Jane Jacobs: un nuovo cuore per Baltimora (1958)

A Baltimora, Maryland, si è formato un gruppo di lavoro decisamente fuori dall’ordinario: coinvolge urbanisti pubblici, liberi professionisti, un operatore privato delle costruzioni, e potrebbe cambiare modi e senso delle trasformazioni urbane. Per realizzare il piano cittadino del Charles Center – un investimento di 127 milioni di dollari per una superficie complessiva di poco meno di nove ettari, al cuore dell’area terziaria e fortemente degradata – non si utilizzerà nemmeno un centesimo di sussidi federali. Ma senza per questo assolutamente temere, a Baltimora si è convinti che l’investimento frutterà, con un incremento netto del gettito fiscale dopo soli nove anni dal completamento dei lavori del Centro. E a giudicare dal progetto, sicuramente la città si doterà di un nucleo centrale estremamente interessante.

Il motivo essenziale per cui Baltimora può permettersi di rinunciare ai sussidi federali, in questo caso (e per inciso risparmiarsi due anni di attesa in trattative), è che il progetto fa a meno della strumentalità di gran parte dei piani di riqualificazione: non cerca cioè di stimolare l’insediamento di funzioni che in sostanza contrastano con ciò che lì accadeva prima, e ancora accade lì attorno. Quell’area sta nel cuore di downtown, non sui margini, e sarà recuperata alle stesse medesime funzioni caratteristiche di quel luogo: uffici, alberghi, intrattenimento, commercio, un terminale di trasporti. Ed è proprio perché tipo di riuso e localizzazione sono tanto ben congegnati, dal punto di vista economico, che si prevede un profitto di mercato senza ricorso ad alcun sussidio federale e relative procedure, per coprire la differenza tra prezzo d’acquisto e valore finale (è a questo che servono quei fondi). Anche se il costruttore che si è aggiudicato quella trasformazione al Charles Center su dieci lotti edificabili non ha firmato per alcun sussidio del genere, godrà comunque di un valore aggiunto di carattere pubblico, dato che la riorganizzazione di tutto lo spazio pubblico avrà un effetto immenso sull’alta qualità del sito e la resa dell’investimento. E la città di Baltimora per parte sua vedrà una riqualificazione là dove appare più necessaria e urgente, tra il quartiere commerciale principale e quello finanziario.

Il fatto è che i poteri speciali per i casi di riqualificazione qui vengono usati per interventi del tutto normali di ricostruzione edilizia, del genere che comunque si farebbe, da qualche parte della città. La differenza è che senza un piano come quello del Charles Center le medesime trasformazioni avverrebbero sparpagliate, rinunciando all’effetto di rigenerazione complessivo. Si tratta di un modello di intervento che si potrebbe replicare anche in altri centri urbani, e anche nel caso di trasformazioni di tipo residenziale. Non si tratta di un’idea brillante e improvvisa, materializzatasi un po’ per caso qui a Baltimora. È invece il frutto di un lungo ripensamento sia pubblico che privato, a partire da sperimentazioni ed errori, qui in corso nel rinnovo urbano a partire dal 1944. Il progetto è opera del Planning Council, gruppo indipendente e particolare, espressione di una parte del mondo degli affari cittadino, e che ha ricevuto da altri ancora l’incarico di uno studio approfondito del centro (dentro cui si colloca il nostro piano).

Planning Council, gruppo di sostegno e committenza hanno collaborato a stretto contatto con l’amministrazione cittadina, che diciotto mesi or sono aveva condotto una profonda recisione delle norme per le riqualificazioni urbane e le procedure di governo, diventando uno dei modelli più avanzati del paese. Senza questo lavoro di rinnovamento, non avremmo avuto nessun progetto di Charles Center, né alcuna speranza di qualcosa di simile. E il progetto non sarebbe stato possibile, se l’amministrazione cittadina non avesse affrontato il motivo principale del degrado. Al pari di tante altre zone terziarie, l’are del Charles Center subisce da decenni il traffico di attraversamento di auto e camion, essendo una strettoia di passaggio obbligata da e per varie direzioni. Ma oggi la nuova strada ad anello in corso di realizzazione, finalmente rende possibile recuperare tutta la zona degradata centrale. Basti pensare che un’altra opera analoga, la galleria sotto la baia Patapsco che si trova a sud-est, ha già ridotto il traffico di attraversamento del 30% dall’apertura nel 1957.

Parchi pubblici e zone private

Charles Center: stato attuale dell’area

Tutto il progetto del Charles Center pare ispirato al buon senso, e lo stesso – cosa pur sempre piuttosto rara – si può dire della scelta del posto giusto al momento giusto. Sono previsti tre parchi pubblici amministrati e gestiti dalla città, come pure di proprietà pubblica saranno tutti i percorsi e passaggi pedonali. Ciò vuol dire che la realizzazione del complesso non deve per forza basarsi su un investimento edilizio tale da consentire, magari peggiorando il progetto complessivo, di realizzare spazi aperti e impegnarsi in tutte le mediazioni indispensabili in questi casi. Ci sono sul mercato dieci lotti, e c’è il fattore fisso di questi spazi aperti che li separano: su questo si può basare la progettazione, cambiano solo i dettagli. Il progetto poi raccorda lo spazio interno con ciò che sta fuori dal Charles Center, più concepito come una «parte di downtown» senza soluzione di continuità, che complesso a sé stante. Sui margini, commercio, uffici, verde, sono organizzati proprio per dare continuità col resto. Anche gli edifici maggiori proseguono lo skyline del distretto finanziario e dei suoi fabbricati analoghi, e quelli minori vengono proporzionati ad altri esterni. Gli spazi tra un edificio e l’altro, pure, sono organizzati sempre a suggerire continuità, e garantire una serie di vedute dei punti più interessanti di Baltimora, sfruttando il salto di livello di oltre venti metri sia dal punto di vista della continuità che della spettacolarità.

Il progetto adatta il principio dell’isola pedonale alla forte concentrazione di downtown. Ai pedoni è dedicata una intera e completa rete di percorsi, ma al tempo stesso le auto possono attraversare l’intera isola. Ancora la pendenza è stata sfruttata per ottenere due reti a un diverso livello in alcuni punti strategici, con le auto che transitano sotto i pedoni. Le persone e i negozi si collocano a livello strada, mentre le auto parcheggiate stanno tutte (salvo nel caso di un garage preesistente) nel sottosuolo. Con questo tipo di organizzazione è possibile uno spazio davvero urbano, concentrato, vivace. E i progettisti ne approfittano, di questa occasione di densa urbanità, dato che spazi aperti e percorsi tra gli edifici, non sono affatto solo aree non edificate, ma architettonicamente definite tanto quanto gli edifici stessi. Preso nel suo insieme, il progetto del Center appare concentrato, intricato, vivo e ricco di varietà: una vera celebrazione delle qualità centrali caratteristiche.

Gli edifici esistenti che vengono mantenuti nel Charles Center, sono un grosso albergo, un’autorimessa di realizzazione molto recente con 490 posti macchina, e tre corposi fabbricati a uffici. A questi si aggiungeranno circa 200.000 metri quadrati complessivi di superficie a uffici in otto torri, 40.000 metri quadri di negozi soprattutto negli edifici più bassi, un secondo albergo, un terminale trasporti, uno studio Tv e teatro, parcheggi sotterranei per 4.000 automobili. Tutte le aggiunte corrispondono a una prudente valutazione di crescita nei settori terziario e intrattenimento a Baltimora per i prossimi 10-15 anni. Il commercio è molto meno di quanto già esistente nell’area, e anche l’albergo non avrà certo problemi visto che c’è anche la catena Hilton alla ricerca di uno spazio in centro a Baltimora, che risulta ad oggi la grande città meno attrezzata di tutto il paese.

Per l’acquisto dell’area la città spende 24 milioni di dollari, e al netto degli spazi pubblici ne riceverà dai costruttori 17,2, con un netto quindi di 6,8 milioni per i parchi, a cui si devono aggiungere i costi delle strade e reti tecniche, i 4,7 milioni del terminale trasporti, per un totale pubblico di 17,2 milioni di dollari. Mentre il valore totale del progetto terminato sarà di 127 milioni di dollari, portando nelle casse dell’amministrazione cittadina un incremento netto di gettito fiscale di due milioni di dollari l’anni, contro il poco più di mezzo milione che frutta oggi, consentendo di recuperare tutto l’investimento sull’arco di nove anni, e da lì in poi di «guadagnare» sulle tasse.

Un accordo modello

Charles Center: immagine del progetto realizzato

Tutto ciò succede, perché nel 1955 a Baltimora ci si ritrovò di fronte alla constatazione che tra conflitti di competenze e intrichi burocratici (quelli con cui ancor oggi si scontrano tante città) diventava di fatto impossibile praticare la riqualificazione urbana. Oliver C. Winston, a capo della stimata Baltimore Housing Authority, fu nominato dal sindaco Thomas D’Alesandro Jr. coordinatore ad interim dello urban renewal, che gli conferì l’autorità di decidere il tipo di politiche di riqualificazione per la città. Un gruppo di consulenza, a sua volta coordinato da William C. Wheaton, dell’Istituto di Studi Urbani dell’Università della Pennsylvania, compilò un organico programma di interventi ventennale, raccomandando l’istituzione di un unico Ente per la Casa e la Riqualificazione Urbana, non autonomo ma col controllo degli elettori attraverso il Sindaco. Il programma fu presentato a D’Alesandro nel settembre 1956, ma invece di nominare un altro comitato che studiasse e valutasse lo studio (come fanno tanti altri sindaci), lui adottò rapidamente quelle raccomandazioni, spiegando che era suo compito avere un ruolo di guida, non aspettare che lo spingessero altri. Al gennaio 1957 tutte le norme necessari erano state approvate, e nasceva il nuovo Ente, presieduto da Walter Sondheim Jr., dipendente di un grande magazzino e presidente del distretto scolastico, e come direttore l’ex responsabile per la casa, Winston. Tra le altre decisioni, l’intera downtown di Baltimora venne classificata urban renewal area.

Contemporaneamente, un gruppo di operatori privati formava il Greater Baltimore Committee, oggi presieduto da Charles Buck, della Maryland Title Guarantee Company. Un altro gruppo, stavolta di commercianti del centro – poi cresciuto a comprendere altri interessi della medesima zona – formava il Committee for Downtown, sotto la guida di Jefferson Miller, dirigente della grnade distribuzione. Il Greater Baltimore Committee si colloca nella tradizione della Allegheny Conference di Pittsburgh, di uomini d’affari impegnati nelle trasformazioni urbane, ma qui a Baltimora fece qualcosa di inusuale, e senza dubbio assai preveggente. Ovvero organizzare un vero e proprio ufficio urbanistico, in modo tale da poter operare più liberamente e con meno inibizioni di un ente pubblico o para-pubblico. Ovviamente Baltimora è dotata di un proprio Ufficio Urbanistica, oggi diretto da Philip Darling, già direttore dell’ente per la casa e la riqualificazione, e non si voleva certo duplicare competenze già esistenti. La responsabilità di formare il nuovo Planning Council, dedicato a particolari problemi di urban renewal, venne assunta dall’esperto di questioni immobiliari Hunter Moss, che coinvolse a fungere da direttore l’urbanista David Wallace, della Philadelphia Redevelopment Authority. E tutti ne parlano in termini superlativi, di questa squadra Moss-Wallace, «due geni che spingono alla collaborazione».

Al Planning Council viene commissionato nel maggio 1957 dal Committee for Downtown uno studio sull’arco di due anni per l’area centrale, con la redazione di un progetto. Per finanziarlo, il Comitato raccoglie 150.000 dollari dai propri aderenti sulla base della quota uno per mille del valore annuo delle proprietà. Il Greater Baltimore Committee contribuisce con altri 75.000 dollari. L’idea del Charles Center emerge comunque molto in fretta, perché come spiega Wallace, sin da subito appare chiaro come il futuro di downtown a Baltimora dipenda da un certo modello di sviluppo, che può partire soltanto da quell’area. E Wallace sin dall’inizio collabora in stretto rapporto con gli uffici cittadini, specie con l’Ente per la Casa e la Riqualificazione Urbana, o con George Carter, direttore dei lavori Pubblici, per i lavori sulle reti tecniche, o Henry Barnes, responsabile dei Trasporti e Traffico, ancora oggi molto compiaciuto di essere stato contattato a una stadio così preliminare, per il mantenimento o meno di alcune vie.

Come primo passo per fare del progetto Charles Center un piano pubblico l’Ente per la Casa e la Riqualificazione Urbana ottiene 95.000 dollari per studi economici e valutazioni su terreni e spostamenti di funzioni e opere. Dopo l’approvazione del piano, immediatamente inizia l’acquisizione delle superfici da parte del Comune, e poi le trasformazioni scandite in varie fasi per otto anni, sino al completamento, fissato a un massimo di dieci anni a partire da oggi. L’emissione dei titoli pubblici per il valore di 17,2 milioni di dollari sarà votata il prossimo maggio. Il Greater Baltimore Committee ha istituito una sottocommissione per le trasformazioni urbane, che si occupi di trovare investitori e costruttori, e che ha già avuto una ventina di riscontri positivi.

Da quanto si capisce ora, prima del voto sull’emissione dei titoli – per esempio dalle reazioni della stampa locale, interviste, commenti di vari esponenti – gli abitanti di Baltimora paiono straordinariamente unanimi nel giudicare il progetto. Ma restano scettici sui tempi: «Proprio quello che ci vuole, ma arriverò ad avere una lunga barba bianca prima di vederlo», è un classico commento. Certo i componenti del Greater Baltimore Committee non credono di arrivare ad averla, quella lunga barba bianca prima di veder realizzato il Charles Center, e attribuiscono lo scetticismo alla tendenza all’immobilismo dello urban renewal in passato, nonché alla lunga vicenda dei cinque mancati tentativi cittadini per un nuovo centro civico (oggi il Planning Council collabora con la Commissione incaricata per la scelta del sito).

Il Charles Center, come tutti i progetti di trasformazione, provocherà squilibri e certo ingiustizie riguardo alle attività presenti nell’area. Ne è un simbolo il negozio di abbigliamento maschile di Isaac Hamburger, da 109 anni presente su Baltimore Street, la via che attraversa la zona. Terzo della generazione, l’attuale gestore spiega di aver investito 500.000 dollari negli ultimi cinque anni tra abbellimenti e trasformazioni. È l’unico proprietario immobiliare che abbia fatto qualcosa del genere, e purtroppo sopra i suoi ottimi tre piani più un seminterrato ce ne sono altri cinque di uffici vuoti, in un edificio squallido, in una posizione d’angolo complicata: deve essere demolito. In quanto componente del Committee for Downtown, Hamburger è assai favorevole al Charles Center, pensa che Baltimora ne abbia un gran bisogno, ma certamente non è per nulla entusiasta degli effetti sul suo interesse particolare. Suo cugino, Walter Sondheim Jr., che presiede l’Ente per la Casa e la Riqualificazione Urbana, certamente ne comprende i sentimenti, ma con la sua posizione non può certo discuterne direttamente con Hamburger. E anche il consulente immobiliare di Hamburger, Hunter Moss, presidente del Planning Council, simpatizza con quella posizione, ma sarebbe di certo un conflitto di interesse appoggiarla, e quindi ha deciso di rimettere l’incarico a tutti i suoi clienti, che oggi di quei servigi ne avrebbero davvero un gran bisogno.

In una situazione del genere, la tentazione sarebbe magari di lasciarlo, quel discutibile fabbricato, con una variante al piano. Ma il Charles Center è un chiaro monito agli errori commessi agendo proprio in quel modo. Dopo il grande incendio di Baltimora nel 1904, quando quell’area andò in cenere sino alle fondamenta, fu nominata una Commissione per il Quartiere Incendiato, sorta di proto-agenzia per la riqualificazione urbana dell’epoca, che redasse un piano di ricostruzione. Furono tantissimi i ricorsi, e così di quel progetto fu realizzato solo un quarto, principalmente allargamenti stradali. E oggi, c’è una seconda possibilità di ricostruire: Baltimora è determinata a sfruttarla fino in fondo.

da Architectural Forum, giugno 1958 – Traduzione di Fabrizio Bottini

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