L’Autostrada Milano-Varese inaugurata dal Sovrano (1924)

Quella parte del programma della giornata reale che doveva svolgersi in Lombardia, si è iniziata ieri con la inaugurazione dell’autostrada Milano-Varese – la prima delle tre grandi arterie destinate al traffico automobilistico tra la metropoli e i laghi. Le autorità si erano date convegno per l’una e mezzo al bivio di Lainate per attendervi il Sovrano, mentre alla stazione di Milano – ove il Re doveva giungere – reduce dalla cerimonia di Vercelli – era un ristretto numero di personalità, il Sindaco, il Prefetto, il comandante del Corpo d’armata e il comm. Puricelli per la Società delle Autostrade. Di fronte al marmoreo cippo che ricorda il primo colpo di piccone assestato dal Presidente del Consiglio sulle zolle dei campi quindici mesi or sono, per segnare il punto di divergenza delle future autostrade per Varese e per Como, era stato eretto un gran palco tra aiole di crisantemi: e qui avevano preso posto alcune centinaia di invitati: deputati, senatori, alti magistrati, ufficiali, combattenti e decorati, tra cui la medaglia d’oro Carabelli, qualche alto grado della milizia e i maggiori artefici della grande opera stradale che si stava per inaugurare.

L’arrivo del Re in automobile

Oltre i margini delle strade due fitte siepi di spettatori campagnoli e parecchi ragazzi arrampicatisi sui gelsi fronzuti. Lungo il tratto tra Lainate e Musocco un largo servizio di vigilanza affidato ai carabinieri a cavallo, ai soldati e agi agenti specializzati, e diretto dal vice-questore La Polla. I campi attraverso i quali lungo il nastro nero della autostrada oltre le ultime abitazioni di Musocco raggiunge il bivio, pieni di folla: contadini, operai, comitive di popolani che punteggiano pittorescamente il verde uguale delle culture e sfidano impavidi il sole cocente. Le automobili che provenendo dalla città recano le frotte degli invitati sono incanalate oltre il bivio della strada di Como già costruita, come si sa, per un buon tratto, perché il largo del piazzale rimanga sgombro di veicoli. Alle due e trenta le truppe schierate ai lati del palco ricevono l’ordine di presentare le armi: la fanfara dell’artiglieria suona l’attenti e subito dopo attacca la marcia reale.

Dal fondo della strada appaiono l’automobile reale e le altre due vetture del seguito. La prima vettura è guidata dal comm. Puricelli e ospita, oltre il Sovrano, il sindaco, il prefetto, il ministro Sarrocchi. Scoppiano applausi ed evviva. Il Re scende rapido dalla vettura e il sen. Crespi gli presenta i membri del consiglio della Società delle autostrade, il direttore comm. Oliva e ing. Rusca. Poi il Re procedendo in mezzo alle due aiuole, su una pedana coperta da un tappeto rosso, raggiunge il palco seguito dal piccolo corteo. Il Sovrano, sorridente, dall’aspetto fiorente, risponde con molta effusione alle acclamazioni e fa cenni di saluto a quanti ravvisa nel folto delle autorità che gremiscono il palco. Nel mezzo di questo è una grande poltrona di velluto, ma il Re resta in piedi ad ascoltare i discorsi, tutti sobrii e rapidamente pronunciati, perché la cerimonia deve essere brevissima.

I discorsi

Il sen. Crespi, come presidente dell’Automobile Club, esalta l’attività geniale e tenace con cui l’Italia affronta le più ardue battaglie del progresso industriale e civile. Segni mirabili di questa attività: l’autodromo di Monza costruito in soli 100 giorni per accogliervi i fasti della meccanica internazionale, e la prima rete delle autostrade, sorta in soli quindici mesi. Entrambe queste imprese suscitarono, sino alla vigilia del compimento, più incredulità che entusiasmi, ma l’Italia – esclama l’oratore – può ciò che vuole. Con la triplice strada essa tende ora idealmente tre grandi braccia verso il cuore d’Europa perché le nazioni finalmente pacificate tendano alla loro volta verso Roma, sede delle arti, della fede, del diritto. L’oratore espone le cifre più salienti che attestano dell’imponenza dell’opera, da cui trae i più lieti auspici pei futuri destini economici dell’Italia. Rivolge un saluto riconoscente a tutti gli artefici, dall’ideatore Puricelli al più umile manovale, e annunzia tra gli applausi che nel nome di Puricelli la Società ha offerto 100.000 lire all’Istituto per feriti cerebrali da lui fondato. Termina con questa invocazione agli italiani: «Al di sopra di ogni sterile dissenso sia la luce feconda del lavoro comune per la grandezza della patria e la gloria del Re».

Il sindaco Mangiagalli esalta la magnificenza dell’iniziativa – chiamandola opera di romana grandezza – perché le due grandi arterie che si dipartono dalla metropoli lombarda per allacciarsi con le grandi strade internazionali del Sempione e del Gottardo sono veramente nuovi veicoli di civiltà italiana. Ogni mezzo di trasporto, dice l’oratore, ebbe la sua strada: i traini animali quelle ordinarie; le ferrovie i loro binari, le aeronavi l’immensità dei cieli, era naturale che anche il motore trionfante avesse la sua. L’iniziativa lombarda deve adunque essere riguardata come il principio di una feconda forza nuova da cui tutto il paese dovrà trarre grandi benefici.

A nome delle «popolazioni laboriose della contrada» parla l’avv. Fabbri, presidente della deputazione provinciale, il quale rileva, tra l’altro, che l’opera fu ideata e compiuta per iniziativa privata, col solo appoggio integratore degli enti pubblici: segno che l’Italia sta raggiungendo la maturità civile propria dei popoli forti. L’amministrazione provinciale ha contribuito cospicuamente all’impresa, perché considera la prima autostrada su suolo italiano come un inizio di un programma che essa ha già fatto suo, deliberando di dotare le arterie periferiche di Milano di 100 chilometri di pavimentazione permanente per il più grande sviluppo dei traffici.

Parla per ultimo il ministro on. Sarrocchi elogiando questa nuova vittoria dell’iniziativa privata, il fervore audace dell’industrialismo lombardo, i pregi tecnici dell’opera. Assicura l’appoggio del governo ad ogni lavoro di feconda civiltà, e a nome di quello rende omaggio alla milizia del lavoro «in continua ascesa verso forme nuove per offrire al mondo civile una visione sempre più luminosa della grandezza d’Italia». Le parole del ministro, come quelle degli oratori precedenti, sono molto applaudite. Il Re si trattiene qualche istante con le autorità per compiacersi vivamente dell’opera di cui ha già ammirato il tratto tra Musocco e Lainate e per stringere nuovamente la mano ai principali artefici di essa.

Lo sbarramento tagliato

Il Re scende quindi dal palco e prende posto col sen. Crespi, col gen. Cittadini e col ministro sulla vettura che intanto s’è collocata all’imbocco dell’autostrada di Varese sbarrata da un nastro di seta tricolore. La vettura, mentre tutto intorno scrosciano gli applausi e gli evviva al Sovrano, parte di scatto tagliando lo sbarramento simbolico. La strada è ufficialmente aperta e su d essa dietro la vettura reale, si snoda il lungo corteo delle automobili su cui hanno preso posto le autorità e gli invitati. Singolare corteo automobilistico, ché si vedono sopra vetture da turismo signore in toilette, signori in redingote e persino qualche guidatore in tuba. Taluno di essi copre frettolosamente l’abito da cerimonia con un paletot o uno spolverino, per conciliare la necessità del protocollo con quelle dello sport: ma i più rimangono come sono venuti, forse in omaggio alla prima virtù delle autostrade, che è quella di non far polvere.

Ma veramente, una così eccezionale fiumana di veicoli, la sabbia gettata di fresco sullo strato di bitume, ed i tratti di strada non ancora catramati, hanno qua e là cospirato ad avvolgere il corteo fuggente in una specie di caligine. Al bivio di Lainate molti cartelli ammonivano di moderare la corsa, che la circostanza speciale e l’eccezionale concorso di vetture non consentivano neppure su un’autostrada esibizioni sportive. Disposizione provvida comunque, che ha consentito alla folla degli automobilisti dilettanti e professionisti di godersi meglio lo spettacolo impareggiabile offerto da tutto il percorso.

Uno spettacolo impareggiabile

Forse mai si vide un così lungo tragitto – diecine e diecine di chilometri – con tanti segni ininterrotti della festosità popolare. Folla lungo tutti i margini della strada, teorie interminabili di addobbi pittoreschi: bandiere, pennoni, cartelloni inaugurali, tricolore sugli alberi, sulle capanne dei cantieri, persino sui pendii terrosi tagliati di fresco per incassarvi la strada. E poi, ad ogni nodo stradale, ad ogni ponte, ad ogni soprapassaggio, nei pressi degli abitati, folte rappresentanze di associazioni e di popolo tra bandiere, festoni di verde, scritte di saluto. Dove la strada tocca i centri più importanti vi son le musiche paesane che suonano disperatamente la marcia reale, cercando invano di soverchiare il fragore dei motori. Dall’alto delle scarpate e dalle case che guardano sulla strada si gettano fiori sul corteo fuggevole. Gli addetti alle autostrade, nella divisa grigio-ferro, sono schierati dinnanzi ad ogni casello, come cantonieri delle ferrovie, la bandiera rossa nel pugno per le segnalazioni. Qualche edificio per i rifornimenti, già compiuto, si adorna, ai lati della porta, di due rossi obelischi: i distributori automatici della benzina già entrati in funzione.

Qui e là, dove la strada ha ancora da subire qualche rifinitura, lavorano fragorosamente le macchine mastodontiche che preparano e amalgamano i materiali stradali. Il corteo subisce una sosta presso Gallarate per attendere che il Re entrato in città presenzi la cerimonia dell’inaugurazione del monumento ai caduti. La strada che qui si eleva di cinque metri sul livello della pianura, nereggia per oltre un chilometro di automobili ferme. Dalla piazza lontana giunge la eco degli inni e dei battimani. Poi l’automobile reale torna nuovamente sull’autostrada rimettendosi in testa al corteo, che si rimette in marcia per giungere a Varese verso le 16,30. La città è festante, gremita, imbandierata. Secondo il programma il Re si dirige subito alla stazione per ripartire per Roma. Il corteo delle automobili si porta invece all’Hôtel Excelsior per un ricevimento che dura qualche ora.

Il ritorno

Il ritorno sulla stessa autostrada è fatto alla spicciolata e protratto fino al tramonto, liberato da ogni restrizione o disciplina speciale. E così è possibile il vero battesimo sportivo dell’autostrada e l’assaggio delle sue migliori virtù. Sulla bella pista liscia, dritta e levigata, anche le vetture più accidiose, avvezze alle complicazioni dei tragitti del centro cittadino, e che non conobbero altra velocità se non quella consentita dai regolamenti urbani e dalle congestioni del traffico, si abbandonano all’ebbrezza della volata. Come se una forza moltiplicata si apprendesse ad ogni motore, tutti i veicoli filano, si rincorrono, si sorpassano, improvvisano gare. Fatti certi di non trovare ostacoli e senza la preoccupazione di mandare all’altro mondo un pedone, anche i dilettanti più prudenti provano la vertigine della grande velocità. E mercè l’autostrada ora inaugurata molti signori in tuba e molte signore in seriche vesti rinnovano al tramonto i fasti dell’autodromo di Monza e magari inconsapevolmente battono anche qualche record non disprezzabile …

da: Corriere della Sera, 22 settembre 1924

Immagini: Touring Club, Le Vie d’Italia, settembre 1924
Si veda su questo sito anche Alessandro Schiavi,
Le Autostrade e l’Urbanismo (oltre al tag Autostrade a piè di pagina)

Commenti

commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.