Politiche urbane e sociali: il Centro Sociale Leoncavallo a Milano

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Foto F. Bottini

Garantire spazi di aggregazione sociale e intraprendere politiche urbane innovative implica la necessità di definire compiutamente obiettivi, attori e risorse. Un esempio paradigmatico è quello di Milano, con la vicenda del Centro Sociale Leoncavallo, che in qualche misura può valere da modello e monito per tante altre città coi medesimi problemi. In questi giorni c’è una certa animazione nel mondo politico locale e sui media, rispetto all’ipotesi della giunta comunale di procedere mediante una “permuta immobiliare” alla soluzione di uno storico contenzioso relativo alle modalità con le quali il Leoncavallo è insediato in un ex edificio industriale della periferia Nord. In breve, il centro sociale – attivo dal 1974 e riferimento culturale per il mondo giovanile e alternativo spesso definito riduttivamente come “antagonista” – occupa abusivamente un complesso edilizio di proprietà di una società appartenente alla galassia del gruppo Cabassi (storica famiglia di costruttori milanesi). Oggi il Comune vorrebbe, attraverso uno scambio di immobili, acquisire proprietà e disponibilità del complesso. Parallelamente, è previsto un Bando con il quale saranno stabiliti in modo differito (8-10 mesi), i criteri di assegnazione di spazi di cui si prevede un uso sociale.

Dal punto di vista della fattibilità dell’operazione le cose sono ad uno stadio abbastanza evoluto dal momento che è stata predisposta una proposta di delibera corredata da un parere favorevole della Giunta per la successiva presentazione in Consiglio e una documentazione tecnica relativa alla valorizzazione economica di tutti gli immobili coinvolti nella permuta. Certo non si può che condividere l’iniziativa che apre ad alcune innovazioni rispetto al passato per diversi motivi. Il primo è che con questa iniziativa l’Amministrazione apre a politiche sociali che investono attori inconsueti, guardando a luoghi di produzione e consumo culturale fuori da logiche che caratterizzano i tradizionali operatori di mercato; il secondo motivo è quello di riconoscere e dare cittadinanza ad un soggetto sociale ampiamente radicato con una sua storia e un rapporto consolidato verso alcuni settori della cittadinanza. Ulteriore elemento di innovazione è dato dal fatto di supportare le politiche con strumenti in grado di ottimizzare le pochissime risorse oggi disponibili da parte delle amministrazioni locali.

Ciò premesso, bisogna considerare che il percorso procedurale che sostanzia la proposta di delibera e i suoi contenuti sembra costruito per vanificare lo sforzo e finire in un vicolo cieco di ricorsi, polemiche e ripercussioni negative dal punto di vista del consenso. La delibera si articola a partire da un solenne “cappello introduttivo”, nel quale si ribadisce come l’amministrazione voglia dar corso a politiche “indirizzate a costruire un modello di città europea” poi “affermare il suo interesse ad investire sulla creatività, e sull’inclusione sociale”. Si precisa che “sussiste la possibilità di utilizzare alcuni immobili oggi di difficile gestione sociale e operativa”, da sfruttare “trasformando una situazione di irregolarità ad una opportunità per la città”. Guarda caso, c’è proprio una situazione di irregolarità in via Watteau 7, la sede oggi occupata dal Leoncavallo. Dopo questa premessa, il testo della delibera fila via con la descrizione di aspetti puramente tecnici della permuta immobiliare, concentrandosi sugli “oggetti” dello scambio che, nella contropartita offerta dal comune, comprendono un complesso scolastico in stato di abbandono e degrado, e un edificio residenziale mai completato, localizzati in due zone diverse, entrambe molto distanti da via Watteau.

Nel testo della delibera, la politica, urbana e non, scompare, e le argomentazioni si sviluppano come se si trattasse di una qualsiasi permuta immobiliare, corredata per giunta da stime economiche sul valore degli immobili assolutamente virtuali, poco realistiche. Con simili caratteristiche, la delibera ha aperto notevoli discussioni tra i sostenitori della permuta, e chi invece ne svilisce il profilo declassandola a mera operazione di consenso rispetto ad interessi elettorali, e ciò anche fuori dal tradizionale perimetro della destra milanese, che anche sulla questione del Leoncavallo ha costruito parte delle proprie fortune politiche. Va detto che, oggettivamente, alcuni elementi di ipocrisia nella gestione del tema ne alimentano ambiguità e criticità.

Per “mettere in sicurezza” il risultato finale di quelle che è difficile non classificare come ottime intenzioni di politiche urbane, sociali, culturali, forse sarebbe assai opportuno ridefinirne alcuni aspetti. In primo luogo, per sgomberare il campo dagli equivoci, prima di qualsiasi ulteriore passaggio la giunta comunale dovrebbe esprimere qualche forma di Atto di Indirizzo o di Linee Guida”, a definire preliminarmente le caratteristiche dei soggetti, finalità, uso, titolo di godimento, responsabilità civili di chi è ammesso a partecipare al bando per l’assegnazione degli spazi, nonché le responsabilità anche dal punto di vista degli oneri economici indispensabili alla messa in sicurezza e all’utilizzo dei luoghi. Nella costruzione del quadro generale non può – come invece avvenuto – essere escluso il coinvolgimento dei Consigli Circoscrizionali che, anche solo in termini di conoscenza dei problemi e dei bisogni della cittadinanza, hanno ampio titolo per concorrere ed esprimere gli indirizzi rispetto all’uso e recupero degli spazi. Un passaggio particolarmente importante, questo, che porrebbe le basi a uno sviluppo futuro dei rapporti tra queste attività sociali urbane e la realtà nella quale si inseriscono: un duraturo salto di qualità nella soluzione di situazioni di irregolarità, che innescherebbe processi di integrazione e formazione di valore aggiunto nei rapporti coi quartieri. Mentre escludere questo livello istituzionale, configurerebbe l’operazione, tutta, solo in quanto soluzione del conflitto tra occupanti e proprietà. Solo dopo aver superato questo essenziale passaggio, possono essere considerati a pieno titolo eventuali procedimenti attuativi, come quello tecnico della permuta.

Ulteriore, e per nulla banale aspetto di criticità, sono le citate stime economiche poco realistiche, derivate dall’applicazione di parametri econometrici (Agenzia delle Entrate) con scarsi corrispettivi alla situazione reale del mercato immobiliare, determinando valutazioni a forte rischio di contestazioni in caso di ricorso alla Corte dei Conti, con conseguenze pericolose per tutta l’operazione. Evadere questi passaggi, potrebbe significare anche involontariamente “travestire” da politica urbana ciò che non lo è affatto. Nel caso la proposta di delibera venisse approvata senza i necessari interventi correttivi, li rischio è di trovarsi, alla scadenza del mandato dell’attuale maggioranza di centrosinistra, con una situazione diversa solo dal punto di vista della proprietà dell’edificio occupato dal centro sociale (nel frattempo acquisita con risorse pubbliche), rinunciando di fatto allo sviluppo di politiche urbane di più ampio respiro, in grado di allargare la disponibilità di spazi sociali e contestualmente incrementare i processi di riconversione di ambiti urbani degradati.

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