare o che il bestiame possa entrare a brucare i fiori e cespugli, oppure che ci siano fiori e cespugli assurdamente piantati dentro il pascolo del bestiame,oppure ancora che si debba arrivare ad eliminare del tutto i fiori dai davanzali di casa mettendoli invece tutti n mezzo al pascolo del bestiame. Tra viali e alberature simmetriche negli ultimi due secoli il giardino artificiale si è allargato fin troppo lontano dall’abitazione, ma nel giardinaggio moderno è il prato naturale ad avvicinarsi troppo.

L’esempio di Woburn. Esistono pochi palazzi in Inghilterra che possano rivaleggiare in magnificenza con quello di Woburn, ottimo esempio di grandiosità e carattere dei giardini ma senza esagerare con le dimensioni in sé e per sé. L’edificio principale è collegato alle componenti aggiunte, stalle, depositi, campo da tennis, serre, padiglione cinese e altri, attraverso un corridoio, o passaggio coperto, di notevole lunghezza, avvolto da fiori e rampicanti. Si propone di allungare il passaggio fino agli spazi di coltivazione a clima controllato delle piante, definendo un centro di riferimento per vari tipi di giardino e specificamente:

Terrazza e parterre accosto alla casa.

Giardino privato solo per la famiglia.

Roseto e composizione floreale, davanti alla serra.

American garden, per le specie da quel paese.

Giardino cinese, attorno al laghetto e di fronte al padiglione cinese, da decorare con piante dalla Cina.

Orto Botanico, con piante scientificamente classificate.

Menagerie serraglio.

E per finire, il Giardino all’Inglese o shrubbery walk, a collegare il tutto; a volte definendo vedute delle varie distinte componenti, altre aprendo prospettive sul parco e più oltre la campagna aperta.

Equivoci sul termine Giardinaggio. Per una singolare perversione terminologica, ciò che chiamiamo oggi gardening di solito non comprende il giardino utile e ha anche cambiato giardino ornamentale in spazio di delizie. Però a cambiare non sono stati solo i nomi; è andata perduta la qualità specifica del giardino confondendola con quella del parco circostante, ed esse sono distinguibili soltanto guardando una mappa; e un margine invisibile separa il cheerful lawn per il pascolo del bestiame, dal melancholy lawn mantenuto dal rullo e dalla falce. Nonostante questi prati siano divisi da una barriera più invalicabile delle mura che circondavano i vecchi giardini, paiono fuse dentro il medesimo paesaggio:

«wrapt all o’er in everlasting green, Make one dull, vapid, smooth and tranquil scene» (R.P. Knight)

Similitudini tra Casa e Giardino. I giardini o luoghi di delizie, vicino alla casa, possono essere considerati diverse stanze o appartamenti che aggiungono prestigio e comodità. La magnificenza della casa dipende da numero e dimensioni delle stanze, e la similitudine tra casa e giardino si allarga al tipo di decorazione. Un grande prato è come una grande sala, che se non arredata appare più spoglia di una più piccola. Se la si arreda solo in parte o male, ci indurrà ad uscirne in fretta disgustati; che si tratti di una sala tappezzata di finissimo panno verde, o di un prato fatto della migliore erba, cerchiamo anche dei tappeti nell’una, e dei fiori nell’altro. Se nella condizione disadorna della sala potremo avere specchi senza cornice che riflettono pareti nude, allo stesso modo una pozza d’acqua senza nulla che la circondi rifletterà un paesaggio desolato. E la similitudine si può estendere ad ogni elemento di arredo e ornamento di casa, confrontato con sedili, padiglioni sculture adeguati a un giardino.

Realizzazioni. Dunque il giardino di delizie di Woburn deve essere arricchito e arredato tanto quanto il palazzo, in cui abbonda ovunque vistoso il buon gusto. Non va enfatizzata tanto la larghezza o lunghezza della passeggiata, che fa grandiosità nel paesaggio del giardino, ma invece la diversità e la successione di elementi di interesse. In questa componente della qualità dello spazio possiamo inoltrarci e trarre piacere dalla varietà, dai contrasti, e dalla novità, senza nulla togliere alla grandiosità.

Trasformazioni vicino alla casa. A metà del secolo scorso, qualunque grande magione del Regno era dotata di un orto delle verdure e di un frutteto, recintati da un muro, sul fronte dell’edificio. Per migliorare la veduta dalle finestre, Brown fu obbligato ad eliminare questo tipo di spazi, e non essendo sempre possibile ricollocarli accanto alla casa, lo si faceva a volte anche a distanza. Un difetto di sistema poi ripetuto abbastanza inconsapevolmente dai seguaci; mentre mi sembra di poter osservare che a Croome, e in altri casi, là dove praticabile, riuscì ad annettere l’orto alle stalle e uffici, dietro l’edificio principale, circondandolo di cespugli, in una organizzazione comoda e naturale.

L’Orto della Cucina. L’intimo rapporto tra cucina e orto delle verdure, o tra stalle e giardini per il letame, pare talmente ovvio che chiunque coglie l’opportunità di collocarli il più vicino possibile, coerentemente con la cura della veduta dalla casa, eppure in tanti grandi parchi troviamo orto e frutteto spostati distanti, un chilometro o anche di più, con tutta la difficoltà e fatica che comporta il trasporto, di prodotti e letame, coi carri carichi che dalle stalle attraversano tutta quella distanza.

Giardino d’Inverno. A queste considerazioni va aggiunto che l’orto per la cucina, anche senza serre, ha un clima diverso. In tante giornate d’inverno una passeggiata all’asciutto e al caldo, magari riparati da un muro sud, sarà preferibile alla pur magnifica ma esposta escursione nel paesaggio aperto, o in primavera quando «Reviving Nature seems again to breathe, As loosen’d from the cold embrace of death» sul confine meridionale di un orto recintato, con fioriture e germogli precoci a rallegrare la vista, mentre tutte le altre piante attorno, coi venti di nord-est tipici del nostro clima a marzo e aprile, quando: «Winter, still lingering on the verge of spring, Retires reluctant, and, from time to time, Looks back, while at his keen and chilling breath Fair Flora sickens» (Stillingfleet)

Evoluzioni del modo di piantare. Linee rette. Quinconci. Delineiamo adesso l’evoluzione dei cambiamenti di mode nel giardinaggio; intendendo con questo i vari sistemi adottati nei vari periodi per realizzare artificialmente alberature ornamentali. Il primo è senza dubbio quello di piantare in fila e a distanze regolari, in uso col giardino citato da Plinio. Il passaggio successivo è di raddoppiare il filare rettilineo, formando percorsi ombreggiati, o aggiungendo altre linee parallele. Ma la moda, non soddisfatta dalla semplicità di questi viali definiti dagli alberi collocati uno dopo l’altro, inventa il quinconce, moltiplicando le linee in tre diverse direzioni. E vista la determinazione di adottare la moda anche senza la noia attendere che gli alberi crescano, là dove già esisteva un bosco esso veniva ritagliato per linee rette e relative vedute, o in forma di stella e pates d’oies molto in uso all’inizio del secolo scorso.

Curve regolari. La moda, stanca della piatta uniformità delle linee rette, si spinge a adottare una nuova regola, pur sempre geometrica, con forme curve e circolari regolari, dove gli alberi sono sempre piantati a distanze regolar. Viene qui introdotta anche la strada a percorso serpeggiante.

Plotoni. L’audace evoluzione successiva della moda è il deciso divergere dalla medesima distanza, piantando gli alberi a chiazze o gruppi (chiamati in certi antichi disegni plotoni): a forma tonda o squadrata, alternativamente più o meno visibili su entrambi i lati della strada; e là dove non esiste alcuna veduta da valorizzare, a schermo o doppio filare, su un lato interamente chiuso, sull’altro con qualche occasionale varco, ma ancora a intervalli regolari come avviene di solito a Woburn.

La fine dei viali. Ricordo perfettamente, quando avevo dieci anni, che mio padre (uomo dalla grande capacità di osservazione a cui non sfuggiva nessuna novità) mi faceva notare il cambiamento allora in corso nel verde ornamentale; e anche se non avevo la più vaga idea di quanto quell’argomento di studio sarebbe diventato importante per la mia vita futura, rammento quanto osservasse l’intuizione geniale di qualche artista del giardinaggio (forse Kent, o Brown), sulla possibilità di conservare vedute e percorsi senza chiudere ogni varco sui fianchi; alternando aperture sulla campagna circostante senza perdere la grandiosità della linea retta ritenuta allora indispensabile. Si osservava anche che forse era possibile arrivare ad una eliminazione totale dei viali in quanto tali, e credo se ne piantassero davvero pochi in seguito a metà del secolo scorso.

Piantare naturalmente. Avvenne allora un cambio radicale della moda. Si affermava che l’unico modello fosse la natura, e la natura aborre la linea retta; nessuno stupore quindi se i seguaci un po’ ignoranti di Brown ne copiassero alcuni dettagli strumentali senza coglierne il metodo proposto: vedevano preferire le linee curve a quelle rette, e quindi progettavano vaganti serpentine, linee ondulate in ogni caso, purtroppo sostenuti in questo dalle raccomandazioni di Hogarth nel suo immaginifico L’analisi della bellezza. Così vediamo quelle strade che proseguono curve senza apparentemente dirigersi verso una meta, o recinzioni perimetrali che leggiadre seguono un altro perimetro; o fasce di interposizione e filari in inutili curvature, e un percorso ad esse parallelo che appaiono lontani dalla natura tanto quanto il rettilineo. Così la moda ha cambiato la fascia di interposizione o schermo introdotta da Brown, in un percorso monotono e assai più tedioso di un viale, o veduta, solo perché una curva è più lunga di una linea retta.

La fascia di interposizione secondo Brown . La fascia di interposizione concepita da Brown è un bosco attraversato in alcuni punti da una strada, vedute, prospettive variate da andamenti del terreno; ma il percorso è sempre tra gli alberi all’ombra dei loro rami.

La fascia di interposizione moderna. L’ultima moda, secondo un criterio che non è certo di Brown, è un ampio viale, così largo da non avvicinarsi mai agli alberi, così battuto dalle correnti d’aria che le prime piante sono sempre quelle nelle condizioni peggiori; si aggiunga che due strette strisce di alberi non potranno crescere benissimo, né ospitare animali selvatici troppo disturbati da quel viale tanto prossimo. La fascia può essere utile come schermo ma salvo quando è molto profonda non come percorso, almeno finché gli alberi gi alberi sono del tutto cresciuti e allora si può ricavarci adeguatamente un percorso.

La varietà distrutta dai propri eccessi. Non sono solo gli andamenti della moderna fascia di interposizione e del viale ad essere discutibili, lo è anche il modo in cui vengono organizzati gli alberi, con un miscuglio indiscriminato di qualunque specie. In questo modo si finisce per distruggere la varietà per eccesso di varietà, adottata che sia per fasce o ciuffi, come si definiscono tecnicamente oggi; per esempio se dieci di quei ciuffi hanno una composizione diversa di piante ciascuno, si trasformano in qualcosa di esattamente simile; mentre quando ciascun ciuffo consiste della medesima specie di alberi, essi diventano dieci cose diverse, una un gruppo di querce, l’altra di olmi, un’altra ancora di castagni, o biancospini eccetera. In modo analogo, la fascia di interposizione moderna, con quella ricorrente monotonia della stessa composizione di alberi, tutti di tipo diverso, sviluppati su un lungo percorso, la rende tanto più tediosa quanto più è lunga.

Woburn Evergreen Drive. Non posso qui omettere il mio doveroso tributo di lodi a quella parte della prospettiva di Woburn, dove dominano i sempreverdi: cogliendo l’occasione per costruire grandiosità, varietà, novità. E se posso permettermi di aggiungere qualcosa, un tocco di colore all’uniformità invernale che non mi è mai capitato di vedere usato altrove, per lo meno non su quelle magnifiche dimensioni. Il contrasto del passaggio da un bosco deciduo a uno di sempreverdi viene avvertito con forza anche dall’osservatore più insensibile, e la medesima gradevole sensazione la si prova, anche se con intensità minore, dalla carrozza in movimento, quando alberi di diversi tipi fossero raccolti in piccoli gruppi anziché indiscriminatamente mescolati.

Come produrre varietà. Con questo non voglio sostenere l’idea di separare sempre ciuffi di alberi diversi, anche se può certo risultare bello, ma lungo un viale lasciare che in alcuni punti prevalgano le querce, in altri il faggio, in altri ancora le betulle, e in alcune zone concentrare masse di biancospini, noccioli, aceri, agrifogli, insieme ad altri arbusti a crescita lenta, a imitazione del fitto del bosco.

Macchie di bosco. Nelle zone boscose vicino a Laytonstone o Woodford, e in realtà in quasi tutte le boscaglie fitte, si può notare come tra gli arbusti spinosi e i cespugli spuntino sempre uno o più giovani alberi, a cui il fitto funge da tutore e protezione, ed è una difesa sufficiente contro il pascolo degli animali fin che raggiungono sino a dimensioni prodigiose, mentre nel periodo finale della loro esistenza, specie nel bosco di Windsor, vediamo spesso un vecchio biancospino ai piedi di una veneranda quercia, a formare una coppia pittoresca e di grande interesse, come la bambinaia anziana ma servizievole che coccola il non più bambino affidatole anche quando non ha affatto bisogno della sua assistenza.

Viali. Pare essere molto di moda nel secolo attuale [frase scritta nel 1794] dire che occorre distruggere i viali, così come in quello scorso era di moda piantargli quei filari di alberi; molte persone giustificano la propria opinione, che sia l’una o l’altra, dicendo alternativamente «Il viale mi piace» oppure «Io i viali li odio», ma proviamo ad analizzare meglio queste espressioni di apprezzamento o disgusto. Il piacere che la mente ricava dalla contemplazione di ordine e unitarietà, delle cose antiche e della continuità, entro una certa misura vien gratificato dalla grande prospettiva, dalla veduta del viale; anche se i filari degli alberi sono così distanti l’uno dall’altro che i rami non riescono a toccarsi, ma quando crescono tanto vicini da riuscire a ricostruire lo spazio ombroso e avvolgente di una cattedrale gotica, alla bellezza è possibile aggiungere anche utilità e comodità. Un lungo viale che termina con la facciata dell’antica magione è pur sempre una bella cosa, anche se non sempre sarà il soggetto ideale di un quadro; ma è d’altra parte la veduta dalla magione che costituisce uno dei principali discutibili difetti del viale: cancella la varietà, sarà sempre l’identico paesaggio che si vede da qualunque villa del regno, quando quella veduta tra filari di alberi non si merita affatto la qualifica di paesaggio.

Se, alla fine di un lungo viale, collochiamo un obelisco, un tempietto, o qualunque altra trappola per l’occhio (come viene chiamata) susciterà giusto l’ammirazione di un ignorante o di un bambino. Lo sguardo di chi ha gusto ed esperienza detesta le forzature, e si ritrae con disgusto da questi espedienti per attirare l’attenzione. Uno dei danni che il grande viale fa al parco è quello di dividerlo in due parti distinte, di tagliarlo distruggendone l’unitarietà; perché è quasi impossibile evitare di distinguere il terreno sui due lati del viale in zona nord e sud del parco, in area est o ovest del prato.

Ma il dubbio principale su un viale è che (specie là dove la superficie è irregolare) funge da sipario a mascherare le vedute più interessanti: ed è proprio lo scostamento di questo sipario nei punti più appropriati a rappresentare l’utilità di quanto abbiamo definito interruzione del viale. Se la moda del giardinaggio si potesse cambiare come succede con la moda dell’abbigliamento, senza altro problema che non sia la spesa, potremmo anche seguirne il dettato, senza altre considerazioni: modernizzare audacemente i vecchi luoghi, trasformarli secondo le linee ed il capriccio di oggi, e poi ancora alterarli per quello di domani; ma purtroppo il cambio della moda nel giardinaggio distrugge il lavoro di secoli, quando imponenti viali venivano tagliati senza altra ragione se non quella di piantare filari rettilinei come era in uso in altri tempi.

Opere d’arte. Non è quindi per compiacere alcuna moda moderna di distruzione dei viali, che ho consigliato di eliminare alcuni alberi molto alti vicino alla casa d Longleat; ma perché il carattere e la grandiosità di un’opera d’arte come quel palazzo non venissero obliterati dalla possanza stressa della natura. Senza tornare al gusto di quando l’ampia magione veniva circondata da filari di siepi e viali di alberi giovani, molta della sua grandezza si può ancora recuperare opportunamente diradando gli eccessi della vegetazione: e questo sono alcuni dei troppo alti e malmessi olmi del viale più vicini all’edificio, che ne diminuiscono evidentemente l’importanza.

Le appendici del Palazzo. Quando l’artificiale ma magnifico stile del giardino geometrico di Le Notre cambiò in quello più naturale del landscape gardening, accadeva spesso che si prestasse troppo poca attenzione alle preziose appendici dei palazzi inglesi; e anche se vicino alle ville più piccole dei gentiluomini di campagna aie fienili e orti cedevano il campo a un prato ben tenuto sull’affaccio, collocare un grande palazzo in mezzo a un campo erboso è certamente una esagerazione caratteristica di chi segue le mode.

L’esempio di Longleat. La prima cosa da fare a Longleat per ciò che riguarda l’Arte è di restituire importanza all’architettura e migliorarne la grandiosità, allargandone l’effetto visivo, ma ciò richiede alcune cautele. Stalle e uffici devono contribuire a formare un tutto unitario, ma se troppo voluminosi o vistosi nel progetto hanno un effetto contrario.

Appendici. Un palazzo non è un oggetto isolato; deve trovare il complemento, essere sostenuto per così dire, da edifici subordinati, come gli attendenti della nobiltà in uno stato; ma un edificio che è più lungo di quello principale diventa un rivale anziché un umile attendente; è pericoloso considerare stalle e spazi per l’amministrazione della tenuta in qualche genere di rivalità con la casa per ricchezza degli ornamenti. Basta che siano le cancellate, o qualche torretta sopraelevata, in quei fabbricati, a riprendere i preziosi temi di cui abbonda il palazzo, senza copiarli esattamente.

Edifici staccati. La nota vale per tutti gli edifici di una certa dimensione che si rendono necessari vicino a quello principale; ma i più piccoli e lontani possono anche esibire la medesima ricchezza di ornamenti, là dove non contrastino troppo con la funzione di quel fabbricato. Per questo motivo raccomando sempre ingressi e cancelli magnifici anziché segnati da piccoli chioschi, per quanto possano essere pittoreschi. Quel carattere adeguatamente umile può appartenere alla cascina, ai pollai, alle voliere, semi-nascoste dal verde; ma se si vuole rendere qualunque edificio visibile lo si deve anche adornare proporzionalmente agli usi e alla posizione. Così l’alloggio del fattore o il canile del guardiacaccia in valle vanno benissimo senza alcun ornamento, ma se si trovano invece in alto devono essere inseriti dentro il paesaggio assumendone i caratteri.

Ambienti separati. Uno dei principali errori nel giardinaggio moderno è stato quello di collocare il grande palazzo non solo dentro uno spoglio prato, ma al centro di esso: per farlo in alcuni casi si sono addirittura demoliti gruppi di edifici o interi piccoli villaggi, così che ci fosse sempre quel moderno parco in qualunque direzione. Ci sono diversi spazi di comodità e servizio che secondo tale criterio dovrebbero essere spostati ad una certa inadeguata distanza, dall’orto alla fagianeria e serragli, la cascina, i recinte, che per esempio a Longlea sono ciascuno di grande dimensione, e diventano spazi separati, serviti da qualche percorso di comunicazione, da organizzare e inserire come elementi di interesse del luogo.

Gli edifici della cascina. La cascina fa parte integrante del luogo tanto quanto il parco dei cervi, e da molti punti di vista può anche essere più pittoresca, fatta com’è di vari piacevoli ambienti chiusi, ricca di alberi a ciuffi, e non avrebbe nulla da guadagnare eliminando del verde: il suo carattere si conserva mantenendo lo stile degli edifici; la vecchia casa di campagna, il villino dei contadini, fienile, il capanno col tetto in paglia, tutto assai più adeguato di quelle artificiali cascine in stile gotico o con le travi dipinte alla francese; ma un parco si merita di meglio.

L’edificio del parco. Il parco è parte della magnificenza non certo dell’utilità, e le sue decorazioni devono partecipare a quelle del palazzo; devono appartenergli, dalle sedute, al padiglione, al belvedere, diversi dagli elementi di servizio come un fienile o un villino: quelli si possono trovare in mezzo a qualunque prato, gli altri hanno un livello di importanza superiore. È entrato in uso recentemente di introdurre qualche tipo di alta torre,o colonna, o obelisco, in cima nel punto più elevato del parco; ma si tratta di una pratica che diminuisce la grandiosità del luogo: essendo difficile perdere di vista un monumento tanto vistoso, lo sguardo resta sempre ancorato al medesimo punto.

Conclusioni. Dopo aver ripercorso i vari cambiamenti del gusto in materia di architettura e giardini, non posso trattenermi dall’esprimere l’opinione secondo cui siamo alla vigilia di altre importanti trasformazioni future in entrambi i campi, in conseguenza della scoperta del paesaggio e delle architetture dell’India nelle province interne. I magnifici disegni pubblicati da Daniell, Hodges, e altri artisti, ci hanno trasmesso una nuova fonte di bellezza, eleganza, grazia, paragonabile ai migliori spunti delle architetture greche o gotiche: e anche se la pessima applicazione di queste nuove forme produrrà probabilmente tanto cattivo gusto nel paese, possiamo comunque ragionevolmente aspettarci alcuni progressi grazie a tanta bellezza di un tipo mai utilizzato in Europa.

da: The Landscape Gardening and Landscape Architecture of the late Humphry Repton Esq. Being His Entire Work On These Subjects, scritti raccolti a cura e con introduzione generale di J.C. Loudon, Longman & Co.. London 1840; Titolo originale del volume: An Inquiry into the Changes of Taste in Landscape Gardening [1806] – Estratti e traduzione di Fabrizio Bottini
Per una comparazione «tecnica» sul rapporto natura/artificio si veda in questo sito la Relazione generale del progetto vincitore di Frederick Law Olmsted e Calvert Vaux per il
Central Park pubblicata dal New York Times nel 1858 

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