Iperspazio Urbano

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Foto J. B. Gatherer

Quando si parla di mobilità, inevitabilmente si evoca non soltanto da quale origine e per quale destinazione, ma anche il dove più generale in cui questo atto della mobilità ha luogo. Ovvero esistono un punto A e un altro punto B che stanno a una certa distanza, ma esiste anche tutto quello che ci sta in mezzo. Ovviamente ci sono tanti modi per considerare questi aspetti, per esempio la comunicazione come ci insegnano in questi giorni i vari articoli commemorativi sul designer italiano Massimo Vignelli, noto principalmente per le sue mappe a-spaziali della rete metropolitana di New York, di cui gli esperti confrontano le versioni ed evoluzioni. Il problema comunicativo centrale di Vignelli è quello di conciliare proprio questi due aspetti: il passaggio dal puro percorso origine-destinazione e la consapevolezza di ciò che ci sta in mezzo e attorno. Detto in altre parole, costruire quei sistemi di linee colorate, corrispondenti alle varie linee, montati su una “mappa”, che pur non corrispondendo affatto all’organizzazione fisica del territorio ne comunichino una buona mediazione tra realtà e mappa mentale sinottica. Ed è significativo il fatto che quella forma di rappresentazione non sia stata inventata da qualcuno che si occupava di spazio fisico, ma da un elettricista della London Underground, quando a inizio ‘900 le guide tradizionali basate sulla realtà iniziarono a rivelarsi troppo intricate: propose uno schema simile ai circuiti elettrici, iniziando così una nuova era.

Lo spazio a-spaziale

Certo risolvere il problema di rappresentare uno spazio intricato parlando d’altro è al tempo stesso geniale e rischioso. L’elettricista londinese ad esempio dovrebbe essere considerato un vero e proprio babau minaccioso da tutti i localisti del mondo, sempre che i localisti pensassero e ne conoscessero l’esistenza naturalmente. Visto che con la sua pensata del circuito elettrico in pratica ha introdotto l’iperspazio ben prima di quella specie di doccia con cui gli eroi di Star Trek si smaterializzano sull’astronave per ricomparire a decine di migliaia di chilometri di distanza, senza averla attraversata, senza averci avuto a che fare, senza conoscerla insomma. Personalmente mi è capitato parecchie volte di scambiare due chiacchiere con gente che attraversava la città coi mezzi pubblici, specie con la sotterranea, senza avere la più pallida idea di cosa stava attraversando, cosa aveva sopra o di fianco. Tutto quel che sapeva, e che gli interessava sapere, era contare i pallini della finta mappa-circuito, spaziati tutti uguali anche se quelle distanze non sono uguali affatto, su una linea dritta che dritta non è affatto, fino a rimaterializzarsi fuori dalle porte a soffietto. Lazzaro alzati, praticamente, replicato tutti i giorni, più volte al giorno, andata e ritorno dall’incoscienza del mondo, roba da matti a pensarci un istante.

Le tribù degli alienati

Se si viene sottoposti troppo a lungo a questo trattamento, che coinvolge come ovvio a vario titolo sia chi si sposta senza farci tanto caso, sia chi si abitua a confondere quegli ex circuiti elettrici col mondo reale che dovrebbero riassumere, si finisce per perdere il senso dello spazio, completamente. Non a caso viene così apprezzato, in una cultura tradizionalmente empirica e fortemente ancorata all’esperienza fisica territoriale come quella americana, il tentativo di Massimo Vignelli di conciliare la mappa mentale e il territorio metropolitano dentro cui ci deve guidare. Noi probabilmente sentiamo meno bisogno di questo genere di anticorpi, e sbagliamo, fino a diventare facili prede dei malintenzionati di tutte le risme. Che altro sono, se non malintenzionati, tutti coloro che propongono o raccontano di facili, comodi, a volte pure convenienti a sentir loro, mezzi di trasporto per distanze ridicole, che chiunque potrebbe superare a piedi anche portandosi in spalla la zia obesa, se ne ha una. Ma i malintenzionati lo sanno, e allora passano sulla stampa cose surreali, come mica tanto tempo fa la “gara” per andare da un certo punto a un certo altro punto della città fra diversi marchi dicar-sharing la bicicletta e la metropolitana, senza considerare quanto assurde fossero le alternative, su quella tratta e con quel genere di spazio intermedio.

La scoperta dello spazio

Basta darsi un’occhiata attorno, in fondo, smetterla di star sospesi a strumenti di “conoscenza del territorio” che usati così non fanno il loro mestiere, come certi architetti del passato sempre curvi su mappe e disegni, ma troppo poco avvezzi o propensi a scendere sul terreno, con i risultati che ahimè conosciamo. Il lavoro di Massimo Vignelli è importante proprio per questo: sottolinea come entrambe le cose siano fondamentali. Dobbiamo leggere concettualmente, costruirci categorie, quadri sinottici, ma mai dimenticare che esiste una realtà fisica molto diversa a cui riferirsi. E invece tra circuiti elettrici e guide satellitari ci allontaniamo progressivamente dallo spazio fisico su cui invece teniamo piantati i piedi: in pratica, schizofrenia quotidiana. Che fa considerare a quasi tutti normale, per esempio, la notizia dell’acquisto, a caro prezzo, di eventuali flotte di biciclette a pedalata assistita. Vanno benissimo, per carità, ci sono persone che hanno difficoltà, a volte si ha meno voglia di altre di faticare, e soprattutto c’è sempre in prospettiva un allargamento della rete di bike-sharing verso le fasce suburbane, o là dove le pendenze sono sul serio un problema. Ma si tratta di considerare sul serio il rapporto costi, benefici, mezzo di trasporto e distanze. Insomma, se qualcuno ci proponesse di spendere una cifra ragguardevole per una trasferta in aereo tra due punti facilmente collegabili con altri mezzi assai meno complicati, lo gratificheremmo di uno sguardo di compatimento. Con questa storia delle bici a pedalata assistita spesso viene un pensiero molto simile. Forse non ci stanno prendendo per i fondelli, ma c’è qualche problema di comunicazione, chiamate un allievo di Vignelli per disegnarci una cartina comprensibile.

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