Periferie: una battuta, please!

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Autoscatto su parete a specchio

Come si usa dire, ci metto la faccia, dopo aver scorso sconsolato quel giornalino parrocchiale presentato ieri, con tanto di alto patrocinio della presidenza della Repubblica italiana: Periferie. In realtà, quando si sono discusse per la prima volta le riflessioni di Renzo Piano da cui è nata l’iniziativa, quelle note sulla necessità di “rammendare” i tessuti urbani e sociali sconvolti da lunghi e traumatici processi di trasformazione, c’era qualche aspettativa. La sola risposta agli esami di maturità dava il segno di quanto potesse essere attuale il tema, ma poi? Poi, a fronte di cose come le rivolte suburbane di Ferguson, o i saccheggi di Londra un paio di estati fa, o le crisi dei complessi popolari di Milano, Roma, o della banlieu parigina, che si fa? Una bella rivista di architettura, con volenterosi fiancheggiatori pescati fra gli amici della politica, della sociologia, della psicologia da salotto televisivo.

Niente di male, ma possibile che non si sia ancora capito il senso della Morte dell’Architettura Moderna così come stigmatizzata dal critico Charles Jencks quasi quarant’anni fa, davanti alle rovine del complesso razionalista Pruitt-Igoe fatto saltare con le cariche di dinamite? Nessuno si sognava di celebrare un funerale di settore, professionale, parrocchiale, per gli intimi del tavolo da disegno o del papillon d’ordinanza (oggi forse della accollata camicia scura). Si voleva suggerire di lasciar perdere, dopo un paio di fallimentari generazioni o tre, il vizio dell’approccio totalizzante, almeno di quello in buona fede. Andate pure avanti coi vostri progetti, studiate al meglio quel che sapete fare, ma riconoscete che non c’è alcun rapporto lineare fra i vostri spazi e quel che ci sta dentro e fuori, modellando quei contenitori non avete un ruolo più importante nel modellare il resto.

E invece, sfogliando le pagine di quel Periferie, pare che ci risiamo: tutte le cariche della polizia, i drammi personali e collettivi del territorio urbano, che finiscono dentro a una riflessione sulla qualità fisica del rapporto pieni/vuoti? Non si coglie quanto sia tragicomico pensare così, e farlo ai massimi livelli istituzionali? Per questo, se me lo posso permettere, chiederei agli amici che sono arrivati sin qui in queste note, e che magari hanno anche scorso come me il giornalino di architettura Periferie, di esprimere brevemente un parere, da far circolare attraverso le pagine de La Città Conquistatrice: da 1.000 a 3.000 battute, speditele per favore a cittaconquistatrice@gmail.com il territorio ve ne sarà grato. Anche un Mi Piace non guasta, naturalmente, e nemmeno una condivisione.

Vedi anche: Fabrizio Bottini, Urbanistica della metropoli ricca e sostenibile

Vedi, per chi non l’ha vista, e con buona pace degli architetti in buona fede, Periferie

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