Ricordo quella ferrovia, prima della gentrification

Foto F. Bottini

Premessa – La breve storiella che segue non è nulla di particolare: cronaca soggettiva di un processo di sostituzione sociale del tipo piuttosto classicamente «pianificato» da una municipalità con l’idea di migliorare un quartiere, di fatto impoverendone la composizione sociale e la vitalità complessiva. La cosa particolare è che si tratta di una lettera a un giornale locale, infilata nella rubrica, un vero e proprio trafiletto tra i tanti, che però è unico nella sua triste banalità (n.d.t.)

Nel 1991, mia nonna e le mie due zie — lavoratrici da poco immigrate dal Messiso alla ricerca del Sogno Americano — decisero di comprarsi casa in un edificio ad appartamenti un po’ mal messo. Nulla di particolare a prima vista, tra i viali di Central Park e Armitage, ma a distanza di parecchi anni, di alti e bassi, l’appartamento significa molto ma molto di più. Nel raggio di tre isolati c’erano un negozio di liquori, un mercato, un tratto ferroviario abbandonato, e dopo vent’anni e più il negozio ha cambiato nome, nelle scuole si tengono seminari di aggiornamento multitematici, e la ferrovia abbandonata è stata oggetto di un progetto di riuso sul modello della High Line di New York. Un percorso dove passano a centinaia, a piedi, in bicicletta, sereni e tranquilli là dove io da ragazzina avevo assoluta proibizione di andare, nonostante fosse lì sotto casa. Dove le bande si ritrovavano a fumare, bere, e spararsi e ammazzarsi.

Con la realizzazione del nuovo percorso ciclabile e pedonale, il mio appartamento vale quattro volte quanto è stato pagato. Parrebbe una gran fortuna, salvo che ovviamente sono anche aumentate le tasse immobiliari. Lentamente le persone con cui sono cresciuta hanno cominciato ad andarsene, il flusso continua, e il mio quartiere si popola di estranei continua. Sparite tutte le case economiche nella zona di Logan Square, e lungo la strada 606 si tirano su nuovi condomini buttando giù man mano tutte le vecchie case: certo quella via non è in sé la causa o l’inizio della gentrification, ma è un punto in cui si catalizza. Passeggi per strada e vedi tutti questi uomini con la barba e i capelli lunghi. O quelle donne tutte vestite in modo culturalmente corretto. Entrano ed escono dalle caffetterie o dai ristoranti vegani, à dove c’erano negozi di liquori o botteghe messicane. Sugli angoli dove un tempo bighellonavano le bande di strada, adesso stanno cagnolini col cappotto e le babbucce.

Per tutta l’estate, l’autunno e l’inverno 2016 ho bussato alle porte a raccogliere firme per chiedere una delibera che impedisca l’espulsione delle famiglie, che mantenga abitazioni economiche. In genere tendo ad essere piuttosto fiduciosa, mi aspetto che la gente capisca, che condivida. Ma trovo anche parecchi ignoranti, fra gente piena di titoli di studio, che paga anche tremila dollari d’affitto al mese, ma non riesce proprio a cogliere le conseguenze della gentrification. Senti spessissimo frasi come «Beh, il quartiere adesso è più sicuro», oppure «Certamente le cose stanno molto migliorando», quando giri, ma sono cose che non significano nulla per una famiglia di quattro persone cacciata dalla casa dove ha abitato per vent’anni. Da quello che è già accaduto nell’area di Logan Square non si può certo tornare indietro, ma credo che contribuire a mantenere qui quelle famiglie, a mantenere diversificato il quartiere, debba essere una priorità anche per i nuovi che arrivano. Tutte le trasformazioni sulla strada 606 sono scelte del sindaco Rahm Emanuel, pensate senza badar molto a certe conseguenze, e quindi dobbiamo pensarci noi cittadini a opporci, a far qualcosa per chi ha costruito tutta questa vitalità, che deve essere mantenuta.

Dal Chicago Tribune, 1 aprile 2017 – Titolo originale: «An old train track» – traduzione di Fabrizio Bottini

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