Le vere prospettive per l’auto del futuro

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Foto J. B. Gatherer

Lo diceva anche Albert Einstein, tutto sommato piuttosto portato alle teorie, che il rapporto fra congetture e verifiche è assai più intricato di quanto non si pensi di solito noialtri semplicioni. Soprattutto quando il semplicionismo non è tutto farina del nostro sacco, ma ampiamente indotto dalla disinformazione pilotata. Pensiamo alla cosiddetta driverless-car: da tempo si inseguono roboanti annunci di scadenze improrogabili da lì a pochi anni, o mesi, della messa su strada di qualche avveniristico modello, e poi prevedibili smentite perché sono ancora in corso i complessi esperimenti. Come quando ci raccontano del computer di bordo impazzito, perché quegli stravaganti umani che guidano umanamente tutto attorno al robot fanno una cosa non inclusa nel software: trasgredire il codice della strada! Ma va? E chi poteva mai immaginare che ci fosse gente che non dà la precedenza al millimetro, o passa quando il giallo è già scattato sul rosso, o supera anche di molto i limiti di velocità così chiaramente esposti dal cartello. Comunque sia, non si è ancora visto nulla salvo gli annunci, e di solito annunci banalotti.

La sindrome dei Jetsons

Non certo banali per i contenuti tecnologici o organizzativi, quei comunicati o commenti, dato che le innovazioni da mettere in campo sono comunque moltissime, ma per il contesto urbano e sociale pietrificato dentro cui vengono calati. Sembra che si riviva di continuo quella sindrome da fantascienza di consumo anni ’50, in cui anche introducendo nella narrazione cose in grado di rivoluzionare del tutto la vita umana, poi tutto pareva procedere in maniera quasi noiosa, salvo l’orpello folkloristico penzolante su una storia che più banale non si può. Che so, si inventava il teletrasporto tipo quello reso noto da Star Trek, ma poi i protagonisti si limitavano a usarlo per andare in ufficio, o a far la spesa al supermercato (lasciando il lettore non del tutto scemo a chiedersi perché mai ad esempio col teletrasporto non si potesse riempire il frigo direttamente, senza neppure aprire lo sportello). Con l’auto senza pilota spesso capita, anzi quasi sempre capita, che gli articoli più o meno tecnici raccontino prima lo stato dell’arte degli esperimenti, ma poi trattando degli aspetti ancora da sviluppare caschiamo nel conformismo più trito, come se appunto l’assenza di conducente fosse l’unico e solo elemento nuovo, e non ne chiamasse centinaia, forse migliaia di altri.

Brave New World!

Concludono sempre, quegli articoli, più o meno descrivendo le difficoltà che incontrerebbe quell’auto per portare il signor Rossi o Mrs. Smith dal garage di casa al parcheggio dell’ufficio, mentre lui o lei leggono il giornale o schiacciano un pisolino. Mentre la prima cosa che viene in mente, è per esempio che se l’auto se ne va in giro da sola, praticamente non ha alcun senso l’esistenza del garage o del parcheggio, almeno nel senso e quantità attuali, sostituiti da piccole zone di salita-discesa davanti alle origini-destinazioni. E se le auto possono raggiungere così facilmente il proprio passeggero nel modo più efficiente possibile, non ha neppure senso che sia sempre la stessa auto a portarlo in giro (salvo per chi ne fa un uso misto come strumento di lavoro diretto o deposito), introducendo così qualcosa di simile a un car-sharing generalizzato e di fatto sostituito all’attuale modello proprietario. L’uso condiviso con l’auto a spostamento autonomo diventa ancora più ovvio se pensiamo che basterebbero flotte molto più piccole per servire una utenza molto più grande in tempo reale, anche pensando a una logica di parcheggi fissi anziché liberi, magari attrezzati con le prese di ricarica elettrica (altra innovazione quasi automatica, se i costi vengono spalmati su un’utenza così grande). Aggiungiamoci le nuove dinamiche di telelavoro già ampiamente in fase di vario sviluppo, e si capisce quanto sia scemo immaginare quella scenetta di cui sopra da casa all’ufficio: non ci sarà più, esattamente come oggi nessuno o quasi la mattina va verso i campi a piedi nudi col forcone in spalla. E che l’auto senza pilota possa essere qualcosa di molto diverso dal mondo attuale dell’automobilismo, ad esempio lo racconta l’esperimento descritto nel link, più a cavallo con la logica dei trasporti collettivi, e che forse suggerirà altre innovazioni sociali. Superiamo questa sindrome dei Jetsons!

Riferimenti:
Matt O’Brien, Self-driving buses coming to San Ramon office park, Silicon Beat, 5 ottobre 2015

Commenti

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2 pensieri su “Le vere prospettive per l’auto del futuro

  1. Ho scoperto ora questo blog.
    Articoli ben scritti e riflessioni, purtroppo, non comuni.
    La sindrome di Jetsons affetta la maggior parte di noi. Liberarsene non è da tutti.

    Ogni tanto penso al mio lavoro di impiegato davanti ad un pc ed a quello dei pronipoti: andare in ufficio a spingere bottoni. Non c’è molta differenza, situazioni entrambe poco sensate.

    • E se dovessimo,dar retta a certi “utopisti” piuttosto in voga,, la sindrome sarebbe addirittura quella dei Flintstones

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