Kevin Lynch: Piano e progetto della città percepita (1968)

Cosa significa un buon aspetto esteriore?

Il nostro primo problema è se l’aspetto di un territorio abbia importanza per gli abitanti, e come si possano adottare criteri di giudizio su cosa sia meglio o peggio. Le sensazioni che definiscono i limiti della nostre capacità biologiche — fa troppo caldo, o troppo freddo, o c’è troppo rumore — possono essere indici di disagio, in alcuni casi sul lungo termine, da effetti cumulativi di cui non si ha piena consapevolezza. Attraverso i sensi raccogliamo informazioni che poi organizziamo e convertiamo in base per l’azione. Se l’informazione è ambigua o falsa, non siamo in grado di individuare efficacemente i nostri obiettivi. L’ambiente funziona da mezzo di comunicazione sociale, attraverso il quale gli esseri umani scambiano vicendevolmente dati, sensazioni, valori, comportamenti graditi. In questo senso aspetto, odore, rumore, rappresentano la base del tessuto sociale. Abbiamo prove di quanto la forma dell’ambiente possa incoraggiare o frustrare lo sviluppo individuale. L’aspetto di ciò che ci circonda è senza dubbio cruciale per l’esperienza estetica, la gioia di avvertire il mondo immediatamente e intensamente, una esperienza che non appartiene solo a pochi privilegiati. In tanti diversi modi l’aspetto di un ambiente influenza i suoi utenti, e in moltissimi casi lo si può migliorare molto. Man mano sorgono questioni sempre più gravi di conflitto o sopravvivenza, se abbiamo il coraggio di andare oltre criteri di facile determinazione, i caratteri psicologici della città potranno diventare l’elemento centrale della sua progettazione fisica. Ma anche oggi sono certamente molto significativi.

Esistono chiare difficoltà ad applicare tali criteri. La percezione di un ambiente non dipende solo dalle forme visibili, dalla natura oggettiva, ma anche dagli individui, la loro storia, i bisogni, gli obiettivi, il contesto sociale. La medesima realtà può essere considerata in modi assai diversi da due persone diverse per classe, o capacità di osservazione, o necessità immediate. Le conseguenze dell’aspetto possono essere solo parzialmente prevedibili: esistono effetti pervasivi determinati dall’uomo in quanto organismo biologico; altri dovuti ai gruppi su base di classe, culture, storia ambientale, obiettivi, caratteri; altri ancora che variano anche molto a seconda delle idiosincrasie individuali. Il problema di rispondere a problemi comuni e frequenti di gruppi, contenendo il conflitto tra i vari gruppi o la tirannia degli individui, è caratteristico della progettazione ambientale, e non solo della questione di aspetto.

È facile scambiare bisogni o gusti specifici di un solo gruppo per un accettato standard estetico. Le attuali campagne di «abbellimento» riflettono i gusti delle fasce sociali medie e medio-alte, con la prevalenza dei caratteri di definizione, adeguatezza, schermature. La discarica, aborrita dal club del giardinaggio, per l’artista scultore è una miniera di forme. Un cittadino di ceto popolare può sentirsi attirato da segni vistosi di sicurezza, durata, novità, mobilità sociale, trarre piacere da forme che da esponenti di una classe più alta possono apparire rozze, brutali, volgari. Un buon ambiente è quello che soddisfa entrambi i gruppi, offrendo al contempo anche diverse possibilità per entrambi di allargare il campo delle aspirazioni. Dato che anche il progettista di solito appartiene a uno specifico gruppo, oltre ad avere un proprio carattere, una propria formazione, il suo giudizio intuitivo per quanto sofisticato può non coprire tutte le necessità. Il suo contributo alla società sta nella misura delle capacità di creare nuove prospettive, anziché fissare criteri o giudizi definitivi.

Tra i criteri si comprendono una serie di bisogni e luoghi anche dal punto di vista dei principi. Sottolineare alcuni aspetti o dettagli operativi necessariamente cambia al cambiare della situazione. E si tratta di una sottolineatura relativa al centro della valutazione finale. I criteri si correlano direttamente alle forme, così da poter comparare un progetto all’altro.La fonte migliore a cui attingere sarebbe quella della psicologia ambientale. In mancanza di quella, oggi possiamo trarre spunti dalla critica d’arte, da conoscenze professionali condivise, dall’esperienza individuale. Cercare indicazioni dalle decisioni politiche, o rivolgerci al giudizio qualificato delle associazioni di cittadini. Purtroppo, l’espressione pubblica di criteri sensoriali spesso appare, confusa, convenzionale, mal articolata, e in fondo poco rappresentativa. Il riferimento migliore al momento sembra lo stesso utente, osservato nelle sue scelte, interrogato nelle preferenze (questione piuttosto scivolosa), notato nei comportamenti (sia reali come avviene su una arteria commerciale, sia simulati come in un test di orientamento o simulazione immobiliare). Metodi, tutti, con riferimento all’ambiente attuale, mentre non sappiamo come un utente possa valutare qualcosa di cui non ha ancora esperienza.

Alcuni criteri percettivi

Può essere utile come verifica a spunto un elenco generale di criteri, che funge anche come orientamento di ricerca sul campo. Alcuni dei criteri sono immateriali e difficili da considerare sistematicamente. Impossibile usarli così come base di decisione pubblica comunemente accettata. Altri criteri si possono definire meglio e possono essere tranquillamente accettati. Ciò che sappiamo di questo secondo gruppo si riassume in:

1 – L’ambito delle sensazioni deve essere contenuto e non interferire con le attività delle persone: non troppo caldo, rumoroso, luminoso, freddo, silenzioso, carico o privo di segnali, troppo ripido, sporco, pulito. Clima, inquinamento acustico, informazioni visive, sono probabilmente i fattori critici. Questo ambito di accettabilità ha basi in parte biologiche, in parte culturali, e varia al variare delle diverse persone e dei loro diversi obiettivi. Ma in qualunque gruppo esistono ampi campi di condivisione su cosa possa essere sgradevole o insopportabile. Abbiamo informazioni specifiche sugli effetti di temperatura e rumore sulla salute o l’efficienza, dati che si possono aumentare. Tutti lamentano quanto siano disagevoli le nostre città.

2 – Entro questo ambito di tolleranza, diversità di sensazioni e spazi offrono all’abitante possibilità di scegliere cosa preferisce, cosa corrisponde meglio al suo gusto di varietà e qualità. La diversità è una base importante allo sviluppo cognitivo umano, se non addirittura alla base di un buon sistema percettivo e cognitivo. Più difficile definire quale sia una diversità adeguata, o gli elementi critici che andrebbero diversificati. In parte possiamo riferirci ai comportamenti di domanda e offerta, all’espressione di preferenza, per trovare quale tipo di preferenza le persone cercano oggi. Ma le scelte di oggi sono influenzate dall’esperienza passata e dalle possibilità percepite. Il progettista accorto propone nuove prospettive. Dato il basso livello di diversificazione ambientale nelle nostre città e l’ancora minore visibilità di quanto è diverso, verificata la nostra evidente fame di novità e la capacità umana di adattarsi, possiamo con sicurezza mirare a maggiore diversificazione ambientale, renderla più visibile, allargarne lo spettro sperimentando nuovi ambienti. Calcolando che gli esperimenti quando coinvolgono esseri umani devono essere condotti con cautela: novità e diversità potrebbero essere percepiti a volte come una minaccia.

La tattica più prudente parrebbe incrementare la disponibilità di ambienti diversi ma senza imporli all’utente, e poi monitorare i modi in cui gli utenti decidono di agire nei nuovi spazi. Possiamo provare a immaginare alcune varianti in questa ricerca personale: da luoghi più solitari ad altri di relazione per esempio; o da ambiti strutturati e definiti ad altri aperti ed elastici; da mondi tranquilli e lenti, ad altri veloci, complessi, stimolanti. Diversità non è problema di mescolare insieme un grande numero di varie sensazioni, piuttosto di costruire sub-ambienti ad elevata accessibilità e caratteri contrastanti. Un ottimo esempio è quello di un giardino appartato che si apre però su una strada molto trafficata. La diversità non deve solo esistere ma anche essere accessibile e percepibile come tale. Nel caso del giardino esempio, il cancello sarà aperto, e nessuno deve provare alcun timore a girare la maniglia.

3 – I luoghi nell’ambiente non devono solo essere diversi, ma possedere chiara identità percettiva: riconoscibili, degni di essere ricordati, vividi. Una via non deve apparire come tutte le altre vie. Ciascun luogo in un contesto più ampio non può differire radicalmente dagli altri; gli ambiti più importanti possono anche essere luoghi unici, ma gli altri variano in modo sottile. Si deve però trattare di una qualità, identità, «senso del luogo», che funga da pietra angolare di un gradevole ambiente dotato di senso. Senza questo l’osservatore non ricostruisce un proprio mondo, dato che non ne distingue e riconosce le parti. Esistono ampie zone della città contemporanea evidentemente piatte e grigie, che nascondono però forti differenziazioni sociali. Quando l’organizzazione spaziale è chiaramente individuabile, l’osservatore ha una base concreta per sviluppare un senso di appartenenza. Può iniziare a costruirsi relazioni: assaporare unicità di luoghi e persone; imparare e vedere (o ascoltare, o annusare). Si può verificare l’identità, evocandola o sul campo, la sua presenza o meno prevista nei progetti, simulando il punto di vista dell’utente. Il senso di identità dipende anche dalla conoscenza e da esperienze passate dell’osservatore, ed è possibile convogliarlo verso di lui indirettamente in simboli verbali. Ma aiuta concretamente molto anche l’insieme dei caratteri percettivi di identità simbolica. Il progettista sottolineerà particolari di forme o attività che riesce a individuare, inventare, stimolarne di nuovi. Saranno gli ambiti unitari caratteristici dentro cui gli esseri umani agiscono, o si organizzano psicologicamente nell’ambiente, oppure gli elementi ragionevolmente gestibili a conferire identità e carattere, a fissare le dimensioni strategiche su cui operare verso l’identità.

4. Le parti individuabili si dovranno organizzare in modo tale che un comune osservatore le possa mettere mentalmente in rapporto una con l’altra, comprendendone l’organizzazione nello spazio e nel tempo. Non si tratta di una regola universale, dato che esistono occasioni in cui pare auspicabile che parti dell’ambiente siano nascoste, misteriose, ambigue. Ma almeno in generale la cornice di riferimento di uno spazio abitabile, le correlazioni tra gli spazi pubblici, deve essere leggibile: immediatamente e nella memoria. Una struttura leggibile ha ovvio valore nel sostenere obiettivi pratici di orientamento e conoscenza, ma anche altri. Può diventare fonte di sicurezza emotiva, base di identità personale e relazione con la società. Sostenere senso civico e coesione sociale, diventare strumento per allargare la conoscenza del mondo. Aggiunge il piacere estetico di avvertire le correlazioni di qualcosa di complesso, sensazione vividamente avvertita dai molti a cui capita di contemplare un panorama urbano. È notorio il caos strutturale delle nostre regioni urbane che sta spesso alla base del nostro disgusto per la vita di città.

Una struttura per essere leggibile dovrà essere semplice e adattabile e conservarsi tale nel costante cambiamento urbano. Flessibile anche a sufficienza per consentire varie modalità di organizzazione degli ambienti (planimetrie, sequenze, schemi, in particolare. Deve essere concepita rivolgendosi sia al turista dallo sguardo curioso, sia all’abitante tradizionale che segue i suoi vari percorsi, a un rilassato passante occasionale. Gruppi diversi cercheranno diversi spunti da collegare a piacere: gli spazi del lavoro, angoli storici, negozi particolari, per esempio. Magari alcune componenti potranno essere comuni a tutti i gruppi: la rete principale di comunicazione, alcune basi funzionali o sociali, i centri di attività o simbolici principali, punti storici, organizzazione fisica, grandi spazi aperti.

San Francisco nello schizzo soggettivo di un’abitante, 1970

La leggibilità di un ambito può essere verificata sia sul campo che attraverso interviste agli abitanti. Abbiamo diversi spunti per la progettazione della leggibilità di grandi ambienti, specie attraverso le forme dei sistemi di circolazione concepiti in quanto sequenza e geometria comprensibile, ma anche con gli spazi aperti, nodi, quartieri importanti, tecniche di progetto che cercano forme semplici, prevalenza percettiva, articolazione e chiarezza degli snodi, maggiore chiarezza e ampiezza visiva, per esempio, con particolare interesse per ciò che conferisce più potenziale informativo, ha senso comune, potrebbe incrementare la leggibilità in modo strategico. La si può potenziare inserendo altri spunti informativi dentro il paesaggio visivo: collegare gli scambi telefonici a un riferimento spaziale, unire mappe e oggetti reali, dare nomi evocativi e rivelatori ai luoghi.

La leggibilità spaziale è forse l’aspetto più evidente di quanto stiamo dicendo, ma egualmente importante è anche quella temporale: sono tempo e spazio insieme le dimensioni dentro cui abitiamo. Dovremmo sapere non solo dove, ma anche quando stiamo, come l’adesso si lega al prima e al poi. Sottolineando i segni del tempo, delle stagioni, le cicatrici della storia o le intenzioni future, l’ambiente visivo può essere efficacemente sfruttato per rivolgere l’attenzione al passato, al presente, ai ritmi ciclici, al futuro con le sue speranze e rischi. Un modo comune di legare all’osservazione di frammenti del passato è la conservazione storica, ma nessuno ha mai prestato particolare attenzione a fare la stessa cosa coi tempi ciclici dell’ambiente (giorno/notte, inverno/estate, lavoro/vacanze, ad esempio), né ad ammortizzare o esplicitare meglio le transizioni (lo choc visivo della riqualificazione urbana per esempio), né a rendere visibile il futuro noto.

5 – L’ambiente dovrebbe essere percepito come ricco di significati: ovvero non solo composto di parti individuate e correlate tra loro nello spazio e nel tempo, ma che si relazionano anche ad alcuni aspetti della vita: il luogo naturale e la sua ecologia, attività funzionali, struttura sociale, sistemi economici e politici, valori ed aspirazioni umane, fino a idiosincrasie e caratteri individuali. La città è un enorme dispositivo di comunicazione: le persone ne leggono il paesaggio, cercano informazioni pratiche, sono curiose e influenzate da ciò che vedono. Le grandi città sono ambienti molto espressivi, ma nelle nostre l’informazione risulta spesso ridondante, o banale, o falsa, cancellata, illeggibile. Purtroppo il ruolo simbolico del paesaggio urbano è poco compreso, e confrontarsi col significato a livello collettivo risulta difficile, dato che valori e significati sono tanto diversi tra i vari gruppi sociali.

La leggibilità formale così come l’abbiamo schematizzata sopra rappresenta almeno la base comune su cui i vari gruppi possono costruire proprie strutture dotate di senso. È comunque auspicabile, rendere tale struttura visibile per lo meno congruente a quella funzionale e sociale, così che aspetti visivi corrispondano ad aspetti sociali, magari una torre a segnare dominandolo un nodo di intensa attività, o un punto di elevato senso simbolico. Si può qui usare efficacemente l’esempio di ciò che risulta visibile per a comunicare l’immagine di «territorio» o di «spazio dei comportamenti» dentro cui l’agire risulta regolato: le aree pubbliche, collettive, private; i luoghi del decoro e quelli dei comportamenti più liberi. Agire in modo adeguato e proprio è cosa che socialmente si apprende; ma marcare il territorio può ridurre disagio e conflitti da comportamento sbagliato. L’ambiente può esprimere anche organizzazione dell’agire nel tempo; la luce, le cose che cambiano forma, possono suggerire di comportarsi adeguatamente quando ciò risulta proprio. Più in generale, la convergenza del visibile e del socialmente convenuto, quando ciò risulta gestibile, favorisce l’azione e rende i diversi ambiti più comprensibili. Dentro la medesima logica, le forme assunte dalla città possono accentuarsi e diventare la base della caratterizzazione: colline, fiumi, pendenze.

Il progettista può confrontarsi più direttamente con quanto comunica in modo esplicito il paesaggio urbano; segni e simboli utilizzati dalle persone per parlarsi l’una con l’altra, utilizzando codici formali. Nonostante i segni della città siano indissolubilmente legati a fattori estetici, svolgono una importantissima funzione e aggiungono interesse e vitalità al paesaggio. Compito del progettista non è tanto di cancellare ma rendere più chiaro e regolamentare il flusso delle informazioni, così che alcuni segnali principali (come i segni del controllo pubblico) siano inequivocabili, ma anche far sì che il grande flusso delle altre informazioni venga trasmesso più facilmente all’osservatore, mantenendo pure la possibilità eventuale di ignorarlo. I segnali in sé rappresentano un efficace e relativamente poco dispendioso modo di accrescere identità, leggibilità, corrispondenza. Non solo possiedono chiarezza grafica del tipo che troviamo in certe città europee, ma è possibile pensare a strategie di posizionamento, tempi, visibilità rispetto al luogo che indicano. Si possono utilizzare consapevolmente per allargare la conoscenza della città da parte dell’abitante: localizzazione dei servizi (quelli importanti), la storia, il luogo e la sua ecologia, presenza di persone e ciò che fanno, flusso di traffico o informazioni, tempo atmosferico, orari, cosa accade e cosa accadrà. Individui e piccoli gruppi dovrebbero poter conferire messaggi se lo desiderano, e ciò deve essere considerato nei progetti e regolamentazioni, ad esempio per le strutture residenziali.

Se andiamo oltre la semplice corrispondenza e regolamentazione di comunicazioni esplicite, per rendere l’ambiente più ricco di significati, incontriamo numerose difficoltà. Talvolta risulta auspicabile aumentare la trasparenza del paesaggio urbano, dato che i processi economici e sociali sono sempre più nascosti alla vista. I cantieri edilizi sono tanto affascinanti perché sembrano uno dei pochissimi processi industriali liberamente visibili, e una ottima politica urbana potrebbe essere orientata a rendere altrettanto visibili trasporti, attività, incontri, celebrazioni. Si dovrebbero mettere a disposizione spazi pubblici in cui radunarsi, sfilare, vedere ed essere visti. D’altra parte c’è il rischio di intrusione nella privacy, di esporre persone o attività che scelgono invece di non essere esposte. In modo analogo, se vogliamo fare delle nostre città dei simboli della società e dei suoi valori, dobbiamo affrontare problemi come la diversità, di quei valori, oltre alla confusione e ai vuoti del nostro vocabolario simbolico (addirittura l’imbarazzo se dovessimo rivelare la società per quello che realmente è).

6 – L’ambiente svolge una funzione educativa per lo sviluppo intellettuale, emotivo, fisico degli individui, specie nell’infanzia ma anche negli anni successivi. Sono evidenti gli effetti negativi di certi ambienti molto poveri di contenuti. Possiamo riflettere sulle caratteristiche sensoriali delle città in grado di stimolare la crescita umana. Alcune di quelle accennate sopra paiono di un certo valore: diversità percettiva, leggibilità e significati, specie quando non appaiono immediatamente ovvi ma comunicano uno schema semplice, che si fa via via più complesso e sottile man mano lo si esamina più da vicino. Una situazione di «dispiegamento» abbastanza semplice da chiarire in generale, ma difficile da inquadrare e gestire a scala di città. Un ambiente urbano educativo spinge visivamente ad attenzione ed esplorazione, specie nei momenti in cui l’osservatore non ha un obiettivo predefinito, per esempio se è solo di passaggio, distratto, in attesa di qualcosa. Offre occasioni ai più piccoli di maneggiare direttamente quell’ambiente, costruirlo, rimodellarlo, anche distruggerlo. Alterna situazioni di forte stimolo a momenti di quiete e privacy. Può proporre choc visivi, ambiguità, rompicapo: sfidare l’osservatore a cercarsi da solo uno schema ideale.

L’uso dell’ambiente della città come strumento didattico è un tema affascinante, che va ben oltre il problema della forma sensoriale. Si è riflettuto e sperimentato troppo poco al proposito. L’argomento merita più attenzione, vista la quantità di questioni sociali che ruotano attorno al tema dell’istruzione. I criteri per un progetto urbano che ne derivano sono per ora scarsi e incerti. In un contesto visivo riuscito c’è molto più di quanto si possa concentrare nei pochi punti schematizzati sopra, ma continuare a definirlo meglio diventa sempre più difficile. Inoltre, se si riesce ad arrivare a un paesaggio accogliente, diversificato, individuabile, così come abbiamo definito quei termini, già abbiamo ottenuto le basi e gran parte dell’essenza di una bella città.

Mettendoli poi in pratica, questi criteri si devono convertire in indicazioni specifiche. Quando il rumore di fondo può superare una certa soglia salvo alcune occasioni l’anno, oppure quanto e come possano essere uguali o diverse e identificabili le arterie principali, o perché risulta illeggibile qualche essenziale informazione per tutti? Il tipo di questioni varia da luogo a luogo, dipende dall’ambiente, dalle necessità e valori dei cittadini a cui si rivolge, dagli scopi specifici della progettazione. Non abbiamo qui spazio sufficiente per trattare problemi complessi, come il modo in cui alcuni criteri (più in generale i criteri della trasformazione urbana) vengano gestiti nell’arco del processo di decisione. Certo i criteri sensoriali si intrecciano ad altri in parecchi punti, e devono adeguare e adeguarsi. Enfatizzare la visibilità per esempio, per una migliore gestione dei flussi di circolazione, o sviluppare e coltivare senso civico.

Raccolta di informazioni

Si devono raccogliere dati relativi all’aspetto della città prima di affrontare progetti e programmi. L’incertezza di cosa sia o meno rilevante a scala urbana, e cosa sia meglio fare in termini di analisi ed elaborazione, rende più difficile comprendere considerazioni visive nella progettazione. Il tipo di dati, il linguaggio con cui sono registrati, hanno poi sempre una influenza profonda sulle proposte. Tendiamo a scordarci che tante arti (architettura e musica solo per fare due esempi) possiedono linguaggi ben sviluppati da utilizzare per descrivere, plasmare forme progettuali simboliche, valutare, comunicare soluzioni e indurre processi di realizzazione. Sono economici e fluenti, concentrati sugli aspetti essenziali ma in grado di accogliere senza limiti complessità e variabili. Purtroppo per noi, il linguaggio dell’architettura è troppo dettagliato e limitato per diventare davvero utile a scala urbana. I dati sui caratteri sensoriali si possono utilmente classificare in: (1) qualità e organizzazione degli elementi sensoriali oggettivi e distinguibili; (2) sintesi dei medesimi elementi raggruppati in ambiti omogenei di informazioni; (3) descrizione dei meccanismi di osservazione e di chi è osservato: l’ambiente percepito e ricordato; (4) valutazione dei caratteri nella prospettiva di elaborazione dei criteri.

Elementi Sensoriali

Chiamiamo elementi sensoriali le particolari caratteristiche di una città significative per la sua percezione, registrabili con relativa oggettività da osservatori qualificati. La qualità degli ambienti si fonda su questo genere di materia prima. E in particolare la diversità si calcola a seconda della loro distribuzione. Le forme dello spazio sono una questione centrale per l’essere umano in quanto animale mobile. A scala di città dobbiamo confrontarci coi grandi spazi pubblici accessibili, sia aperti (tema piuttosto tradizionale della progettazione urbana) ma anche interni (ingressi, atri, corti, gallerie). Dobbiamo considerane posizione, proporzioni, forme e chiarezza di definizione, relazioni gli uni con gli altri. Potremmo anche voler rilevare il tessuto degli spazi attraverso un intero settore urbano: proporzioni e forme caratteristiche, anche indipendentemente dalla posizione. Tutti caratteri registrabili in un modello, diagramma bi-tridimensionale, sezioni longitudinali, visione sinottica, o isometrica. Si tratta di un tema noto e discusso, su cui disponiamo grande varietà di forme possibili. Siamo meno preparati a considerare questi spazi dentro un sistema a dimensione di città, anche se la leggibilità di un ambiente da quello dipende. La mobilità moderna e il tipo di uso rendono difficile mantenere una buona definizione di spazi aperti di tipo tradizionale. Sarà possibile specificare le caratteristiche di un sistema spaziale su un’area ampia senza controllare nei dettagli le forme dell’edificato?

Vitalità e attività visibile: guardare in azione le altre persone, eterna fascinazione per chiunque osserva, che conferisce significato e «calore» al paesaggio urbano. Di importanza analoga anche la visibilità della vita vegetale e animale. Diagrammi, modelli, foto significative e schizzi, possono ricostruire posizione, percepita intensità, ritmo e tipi di vitalità visibile. Una situazione in costante flusso, di cui sono particolarmente importanti i ritmi diurni, notturni, stagionali. L’attività visibile è qualcosa di diverso dalla funzione così come la definiamo correntemente in urbanistica: un luogo anche intensamente utilizzato può apparire vuoto o «morto». La disposizione delle attività rilevabili, la loro visibilità, il tipo di attori, le porzioni spaziali occupate, determinano la percezione soggettiva. E molti progetti urbani vengono concepiti senza pensare a questo aspetto essenziale.

Atmosfere: la serie di condizioni pervasive, traiettorie, rumori, microclima, odori. La luce è lo strumento di percezione visiva, e risulteranno sempre importanti i ritmi, intensità, intrecci della luce naturale o artificiale. Quella artificiale in particolare al giorno d’oggi offre tante possibilità inesplorate di colori, forme, sequenze di cambiamento. I microclimi prevalenti, su piccole zone, intensità, caratteri, ritmi del rumore urbano, interessano qualunque utente. Oggi si possono registrare con precisione, ed entro determinati limiti manovrare. L’odore, anche se si tratta di una sensazione più sottile, difficile da registrare, in qualche caso può risultare essenziale, e non soltanto nell’accezione negativa. Spazio, attività visibile, atmosfere, sono fattori chiave, ma ne esistono molti altri che vale sempre la pena di rilevare.

Visibilità: le forme degli elementi di paesaggio dominanti, e i luoghi da cui si guardano, orizzonte, pendenze del terreno, masse degli edifici. Si possono anche aggiungere le migliori posizioni di osservazione. Manovrare la visibilità è strumento piuttosto noto del progettista spaziale.

Superfici: descrizione generale dell’aspetto visibile e tattile di pareti e pavimentazioni, cosa avvertiamo della superficie abitabile, dei materiali di cui si compone l’ambiente: topografia, terra, sassi, pavimentazione e altro. Gran parte della superficie urbana è di proprietà e controllo pubblico, mentre i cittadini si organizzano dentro quello spazio. La cui composizione è piuttosto rilevante. […]

Sistema di sequenze: l’ambiente è qualcosa dentro cui ci si muove: la continuità visiva, il ritmo degli eventi, tutti gli individuali obiettivi e decisioni, indicano un certo percorso (in auto, mezzo pubblico, pedonale …), e una sequenza di spazi, vedute, movimenti. Inoltre la rete dei percorsi va analizzata in quanto sistema, comprendendone forme, coerenza, ritmi, e i rapporti tra le singole parti. Si tratta di un aspetto piuttosto nuovo, su cui sviluppare linguaggi diagrammatici. Le informazioni si possono registrare secondo particolari modelli o riprese cinematografiche. Vanno annotate le variazioni sia cicliche che su tempi più lunghi. E col crescere della mobilità dei cittadini aumenta l’importanza del sistema delle sequenze

Immagini

Per capire la qualità di un ambiente dobbiamo considerare tra osservatore e ciò che viene osservato. E qui le nostre tecniche di analisi iniziano ad essere meno definite e probabilmente dovranno essere riviste in un futuro prossimo. Studi di questo tipo iniziano con indagini sul campo, che semplicemente rilevano intuitivamente alcuni caratteri dell’osservatore, ma poi devono sempre più confrontarsi su un campione di opinioni, sull’osservazione di comportamenti reali o simulati, sulle modalità di percezione dell’ambiente e le sue attribuzioni di significato. Altrimenti, il tipico sbilanciamento soggettivo del progettista finirà per distorcere le informazioni. Possiamo chiamare questo insieme delle immagini, o delle descrizioni di come viene percepito l’ambiente. Che direttamente ci orientano ai nostri criteri.

Oggetti significativi: un inventario di oggetti o località particolari, o comunque considerati significativi da certi gruppi si persone, dagli edifici e spazi storici, a caratteri spaziali di qualità progettuale, sentimentale, simbolica. Inventario che serve soprattutto al lavoro di conservazione.

Territorio: suddividere l’ambiente locale in porzioni spazio-temporali simbolicamente controllate da alcuni individui o gruppi, o da certi comportamenti caratteristici: territori privati o pubblici; aree più libere, dove impera un certo decoro, proibite, selvagge, tranquille. Una suddivisione particolare (e particolarmente utile) a partire da un tema più generale.

Immagine collettiva: la differenziazione e struttura (generale o di larghi gruppi) dell’ambiente, organizzata su quartieri, centri, percorsi, margini, riferimenti, il tutto fissato su vari ambiti di memoria, verifiche, rilevamenti. Qui si possono verificare i criteri di identità e leggibilità. Ed è possibile aggiungere informazioni su come l’immagine stia cambiando.

Valore e significato: attraverso verifiche e interviste, anche ricorrendo a rilevazioni già effettuate, o osservando i comportamenti, di possono raccogliere informazioni su valori e significati che osservatori di varia provenienza e gruppi conferiscono a ciò che li circonda. Aspetto importante quanto difficile da analizzare, poco studiato sistematicamente sinora.

Valutazione

Tutti i materiali raccolti diventano utili solo se si organizzano in categorie di giudizio, adatte a decidere e progettare. Qualunque insieme di dati deve essere espresso in testi e diagrammi tali da restituire i problemi, le potenzialità (positive e negative), i punti di forza dell’ambiente percepito dagli utenti, alla luce dei criteri prescelti. Il tipo di dati influenza la scelta dei criteri e viceversa. Una valutazione critica può evidenziare come alcuni obiettivi siano improbabili o non verificabili, o ne può individuare di nuovi imprevisti. Se si opera in scarsità di risorse o tempo, il metodo più efficace può essere di individuare problemi e possibilità direttamente sul campo, evitando così una raccolta di informazioni più sistematica. I dati sugli aspetti sensoriali più direttamente riferiti ai problemi essenziali si possono raccogliere selettivamente. Il giudizio di valutazione si organizza in forme adatte al progetto, indicando i gruppi di problemi, le principali opportunità, la forma latente, i punti nodali su cui intervenire, e via dicendo.

Una delle difficoltà nel confrontarsi con l’aspetto percepito delle città è l’assenza di un linguaggio sviluppato e condiviso comunemente accettato per rilevare su quella dimensione le sensazioni e il contesto in cui esse si manifestano. I mezzi convenzionali possono essere utili in certi casi (microclima, visibilità, oggetti significativi) ma in altri è necessario usare nuove tecniche (sequenze, immagine collettiva), e in altri ancora si tratta di creare nuovi linguaggi (luce, elementi focalizzanti, significato). Nella maggior parte dei casi dovremmo evolvere un linguaggio utile sia alla descrizione che alla progettazione. Le informazioni in sé classicamente si rilevano sul campo, ma si stanno sviluppando nuove tecniche di interviste, osservazioni di comportamenti, uso di modelli di simulazione. In futuro, potremmo riuscire ad archiviare questi dati non solo in forma di testo e illustrazioni, ma attraverso riprese cinematografiche, modelli o diagrammi in continua evoluzione, banche dati visive accessibili col computer, in grado di restare aggiornate sulla percezione sensoriale, con sequenze visive da punti particolari o più distribuite, così da consentire il recupero di una visione da qualunque punto o simulare un percorso.

Quello che abbiamo provato a descrivere è un elenco teorico di contenuti. Nessuno sano di mente come ovvio raccoglierebbe tutti questi dati come metodo standard. Anche se serve sempre qualche valutazione preventiva, tutti i punti si affrontano o no secondo il caso. In genere, le analisi e rilevazioni si concentrano sugli aspetti più rilevanti per le politiche pubbliche, le dimensioni di intervento, il problema particolare, i criteri essenziali (e per converso progetti e criteri si devono in qualche modo uniformare sugli aspetti per cui esistono informazioni). Le dimensioni dell’ambito, per fare un esempio, indicano quanto il tipo di pavimentazione possa essere importante. Una indagine si concentra sulla segnaletica perché è realisticamente possibile controllarla ed è oggetto di conflitto. Una ricerca sui trasporti segue in particolare il sistema delle sequenze, e una analisi sul lungo termine si orienta all’immagine collettiva, ai valori che il pubblico conferisce agli elementi.

La disponibilità di informazioni sensoriali deve inserirsi in un complesso di altri dati, così che le risposte alle varie domande possano essere utilizzate in una indagine origine-destinazione, e comparate o unite ad altre statistiche di area. In passato, le informazioni visive erano raccolte come se si trattasse di qualcosa di particolare e diverso da tutte le altre, col risultato di assumere una forma impossibile da sfruttare dentro una decisione generale. Al contrario, il dato sensoriale può essere rilevante per parecchie questioni. La qualità delle sequenze visive si poggia sui flussi di traffico e la sicurezza; l’identità visiva influisce sui valori di mercato; gli stimoli hanno effetti sulla salute, e via dicendo. C’è bisogno di una costante raccolta e sistematizzazione dei dati sull’aspetto percepito della città, per quanto necessariamente semplificata e selettiva. Dato che l’apparire dipende tantissimo da condizioni mutevoli come l’attività o la luce, oltre che dal tipo e atteggiamento dell’osservatore, si tratta anche in sé di un fenomeno in continua evoluzione, che richiede costante ri-analisi. Gli uffici responsabili devono essere consapevoli di modifiche percettive inserite da altri enti, in particolare guardare al proprio compito in modo realistico. Se esiste un piano in corso per sistemare piante invasate sulle vie del centro, che trasformazioni visive ha indotto, e come le considerano gli utenti? L’assenza di interazioni di questo tipo pare assai più grave nelle trasformazioni urbane che in quelle edilizie.

Progettare la forma sensibile

Il progetto già di norma non riguarda solo finalità visive, e non si limita a nessun singolo scopo. Ma in due particolari casi possiamo effettivamente parlare di «progetto sensoriale». Nel primo caso, si disegna confrontandosi soprattutto on un sistema prevalentemente visivo, dove altri fattori assumono importanza secondaria o si possono comunque affrontare facilmente risolvendoli con un po’ di buon senso. Ciò succede però solo in una minoranza di situazioni a scala di città, anche se può presentarsi certo nel caso di spazi per eventi pubblici e esposizioni, o posa di verde, pavimentazioni, illuminazioni artificiali, individuazione di punti panoramici. Può presentarsi una situazione simile quando ci sono di mezzo altri importanti interessi, e dove il fattore sensoriale viene giudicato critico. Sistemi di segnaletica o controllo sulla silhouette della città, regolazione del microclima o riduzione dell’inquinamento, sistemazione di un’area ricreativa, possono essere buoni esempi. In questi casi, pare talvolta giustificato progettare prima per ciò che è sensoriale, e poi verificare se gli altri aspetti sono coerenti, esattamente come si fa (spesso sbagliando) quando progettiamo uno spazio a partire da considerazioni economiche, o tecniche, e solo poi adeguando a fattori sociali o percettivi.

Nel secondo caso, un progettista che affronta un piano complessivo può misurarsi con le componenti singole una alla volta, almeno finché non ha colto meglio il problema di insieme. Può concentrarsi su alcuni criteri (i bassi costi, ad esempio), o alcune componenti (il sistema dei trasporti), o determinate dimensioni (l’isolato), e sviluppare schizzi di progetto focalizzati su una sola componente. È un metodo comodo per verificare le implicazioni dei vari fattori, e studiarne la possibile composizione. In questo modo, il progettista può sviluppare un sistema di sequenze visive per un’area, anche prima di guardare i flussi di circolazione, o affronta la questione silhouette prima di quelle dello spazio definito, o ancora costruirsi una struttura di immagine ideale restando in sospeso suglia spetti funzionali. Per quanto possa apparire strano, tutto questo non è per nulla più discutibile dell’approccio contrario. Ne risultano delle specie di caricature, che evidenziano pur in forma esagerata, e sono utili come passaggi intermedi verso un progetto integrato.

Ma eccetto che per questi casi la progettazione non può trattare gli aspetti sensoriali da soli. Il «piano-progetto» è assurda tautologia. «Abbellimento» orribile parola con sfumature di falso. Ma un buon progetto tocca sempre le qualità sensoriali del proprio ambito, e solo in situazioni molto particolari si tratta di qualità di importanza minore. Dunque il miglior linguaggio del progetto è quello che esprime tutti gli aspetti rilevanti di qualcosa, come se un disegno di architettura potesse contemporaneamente comunicare estetica, struttura, ed entro certi limiti funzione. Il progetto di spazi ampi è troppo complesso per potersi concentrare in una sola immagine, e quindi ai diagrammi di distribuzione delle attività o densità strutturale o flussi di traffico si possono unire quelli di organizzazione spaziale, illuminazione, punti significativi. Nessun diagramma rappresenta un’idea di progetto a sé. Tutti sono aspetti particolari di un solo schema integrato, e quando cambiano lo fanno insieme.

Gli aspetti sensoriali non si comunicano solo in forma grafica. Possono esprimersi in parole, là dove esse appaiono adeguate, dentro scelte più generali, o nella descrizione di azioni in sequenza con varie alternative. Purtroppo le nostre astrazioni verbali (tanto spesso quanto quelle grafiche) non aderiscono precisamente ai caratteri visivi intesi. Il linguaggio è pieno di generalizzazioni ambigue: adeguato, armonioso, equilibrato, adattabile, una giusta cornice e così via. Un progetto di spazio non deve comprendere specificazioni precise su forme e materiali. Spesso è più comodo e flessibile predisporre un «programma sensoriale». Cioè, il progetto stabilisce che vi debba essere una struttura riferimento in un nodo importante, con attività visibile, facilmente identificabile e che spicca sull’intorno, si nota sin da oltre un chilometro di distanza da quel nodo di traffico, e ha una forma tale da poter distinguere le varie direzioni di avvicinamento. Ecco un programma visivo che si può esprimere in varie forme particolari, secondo i bisogni contingenti e le capacità del progettista. Il concetto di un ambito vasto può quindi contenere uno schema spaziale di caratteri visivi di qualità, o altri indirizzi riguardanti aspetti come il rapporto tra spazio e forme, visibilità, trame, attività visibili, movimento visibile, segnaletica, rumore, luce, microclima. Tutte queste caratteristiche saranno espresse verbalmente, su diagrammi, o meglio ancora in un modello.

Il progetto specificherà solo le forme generali. Collocherà i percorsi principali decidendo il ritmo delle vedute, i punti migliori, assi visivi e ostacoli, i riferimenti, gli ambiti più caratterizzanti e i margini tra l’uno e l’altro, le forme degli spazi aperti dominanti, superfici e masse. Su questi grandi elementi organizzati in un certo modo nello spazio si organizzerà un programma visivo. Tutto dentro un progetto comprensivo, che affronta oggettivamente attività, flussi, forme oggettive dello spazio. La forma sensoriale prescelta dipende dagli obiettivi, così come gli altri aspetti del progetto. Si predisporranno anche alternative perché possano essere pubblicamente valutate. Diversi gruppi di persone esprimo interessi diversi, da considerare ed esprimere. Le forme visibili sono un argomento di dibattito politico, non un sacro feticcio.

Al momento, sembra questo il modo più adeguato di confrontarsi con la forma sensibile su larga scala. Lo si può utilizzare dalle dimensione del progetto di ambito fino a quella di regione metropolitana. Anche se in realtà abbiamo sperimentato pochissimo in esempi pratici quella tecnica, ci mancano esperienze concrete di verifica dell’efficacia. Basta qualunque pressione per spingerci verso i metodi più noti del site planning, dove si specificano le forme esterne degli edifici, c’è lo schizzo della «concezione artistica» a comunicarci caratteri e atmosfere attraverso un dettaglio (di solito fuorviante), o qualche affermazione verbale di politiche generali, in genere ambigua. Metodi vecchi, utili in determinate situazioni, come il site plan dove di fatto prevale su tutto la forma controllabile degli edifici.

Diventa meno affidabile se lo allarghiamo a scala più ampia: non si può concepire una città come si penserebbe a un singolo isolato, modellare forme tridimensionali come se si trattasse di una scultura. Però è possibile progettare una intera regione urbana come costellazione di individuati punti focali connessi a rete da chiari percorsi, oppure intesa come mosaico organizzato su quartieri visuali, o ancora dorsale di masse e attività innestate su un fattore spaziale, o griglia coordinata di sequenze visive. Le specificazioni di forme necessariamente diminuiscono al diminuire della scala di progetto. Se si opera a dimensione metropolitana si tratterà di programmi visivi, schizzi illustrativi e criteri per situazioni tipo, la localizzazione di elementi visibili fondamentali. A scala di quartiere il progetto può comprendere site planning, posizione esatta e prestazioni visive degli elementi, fino alla definizione di dettaglio di punti cruciali.

Progetto urbano

Progettare a scala urbana, nel senso comprensivo del termine, di cui le tecniche esposte sopra rappresentano solo una parte o considerazione parziale, è argomento troppo vasto da poter essere esaminato qui. Prefigurare la trasformazione della città o dell’ambiente significa confrontarsi con gli schemi spazio-temporali di attività umane e organizzazione fisica, considerarne sia gli effetti socio-economici che psicologici (di cui fa parte l’aspetto sensoriale). Concetti e tecniche per gestire questo schema complesso non sono ancora del tutto definiti. L’ambiguità del nostro sistema grafico di rilevazione, la sua assenza di inclusività, è sintomo di inadeguatezza. Né appaiono chiaramente definiti gli scopi per cui si tenta di costruirne uno, o la loro correlazione. Il nostro vocabolario delle forme della città è povero, e conseguentemente forte la necessità di idee innovative. Appare comunque chiaro che la forma della città sia un aspetto critico dell’ambiente umano, e dobbiamo progettare.

Progetto e Sistema

L’idea di progetto è quanto di solito si chiama «urban design» oppure «componente progettuale» dei piani urbani. Certamente meglio sviluppata dell’idea a scala urbana. Abbiamo solide esperienze coi suoi vari aspetti, un ricco vocabolario di forme, una storia di successi e fallimenti, una serie per quanto incompleta di principi. Siamo abituati a formare professionalmente i progettisti a confrontarcisi. Il system design è simile al project design nella concretezza di programmi e tempi, ma riguarda oggetti che possono stare in posti diversi, e non comporre l’ambiente di nessuna area. È un modo di ragionare a cui è abituato per esempio il designer industriale. Qui noi possiamo solo indicare lo spazio di azione nell’ambiente della città, e discuterne i rapporti con la progettazione urbana vera e propria.

Le aree più classiche per il project design nella città sono viali, centri di incontro, parchi, strutture culturali, sponde di corsi d’acqua, quartieri ricchi di giardini. Si tratta in gran parte di spazi da tempo libero, oppure per una «fascia amministrativa alta»: luoghi di rappresentanza, musei, chiese, scuole. Ciò comporta una certa gerarchia di attività, l’idea che in qualche misura il resto della città debba essere meno curato perché di «utilità pratica». Nel caso dei quartieri con molti giardini si prova a comprendere tutti gli aspetti dell’attività umana, ma fuori da quella eccezione è evidente lo squilibrio, fino all’idea contemporanea che un certo progetto di qualità debba riguardare solo qualche evento particolare, o i luoghi dove pesa un certo gusto borghese. In alcuni casi pare non interessi più a nessuno, come nei viali o nei centri civici. In altri sopravvive: parchi, quartieri coordinati di nuova realizzazione, grandi trasformazioni a uso collettivo, anche se le modalità cambiano.

Il progetto di un nuovo quartiere o di un campus stanno in bilico tra la modalità del project design e del city design. Sono caratterizzati da una consuetudine a un controllo centrale delle forme, su una area ben definita (per quanto ampia), da un dichiarato programma (per quanto spesso sbagliato). Ma l’arco di tempo su cui opera il progetto e la complessità dei suoi elementi lo rendono più simile al modo del city design. Alcune delle nostre migliori capacità oggi operano proprio in queste zone ibride, dove si evolvono nuove idee di city design, come la gestione della futura flessibilità, l’uso della posizione delle attività come effetto visivo, la costruzione di una cornice quadro al progetto dei singoli edifici, una attenzione critica alla circolazione e così via. Mentre invece il modo del project design in senso stretto si concentra sui centri commerciali, le trasformazioni residenziali suburbane o urbane, piazze o altri tipi particolari di spazi aperti, luoghi di tutela storica o naturale. I programmi pubblici di rinnovo urbano hanno aperto nuove occasioni al project design, in particolare per abitazioni a densità medio-alte e sostituzioni parziali di aree centrali terziarie. Da queste esperienze stiamo apprendendo molto sulla progettazione.

Inevitabilmente, tutte queste tematiche progettuali sono destinate a cambiare e spostarsi a seconda delle mode e delle evoluzioni sociali o possibilità. Possiamo solo immaginare per esempio un ruolo maggiore per la progettazione di sistema, come avviene nelle illuminazioni, segnaletica, localizzazione di aree per case mobili, reti di spazi aperti, mobilità automobilistica, pedonale, dei mezzi pubblici. Speriamo in maggior attenzione per le questioni ambientali più urgenti sinora considerate solo collaterali al progetto, dallo slum alle «zone grigie» alle fasce commerciali stradali o ai complessi industriali. Anche il progetto di nuovi quartieri urbani o suburbani potrebbe sviluppare una questione «nuove città» e così torniamo al punto di partenza. Pensando al progetto su aree di trasformazione prima considerate impossibili: montagne, deserti, la superficie dell’acqua, la tundra artica, terre incolte.

La correlazione tra project design e city design è sempre un punto cruciale. Chi considera a scala di città può farlo da distanze tali dalle realizzazioni, sino a individuare strategie impossibili da attuare, o tali da produrre risultati inattesi e indefinibili. Mentre chi ragiona a scala del progetto può danneggiare gravemente altre aree. Sia le politiche dello Urban renewal che la progettazione di campus ci forniscono parecchi ruvidi insegnamenti sulla necessità di meglio coordinare le due scale. Sin quando non avremo sviluppato maggiori capacità, l’unica indicazione possibile è che i due livelli si debbano in qualche misura sovrapporre. Ovvero che il city designer, nel predisporre la propria cornice generale, verifichi le proprie idee in forma di progetti illustrativi o comunque si confronti con l’attuazione. E viceversa (cosa ancora più rara) che il project designer consideri le conseguenze della sua particolare soluzione sulla forma generale della città. Entrambi dovranno dunque avere qualche conoscenza delle tecniche dell’altro. Dato che la scala urbana viene raramente considerata materia di insegnamento, e molti di quanti la praticano provengono dal progetto (architettonico o di paesaggio), si tratta prevalentemente di un percorso in una direzione. Ma anche migliorando il mutuo riconoscimento, restano gli ostacoli di ruolo da i due punti di vista, i valori istituzionali a volte divergenti a cui rispondono, con formidabili difficoltà da superare.

Politiche pubbliche e aspetto della città

Nella storia non mancano certo tentativi di controllare l’aspetto della città. Di solito tentativi non riusciti. In alcuni casi il successo è stato garantito da una forte autorità centrale, o in molti piccoli centri antichi prodotto dallo stimolo delle tecniche semplici, dal seguire più una consolidata abitudine che un consapevole progetto. Oggi questi storici vincoli hanno pochissima forza di orientamento. I progetti riusciti a scala urbana caratteristicamente si limitano ai casi simbolici di palazzi, piazze, monumenti religiosi, complessi rappresentativi o spazi di parata. E pochi ci interessano qui direttamente. Oggi pensiamo a progettare quartieri residenziali suburbani per le fasce più alte, centri commerciali, qualche campus, o parco, o piazza. Molti nostri sistemi di controllo ci sono sfuggiti di mano mancando l’obiettivo, o hanno subito l’effetto dirompente del mercato o dei conflitti politici. Altri tentativi di controllo — norme «estetiche», specificazioni stilistiche, comitati di indirizzo – spesso hanno solo bloccato l’innovazione. E gli «Studi di progetto» che si allegano ai piani urbani vengono redatti separatamente da specialisti. Sono esortazioni prive di effetto sulle vere decisioni di trasformazione. Mentre cresce la domanda collettiva di ambienti migliori, si accumula la pressione nella caldaia della politica. Esistono probabilmente tre metodi per gestire l’aspetto della città: il progetto vero e proprio, le regole, l’influenza. Esaminiamoli in questo ordine.

Progetto

Il progetto o direct design ha come presupposto una autorità centrale che specifichi le forme da far assumere all’ambiente. Operazione possibile se la scala del progetto è commisurata. Se la scala è urbana la questione è dubbia, servirebbe un potere immenso e sovrumane capacità di previsione. In quel modo venne concepita la Città Proibita di Pechino, o Fatehpur Sikri in India, l’area centrale di Le Havre o Brasilia nella nostra epoca. Tanti architetti sognano di progettare città col metodo che si usa per un singolo edificio. Anche lasciando perdere la questione dell’immenso potere politico decisionale che ciò comporta, il solo livello tecnico – la squadra di lavoro, le capacità, l’informazione – fa venire le vertigini. Fallimenti o veri disastri paiono inevitabili. Anche in passato era assai più frequente concentrare il progetto sulle forme esteriori di alcuni elementi chiave, dalla piazza pubblica agli affacci di una importante arteria, lasciando il resto all’iniziativa singola e privata. È stata la strategie seguita da Sitte, o da Haussmann, l’idea portante del movimento City Beautiful. O anche oggi con progetti come la Pennsylvania Avenue (Washington, D.C.). Là dove la posta in gioco appare elevata, e l’autorità è disponibile a usare il proprio potere, si tratta di una strategia efficace, in un nodo o percorso simbolico. Ma non c’è speranza di controllare l’aspetto esteriore di una intera città con quel metodo.

Il lavoro progettuale si deve concentrare su quelle componenti di solito competenza dell’autorità pubblica: uffici postali, municipi, ospedali, scuole, vie e viali, trasporti pubblici, parchi. Costituiscono una porzione importante del paesaggio urbano e comunque li si deve in qualche modo progettare. Purtroppo accade anche che le varie branche della pubblica amministrazione si dimostrino più impermeabili ad accettare il progetto di qualità degli stessi costruttori privati (che hanno qualcosa da guadagnarci dalla cooperazione in termini di mercato), ma resta vero che una buona progettazione pubblica, specie di elementi comuni come vie e spazio aperto, ha valore strategico per l’aspetto della città. Poi manutenzione e rinnovamento risultano ancora più importanti del progetto originale. Investimenti, energia, capacità vanno erogati regolarmente. Le zone pubbliche di tante città europee, o il ripristino del sistema del verde di New York oggi in corso, costituiscono straordinari esempi di cosa può fare una buona politica di gestione, un innovativo ripensamento, le luci, gli abbellimenti.

È poi possibile progettare direttamente alcune aree, là dove siano già state delimitate e programmate in quel senso. Le politiche di urban renewal, in particolare, ci offrono questa possibilità, oppure l’espansione di alcuni enti. Se i risultati correnti paiono caotici o poco vitali, ci sono ragioni per sperare in un miglioramento man mano cresce la consapevolezza dei progettisti. Troppo spesso si concepiscono quegli spazi come insieme di edifici senza alcuna relazione. E purtroppo si tratta anche di spazi di solito piccoli organizzati a patchwork. Dove la superficie è maggiore, come ai margini dell’area urbana, c’è relativamente più potenziale. Infine (si tratta di una tecnica ancora poco usata dalla pubblica amministrazione) è possibile progettare sistemi (di strade, corridoi, reti pedonali o spazi aperti, illuminazione notturna), o sviluppare prototipi ripetibili per problemi frequenti (un nodo commerciale local, un piccolo parco, un’area di sosta roulotte), o migliorare ciò che Maki chiama group forms: elementi che è possibile ripetere variandone alcuni dettagli, e il cui flessibile accorparsi riesce a produrre variazioni formali armoniose.

Un esempio di queste ultime è l’aggregazione di case a schiera, o la caratteristica visuale (e corrispondentemente funzionale) di tanti vecchi centri derivante dall’uso coerente di queste group forms. Anche oggi esistono forme standard a caratterizzare la gran massa delle trasformazioni. L’intervento sui gruppi di edifici, nei sistemi, nei prototipi standard, è uno dei metodi con cui un ente centrale può agire sull’aspetto della città, un intervento di grande importanza per il futuro. Per ragioni che vanno ben oltre quelle dell’aspetto poi ci deve anche essere molto più controllo pubblico sui suoli e le trasformazioni, in questo paese. Ma qualunque la situazione, rileviamo che scegliere buoni progetti, programmare la visibilità, i sistemi, i prototipi standard, coordinare e controllare, rappresentano tecniche fondamentali per la gestione di spazi complessi, delle funzioni, dei vari operatori.

Regolamentazione e revisione pubblica

Il controllo visivo delle forme può essere a dimensione di area, simile nel principio alle prescrizioni urbanistiche di zona, o anche inserito in esse. I limiti alle altezze di Washington ne sono un esempio, come pure ne sono uno le specifiche dei materiali utilizzabili nei nuovi edifici, gli arretramenti sugli assi principali, le norme sulla segnaletica, i limiti ai rumori o all’intensità delle luci. Regole che si applicano a scala di città, o comunque su ampie zone di essa, a volte raggruppate per funzione analoga. Tutte le norme di trasformazione — dallo zoning, alla divisione in lotti, regolamenti edilizi e antincendio — hanno effetti sull’aspetto. Densità, localizzazione edilizia, spazi aperti di pertinenza; geometrie applicate a strade, isolati, lotti edificabili; norme sui parcheggi, segnaletica, verde, recinzioni, movimenti terra, rumori, tutto ricade in considerazioni e giudizi di tipo sensoriale. In particolare, l’esposizione della norma non deve essere tale da ostacolare buoni risultati visivi, come spesso accade per pura incapacità. Le regole normalmente convergono tutte verso un singolo oggetto: l’edificio, o lotto edificabile. Diventeranno più efficaci se faranno riferimento a gruppi di oggetti, come avviene nello zoning per raggruppamenti, o quando si vogliono integrare vari fabbricati. Appare essenziale, come avviene coi progetti, spostare le regole dal singolo oggetto al sistema.

I controlli su una ampia area devono necessariamente essere semplici, e riguardare anche aspetti non-visivi, anche se la ragione resta comunque estetica. Magari non produrranno l’ambiente perfetto, ma si previene il peggio e si assicura una certa coerenza. Certo se sia possibile controllare indirettamente le forme, e realizzare così una armonia visiva senza interferire con la flessibilità dei singoli progetti, resta un po’ una questione fine a sé stessa. Una risposta è nel concentrarsi su specifici elementi salienti, per esempio forme e materiali della copertura. Un’altra sviluppare un abaco di forme materiali colori consentiti, che si possano combinare poi a piacere, ma siano predisposti per andare insieme. Entrambi gli espedienti su usano in situazioni a forte controllo, come l’intervento pubblico di rinnovo urbano o la trasformazione effettuata da un solo operatore. Recentemente, si sono utilizzati controlli particolari per certi luoghi, dai riferimenti urbani a mantenere aperte alcune visuali. È possibile acquisire una sorta di servitù visiva, o tutelare gli immediati paraggi di un monumento, o imporre specificamente certe norme a un lotto in una posizione di elevata visibilità. Ciò comporta qualche tipo di compensazione per gli svantaggi alla proprietà.

Quartieri e monumenti storici rappresentano il tipo di controllo più noto, utilizzabile là dove già esista qualunque carattere particolare, quindi con lo scopo di tutelare ma non costruire. Di norma viene conferito a una particolare commissione il compito di esercitare diritto di veto su alcune forme di trasformazione esteriore nella zona. Pare davvero opportuno modificare le norme visive a seconda dell’area, coprendo tutta la città, per sottolineare le varie identità e adeguare meglio forme e significato di ciascun luogo, anche se in realtà non si è mai sperimentata una serie di meccanismi di controllo sofisticati. Le verifiche si possono effettuare in modo elastico utilizzando gruppi di revisione. Consigli che esaminano progetti di trasformazione e danno orientamenti consultivi, oppure negano autorizzazione per alcune forme. In quest’ultimo caso anche il diritto di veto può essere graduato. Normato da regole amministrative o lasciato al caso per caso. Una certa discrezionalità riesce anche ad affrontare situazioni particolari e assorbire potenzialità, assumendo un ruolo propositivo anziché vincolante. Comunque l’energia amministrativa che si consuma n ciascuna decisione è tanta, e organismi del genere possono anche diventare meccanici e arbitrari.

Per queste ragioni è impossibile decidere su ogni forma di ogni trasformazione della città, le capacità di giudizio cederebbero al carico di responsabilità. La revisione si deve limitare ad alcuni punti strategici: zone storiche, nuclei di importanza, spazi di alta visibilità, o aree in cui un deciso controllo risulta semplice, come negli edifici pubblici o le trasformazioni di urban renewal. È poi rischioso conferire agli organismi di revisione troppo potere sulla sola base della propria discrezionalità di giudizio, eccetto forse nei casi di conservazione, o di un gruppo costituito temporaneamente per un caso particolare. Di preferenza il lavoro di questi organismi dovrebbe essere guidato da una serie di criteri. Ed è qui che un programma visivo diventa particolarmente utile. Se il piano generale contiene orientamenti chiari sugli obiettivi visivi dei vari spazi della città, allora anche le decisioni dei revisori si possono basare su quelli. E anche prima dell’esame dei progetti possono fungere da guida persuasiva per costruttore e progettista.

Le revisioni nella maggior parte dei casi vengono fatte nel momento della decisione definitiva quando un progetto è completo. Quando cambiare diventa più difficile e lo scontro può essere molto duro. Il processo diventa più efficace se inizia già dalle prime fasi di progettazione, quando si formula un programma e si delineano schemi. Cambiare non costa così tanto, e si possono introdurre interessanti nuove idee. Scambi di opinioni informali, persuasione, se usati in modo elastico sul progetto mentre esso di sviluppa, paiono la tattica migliore. La revisione è un modo utile per controllare le forme visive. Si deve limitare ad alcuni luoghi essenziali e tipi di trasformazioni, e deve avvenire durante il processo di progettazione anziché alla fine. Preferibilmente dovrebbe basarsi su un’idea visuale generale prestabilita. Sarà più efficace come procedura consultiva, salvo nei casi di tutela e conservazione o particolare interesse pubblico. La funzione può essere svolta sia dai normali uffici pubblici o dall’ente preposto al rinnovo urbano, sia da un apposito organismo nominato separatamente.

Una entità pubblica può anche influenzare efficacemente la qualità spaziale intervenendo sulla scelta dei progettisti che opereranno nei dettagli. Si tratta di una influenza sia ufficiosa, con orientamenti e azioni indirette, sia compilando un albo di progettisti qualificati. In alcune città europee si pratica una procedura di nomina particolare per chi lavora su determinate aree. Sono scelte sensibili. Un metodo adeguato per scegliere i progettisti è anche quello del concorso, organizzato e gestito secondo predefinite procedure. Strumento utile per certe aree chiave (o per sollevare l’interesse pubblico) ma sconsigliabile da sfruttare sempre.

Influenza

Progettazione diretta e controlli sono metodi espliciti per dar forma allo spazio sensoriale. Ma anche quella che possiamo chiamare informazione dei sensi o influenza sul progetto rappresenta un ottimo strumento. Collocare persone con capacità di giudizio visivo in posizioni decisionali di vertice o in ruoli chiave del personale tecnico addetto alle trasformazioni ha un evidente effetto sulle forme. Personale addetto sensibile a questi argomenti spesso esercita una funzione da «fuoco che cova sotto la cenere» nello stimolare e criticare le decisioni sulla qualità dello spazio pubblico o privato. Ciò richiede una certa discrezione certo, e anche la capacità di cogliere il momento giusto: quando le decisioni stanno per essere prese ma non si sono ancora del tutto formulate.

L’influenza si formalizza nell’offerta di consulenza progettuale a titolo semi gratuito sia ad enti pubblici che ad operatori privati che non possiedono alcune competenze. Grazie a questo contributo ed erogazione di competenze qualificate al progetto, l’ente o gruppo si guadagna potere decisionale insieme a quello di chi effettua le trasformazioni. E l’anello si chiude con la modifica delle proposte. Una convergenza importante in sé tanto quanto il servizio reso. Rendendo disponibile personale (o anche volontari) a questa area di servizi progettuali comuni, si aumenta moltissimo la qualità spaziale grazie al migliore flusso di informazioni tra pubblico e privato, grande e piccolo, che operano per trasformare l’ambiente urbano.

Ci sono altri modi per incrementare il flusso di informazioni. Ricognizioni visive e analisi dello spazio attuale, insieme a simulazioni di cambiamento e relativi effetti, potrebbero da sole influenzare le azioni degli operatori. Comunicate al pubblico potrebbero contribuire a stimolare una domanda politica di interventi di miglioramento, accrescere l’interesse e stimolare un uso più frequente dello spazio urbano, modificare la percezione negativa di alcuni controlli. La grafica descrittiva (detestata da tanti progettisti) è un’altra forma di presentazione. Lungi dall’essere fuorviante, comunica invece nuove possibilità, trasmette le intenzioni degli uffici pubblici in modo più tangibile di quanto non avvenga con norme astratte o diagrammi riassuntivi. Ma si tratta di illustrazioni che devono mostrare possibilità reali. Mentre spesso vengono composte a simulare scene improbabili o distorte: informazioni false con l’obiettivo di ingannare e «vendere» qualcosa.

Confrontarsi con la Forma Visiva

Vista l’ampia gamma di dispositivi in grado di influenzare la forma visiva, la molteplicità delle situazioni in cui questa forma può diventare oggetto di contesa, l’imperante ambiguità tra l’idea di progetto e quella di aspetto, sembra difficile generalizzare sui metodi migliori di organizzare e gestire l’aspetto dello spazio. Possiamo soltanto puntualizzare alcune componenti organizzative utilizzabili da una grossa organizzazione tecnica, impegnata con continuità nella programmazione spaziale di una ampia area:

1. L’ufficio di progetto o «pianificazione» generale (vale a dire il gruppo di lavoro che predispone le varie possibilità alternative delle forme di massima in un’area) dovrebbe includere normalmente nelle proprie procedure le forme visive, insieme alle altre analoghe. Il caso migliore sarebbe che tutti i componenti fossero dotati di tale capacità, ovunque stiano specificamente operando. Ma dato che esistono tanti altri aspetti a richiedere attenzione in un gruppo allargato, e che anche dal punto di vista della formazione culturale sono abbastanza rari i tecnici con uno specifico orientamento alla forma visiva, sarà necessario pensare a veri specialisti, o a un gruppo specifico, nella squadra di progetto. Ma senza produrre un distinto «progetto visuale» slegato dalle altre decisioni.

2. Più accettabile pare attivare una distinta sezione di studio visivo, dato che almeno nella fase di analisi se non in quella di progetto spesso si possono separare le componenti. La funzione di questa sezione è di condurre costantemente rilevazioni sulle forme sensibili dell’ambiente urbano, attraverso ricerche sul campo, studi di atteggiamento e comportamento. La si può sfruttare anche per valutare proposte, simulare attuazione di progetti, diffondere le informazioni elaborate al pubblico, ai colleghi, ad altri progettisti. Membri della sezione potranno essere specialisti in percezione, discipline comportamentali, forme visive.

3. Ci può essere anche un’altra sezione revisione-collegamento, che si occupa principalmente dei progetti e sistemi elaborati da altri, singoli e uffici. Di nuovo, è necessario confrontarsi col progetto complessivo e non soltanto con gli aspetti visivi. Le funzioni comprendono seguire il processo e qualche discreto intervento su ciò che «cova sotto la cenere», collegamento tra sezioni, indirizzi per manutenzione e trasformazione di zone pubbliche.

4. Per ultimo, una grossa struttura può avere più di una sola task force di progetto, squadre temporanee organizzate per alcuni interventi o sistemi. Squadre che si possono utilizzare anche sviluppare prototipi o schizzi illustrativi, e più in generale a esplorare nuove possibilità. Saranno composte da specialisti di progetto o sistema, insieme ad altri focalizzati su singoli problemi.

Le questioni di progetto e di aspetto visivo hanno una lunga tradizione, ma non ne hanno a scala di città. Tecniche e criteri per affrontarle sono ancora in fase di sviluppo. Molto di quanto si sa potrà essere superato, certamente chiarito e approfondito. Saranno necessari nuovi poteri, consapevolezza pubblica, metodi di formazione professionale. Ma resta essenziale una migliore comprensione di come la forma sensoriale dell’ambiente urbano ci influenzi, una migliore conoscenza di ciò che vogliamo, una più ampia scorta di possibilità formali. Ciò premesso, sarà possibile definire e costruire l’autorità necessaria. Intanto, già ne sappiamo a sufficienza sulle conseguenze e possibilità dello spazio, sostenuti da una abbastanza forte domanda (se sollecitata) collettiva, a costruire da oggi un mondo più gradevole, confortevole, ricco di senso.

da: William I. Goodman, Eric C. Freund (a cura di), Principles and Practices of Urban Planning, Institute for Training and Municipal Administration, 1968; titolo originale del capitolo: City Design and City Appearance – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini
Immagine di copertina da Site Planning, II Ed. 1984

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