Times Square e la comunicazione urbana asettica (2006)

Diciassette anni fa, in una devastante canzone, Lou Reed presentava la 42° Strada e Times Square come il «Dirty Boulevard». Guardando allo stesso posto oggi, dovremmo chiamarlo «passeggio ripulito». Cosa si può dire sulla vita, in questo passeggio ripulito? La cosa importante è che non è tanto male, tanto antisettica, suburbana, come tanti di noi temevano. É bello vedere che il progetto di Rudolph Giuliani di consegnare le chiavi della città alla Disney non l’abbia trasformata in Disneyland. Gli stimoli non se ne sono andati.

Ci sono edifici davvero buoni nella «Nuova Times Square». I migliori sono i più vecchi, vivi e vivaci teatri: il New Amsterdam, un tempo sede di Ziegfeld Follies, ora sventola bandiera Disney, il neobarocco New Victory, ora un incredibile cosmopolita teatro di avanguardia per bambini. Tengono un flusso di folla traboccante nel nucleo della piazza. I migliori edifici nuovi sono piccoli, come gli studi di prova sulla 42° Strada, le cui delicate luci sfumano il passaggio dall’architettura alle insegne. I nuovi edifici più grossi, sono anche più ingombranti di quelli che hanno sostituito, ma nessuno è peggio degli orrendi grattacieli esplosi nella piazza una generazione fa (One Astor Plaza, assassino dell’adorabile Astor Hotel; il Marriott Marquis Hotel che ha eliminato l’Automat e Helen Hayes; i lastroni giganti sulla Upper Sixth) o delle gigantesche tombe egizie progettate da Philip Johnson per il costruttore George Klein negli ani ‘80, parte di un immenso piano abortito, per trasformare Times Square nel «Rockefeller Center South» (l’avevo chiamato «Albert Speer Plaza»; ricordo con affetto le assemblee e dimostrazioni per impedire che fosse costruito). I peggiori fra i nuovi edifici sono solo mediocri, non mostruosi, e seguono l’orientamento del sistema stradale anziché – come gli edifici Astor e Marriott – andargli addosso. Quando penso agli spaventosi grossi edifici costruiti durante la mia vita, la mediocrità della «Nuova Times Square» mi appare come progresso. Alcune delle nuove linee e piani sono sorprendentemente graziosi e delicati. L’edificio Condé Nast e il Westin Hotel sono stati progettati per apparire dinamici e originali dall’angolo di osservazione più frequente, ma piuttosto prosaici da tutti gli altri. Durante la giornata, la luce del sole si riflette in modo notevole sui vetri dei grattacieli, e in generale l’insieme appare più emozionante di quanto avevamo ragione di aspettarci.

Ogni giorno che passa, ci sono persone in parecchie uniformi di diversi colori: New York Sanitation Department, Urban Development Corporation, Business Improvement District, e altri. Ci sono persone con uniformi assortite per il rispetto della legge: New York Police Department; Department of Environmental Affairs; U.S. Military Police; «Hercules Units», poliziotti urbani con pistole mitragliatrici e che indossano sul corpo armature leggere; e una gran varietà di guardie della sicurezza private per le strade, gli edifici, le imprese: tutti all’opera per tutelare ordine e pulizia della Piazza. Tutte queste uniformi mi danno spesso la nausea, mi sento annegato e minacciato da loro. Ma ho abbastanza anni per ricordarmi quanto non se ne trovava nessuna, di uniforme. Una sera al crepuscolo nel dolce aprile del 1980, ho visto un uomo rompere il cranio a un altro, con una clava che sembrava la pubblicità dei Flintstones. La vittima è andata giù a schizzava sangue dappertutto sulla strada, da cui erano istantaneamente scomparsi tutti. Ho gridato «AIUTO!» ed ero completamente solo. Non si trovava un poliziotto, nessuno dei negozi vicini me ne lasciava chiamare, e il tizio continuava a sanguinare. Dopo un po’ il gestore di uno dei cinema porno è venuto fuori col suo walkie-talkie (era parecchio prima dell’epoca dei cellulari), e in un minuto e arrivata un’ambulanza e si è portata via l’uomo. Non credo che abbia mai smesso di sanguinare, ma se ti lasciano la testa scoperta significa che sei ancora vivo, vero? Quindi mi tengo le uniformi, grazie, finché tengono viva la gente per la strada.

Grazie ai progressi nella grafica computerizzata, le migliori fra le nuove insegne e l’effetto totale sono più emozionanti che mai. Quella che attirava la maggiore attenzione alla fine degli anni ’90 era la torretta elettronica dell’indice NASDAQ, sulla facciata nord dell’edificio Condé Nast. All’inizio quell’insegna era un museo dell’arte cinetica, con una strabiliante varietà di forme, colori, intrecci, animazioni. I bambini degli anni ’60 la adoravano: ti ci potevi fare il bagno, ti ci potevi ubriacare. Ma una volta caduta la quotazione NASDAQ, sono scomparse di colpo le sue romantiche grafiche. Col boom dell’epoca Clinton che diventava un ricordo, l’insegna decadeva sino a diventare un grossolano tabellone troppo cresciuto, e le sue amate grafiche avventurose rimpiante soprattutto da gente che non aveva mai amato molto quei valori di mercato.

Questa scomparsa attirò l’attenzione verso un altro vessillo del capitalismo la cui progettazione lo rendeva più indipendente dagli alti e bassi della storia: l’insegna gigante Morgan Stanley all’angolo nord-ovest della piazza, che avvolge il quartier generale della compagnia al 1585 di Broadway. James Traub la descrive come uno spettacolo di puri numeri in movimento perpetuo: «tre strisce di informazioni azionarie» sulle quotazioni della Borsa di New York, NASDAQ e Dow Jones, «che scorrono attraverso la facciata a velocità diverse, [circondate da] mappe cilindriche alte dodici metri, che mostrano i fusi orari degli uffici Morgan Stanley di tutto il mondo».

Traub racconta che «dice l’essenziale sulla compagnia: che tratta informazioni, non solo denaro; che è un interruttore centralizzato dell’economia globale; che vive nel momento; e questo è … qualcosa che serve da marchio sia per Morgan Stanley che per Times Square». Tama Starr, che l’ha costruita, indica gli angoli curvi, «un’illusione ottica pensata per dare la sensazione che le informazioni uscissero dall’edificio, attraversassero la facciata e poi tornassero dentro per essere rielaborate, come in un processo produttivo». Continuerà a scorrere in tempi buoni o cattivi, spettacolo classico anziché romantico, immune agli alti e bassi del momento. Traub si gusta l’ironia del fatto che tanti dirigenti Morgan Stanley a quanto pare non volessero prima di tutto stare a New York, stare un una zona visibile della città, avere un’insegna spettacolare. La compagnia ha trionfato nonostante sé stessa. Ironico, che quell’illusione ottica incorporata aumenti la capacità di dirci il vero, ma anche quella di fuorviarci.

La più romantica delle nuove insegne nella piazza di oggi è il modello in scala ridotta del Concorde, il jet franco-britannico, installato sopra il Times Square Brewery, proprio al centro della piazza, nel 1996. Il Concorde è una delle forme più gloriose create dalla progettazione moderna, guardarlo è sempre eccitante, e si adatta perfettamente alla piazza. Era stato montato sulla cima di uno dei pochi sopravvissuti edifici bassi, e sapevamo che sarebbe stata solo questione di tempo, prima che fosse sfrattato verso un nuovo grattacielo. Quello che nessuno aveva immaginato era che il settore aeronautico mondiale fosse più volatile di quello immobiliare di New York, e che prima che la Boston Properties avesse la possibilità di prendersi il modello dal tetto fosse una British Airways vicina alla bancarotta a levare il vero Concorde, dal cielo. Non lo dicevo, io, che «Tutto ciò che è solido si scioglie nell’aria»? [titolo originale di «L’Esperienza della Modernità» come tradotto nell’edizione italiana n.d.t.]

Un altro caso particolare del genere è il destino della «cerniera» elettronica che trasmette notizie in tempo reale. Quella originale della piazza lampeggiava nuove informazioni dalla struttura triangolare della vecchia Times Tower: ne faceva parte dell’edificio. La cerniera divenne immediatamente parte integrale dell’esperienza di star lì: ci si fermava a leggere, a riflettere. («Nel frattempo …») era una straordinaria pubblicità per il Times, a dirci che anche nel bel mezzo della fantasmagoria carnascialesca della piazza, potevamo fidarci del giornale per tenerci in contatto con quanto stava succedendo nel mondo reale. Il suo potere elettronico non suggeriva che il giornali sarebbero stati sostituiti dai «nuovi media», ma che questo giornale aveva risorse sufficienti per far di tutto e tenere il pubblico in contatto. Quella cerniera era una delle insegne della «America di carta», dell’America che esisteva perché se ne scrivesse, che Jack Kerouac celebrava in On the Road. Il fatto che il Times abbia abbandonato la cerniera originaria è una metafora del suo tradimento della piazza come spazio umano. L’insegna lampeggia ancora, la sua tecnologia vecchia di un secolo semplice e composta. Ma il programma, ora sponsorizzato dalla Dow Jones, consiste principalmente di quotazioni azionarie e risultati sportivi. L’insegna funziona egregiamente come parodia di quello che fu. Per chi è vecchio a sufficienza per ricordare, fa da parafulmine alla rabbia.

Nel vuoto lasciato dal Times una generazione fa, i media elettronici alla fine hanno cominciato ad avanzare diritti. La ABC ora produce Good Morning America nella torre per uffici al 1500 di Broadway, fra la 43° e la 44° Strada. Verso la fine degli anni ’90, ha creato una sua cerniera di notizie che scorre sopra l’ingresso del fabbricato. La cosa che colpisce di più di questo ingresso è che, contro uno sfondo di angoli, appare audacemente e romanticamente curvo. La gente con le macchine fotografiche automatiche ama fotografare e farsi fotografare sullo sfondo di questa curvatura. La sua forma fa pensare a montagne russe rovesciate su un fianco; evoca e rafforza l’idea che la piazza debba essere carnascialesca. C’è uno schermo gigante appena sopra la fascia curva, pensato per illustrare le notizie che scorrono sulla cerniera. Testi e immagini della ABC mostrano la normalità e l’orrore: macerie dopo le bombe, il sangue che impregna le strade illuminate al neon rosso. La struttura a montagne russe dell’insegna fa pensare a un mondo pieno di sorprendenti salite e precipizi, ma che in fondo si può contenere, in modo tale che tutto torni là dove era cominciato, e anche una vita piena di cose terribili possa rimanere un carnevale.

Uno dei primi gruppi sociali che ha cominciato a sentirsi a proprio agio nella nuova Times Square sono gli adolescenti. Sono dappertutto, ma le folle più grosse stanno sul marciapiede di fronte (a dire il vero, sotto) allo studio di produzione MTV, sul lato ovest di Broadway fra la 44° e la 45°. L’elemento di attrazione più continuo è un programma chiamato TRL, Total Request Live, che trasmette nei giorni feriali alle cinque del pomeriggio. Il formato prevede che ci siano degli «esploratori» che calano da sopra a guardare la folla in strada, e scegliere alcune persone per farle «salire di sopra» dove possono diventare parte del programma; se vanno bene, appaiono bene, qualcuno da qualche parte, oltre a parenti e amici, lo vedrà. Le produzioni di MTV valutano segnali erotici, capacità di vendita (meglio, capacità di imporsi), e spettacolo, in modi che comunque si armonizzano con le vecchie tradizioni della piazza.

Quei ragazzi potrebbero aspettare davanti a 42nd Street o A Chorus Line. Chiunque fra loro potrebbe essere la Times Girl o il Jazz Singer di domani. Molti adulti sono scocciati, e vorrebbero buttar via tutto questo. Ma per farlo avrebbero bisogno di un grosso sacco della spazzatura, con scritto «cultura popolare» o «sogni americani» o ancora «vita di città». Alcuni fra gli adulti sono sicuri di poter anche sopravvivere senza tutto quel ritmo. Altri hanno qualche esitazione in più, il che è quanto ci si aspetterebbe dagli adulti.

Pochissimi di quei ragazzi andranno in onda, salvo che come parte della folla, il che sembra voler dire molto per tanti. Alcuni di loro, sta stanno in giro abbastanza a lungo, possono fare qualche extra con una delle riviste Condé Nast che si producono qui: Vogue, Vanity Fair, GQ, Self, Allure. Dato che queste pubblicazioni sono centralizzate sulla Square, sono tutte orientate a sfruttare quello che la gente della pubblicità chiama «il cortile». Non si riesce a tenere accesa a lungo MTV senza vedere una spettacolare prospettiva «esterna», e il fuori di MTV è Times Square. I progettisti che avevano immaginato la piazza come centro per la produzione di informazioni, e non solo per la loro diffusione e consumo, pensavano a qualcosa di concreto. La realtà della produzione nella Square genera non solo molte nuove occasioni di lavoro, ma anche una particolare vitalità e attrazione. É così sin dall’arrivo del New York Times un secolo fa.

Una delle virtù dello spettacolo di oggi è la sua capacità non solo di contenere, ma anche di alimentare la protesta contro di sé. Nel 2001, il New York Times ha pubblicato una storia di Neil Strauss che parlava della protesta di un solo uomo contro MTV, in nome di Tupac Shakur, un rapper assassinato ancora giovane:

«Adam Gassman, quattordicenne di Queens, stava in mezzo a una frotta di ragazzine di tendenza fuori dagli studi MTV di Times Square, come fa quasi ogni giorno dopo la scuola. Mentre le ragazzine imploravano i produttori di lasciarle entrare negli studi per la registrazione della puntata quotidiana di «Total Request Live», Adam guardava, con la faccia dura. Nelle sue mani, un grande cartello bianco con due parole tremolanti scarabocchiate col pennarello nero: TUPAC VIVE«.

È una storia più complicata di quanto non sembri. Gassman sembra un gran ragazzino: la capacità di un quattordicenne di inventare una one-man demonstration rilevabile dal Times quattro anni fa è notevole; cosa sta creando oggi? Ma potrebbe essere prematuro per il Times adottare questa immagine della realtà, una realtà divisa fra la «frotta di ragazzine di tendenza» che affollano il marciapiede, ammiccano alle persone degli studi su in alto, muoiono dalla voglia di essere invitate e di esibirsi, contro un solitario, onesto tizio di avanguardia che se ne sta da solo, scarabocchia caratteri tremolanti, e non entrerebbe dentro a MTV nemmeno se lo pagassero. Il Times è scafato rispetto alle ragazzine; ma non è un po’ presto per liquidare ragazzi che spesso non hanno nemmeno l’età delle superiori? E quel brillante ragazzino non fa parte di quella generazione? Non condivide, come qualunque avant-garde della storia, un desiderio di apparire, di pubblicità? O forse, considerando la linea di ripresa dove si è collocato, vuole anche incontrare le ragazzine? Per ragazzi e ragazze insieme, che cercano pubblicità o che si cercano, la nuova Times Square sembra proprio il posto in cui stare.

E per quanto riguarda Tupac, la sua morte prematura è stata straziante. L’omicidio, del 1998, resta ancora insoluto. Ma dovremmo iniziare a pensare a lui come più eroico, o più autentico, perché è morto? È quello il modo in cui la gente parlava di James Dean o Charlie Parker (si scarabocchiava BIRD VIVE nella metropolitana) quando io avevo quattordici anni. Il rap che faceva Pac era intenso e potente, e così era la sua recitazione nei film (guardate Juice), ma era teatrale in modo esuberante, esperto nel creare spettacolo, a forte dipendenza da MTV, che l’ha riproposto moltissimo e a lungo dopo la sua morte, premiandolo col platino nell’oltretomba. Neil Strauss avrebbe potuto apprenderlo anche da quella «frotta di ragazzine di tendenza», se si fosse curato di rivolger loro la parola. Se lo avesse fatto, avrebbe potuto confermare la sua idea di storia: Non piangete sulla nuova Times Square; la sua miscela di giocattoli, elettronica, magliette, sostenitori dei gruppi musicali, dimostranti, curiosi e giornalisti, sta crescendo in un luogo che darà frutti, un posto dove «i ragazzi stanno bene». […]

da: Dissent, inverno 2006 – Titolo originale: A Times Square for the New Millennium: Life on the Cleaned-up Boulevard – Traduzione di Fabrizio Bottini

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