Cosa serve per la mobilità dolce

Foto J.B. Hunter

Una errata concezione meccanica troppo allargata e sovrapposta all’esistenza umana (nel tentativo di porci sulla medesima lunghezza d’onda del lungo ciclo di sviluppo industriale della nostra società) ha finito per sconvolgere anche aspetti della vita che si potevano ampiamente risparmiare, e comunque possiamo iniziare a risparmiare nella situazione attuale di minore dipendenza, fisica e psicologica, dalla macchina. L’invasione di campo è piuttosto nota, e in generale riguarda il percorso della macchina e dell’energia: in un primo tempo concepite per sostituirsi in modo circoscritto all’uomo in alcune funzioni, e poi via via dilagate sino a far diventare virtualmente l’essere umano una loro appendice, meccanica e organizzativa, dettando tempi, ritmi, modalità, che di fatto contrastano a volte anche coi più elementari bisogni naturali. Ne sono un esempio oltre il limite del sadismo, certi studi ingegneristici sulle possibilità dei lavoratori di interagire con le macchine (in realtà di diventarne parte) in situazioni assurde e dannosissime per la salute e l’equilibrio psicologico. Ma ne è un chiaro esempio anche, storicamente, lo sviluppo dei mezzi di trasporto meccanici, una specie di universo a parte dotato di logica propria dove spesso e volentieri non è chiarissimo se esista prima la ragione dello spostamento, oppure questa ragione venga «inventata» a posteriori, o addirittura forzata, per indurre lo spostamento stesso. E assurdità dentro l’assurdità, naturalmente, la cultura automobilistica e lo spazio-tempo che la connota.

In auto per raggiungere senza fatica il tapis roulant

L’immagine più nota di questa accettatissima – e nociva – pazzia è chi per tenersi in forma vuole praticare del sano movimento, ma ritiene indispensabile conferire a questo movimento una natura meccanico-industriale. Non sceglie così, poniamo, di camminare o correre per dieci chilometri, ma quei dieci chilometri prima li percorre doverosamente in automobile, poi paga l’autosilo (o la contravvenzione per sosta in divieto) davanti a una palestra altrettanto a pagamento, per poi faticare virtualmente su un’altra macchina: il tapis roulant regolabile. Caso clinico di tossicodipendenza da rotelle pulegge trasmissione, estremo ma non certo unico, anzi molto rappresentativo di tutto un mondo che ha rinunciato a camminare, la prima cosa che ci distingue dai cugini scimpanzé, e si è circondato di una montagna di ostacoli meccanici e organizzativi per auto-impedirselo. Mentre invece, come recita un recentissimo rapporto medico-scientifico «camminare rappresenta una attività multiscopo e dà l’occasione specie a chi non è più giovanissimo di unire attività fisica di tipo para-sportivo, un modo gradevole per occupare il tempo libero, o spostarsi tra le varie attività della vita quotidiana. Camminare è qualcosa di semplicissimo, facile, economico, e molto più sicuro di altre attività sportive più intense. Può anche contribuire in modo molto immediato a riportare in attività chi per svariate ragioni non lo è stato per un certo periodo di tempo, e farlo in modo adeguato alle possibilità di ciascuno. Quindi una attività assolutamente da promuovere, strategia di base per la salute e il benessere pubblico».

Abbattere gli ostacoli

Si tratta però di qualcosa di più di un gesto di buona volontà: per «uscire dalla macchina» che ci siamo costruiti attorno, non bastano i comportamenti virtuosi, ma occorre anche costruire il contesto in cui possono svolgersi. Il camminatore da tapis roulant a cui si accennava sopra, a ben vedere si trova imprigionato nei suoi non-movimenti da un sacco di fattori condizionanti, dalla strada poco sicura, o dall’aria molto inquinata, o dal fatto che il parco davvero concorrenziale con l’ambiente fisico e sociale della palestra è irraggiungibile in tempi ragionevoli. Una serie di studi e ricerche ha accumulato a questo proposito una serie di dati aggregati, sul tipo di ostacoli che è necessario rimuovere perché camminare, o andare in bicicletta, in generale non muoversi in modo automatico con l’auto, possa ridiventare normale. Il solo fatto di individuarli, questi ostacoli, aiuta molto in un processo di consapevolezza indispensabile. Centrale il concetto di forma urbana (che non significa necessariamente ridurre tutto a fattori singoli, come densità o analoghi), se per esempio pensiamo ai rilevati ostacoli alla mobilità pedonale dei più giovani: le distanze, la sicurezza stradale e da crimini, eventuali avversità climatiche. Qui vale sempre la pena citare quel concetto di neighborhood unit emerso proprio dall’idea di spostamento a piedi, e di spostamento da casa a scuola, ovvero esattamente quello dei giovani. Ma ne esistono altri più di dettaglio, come spiegato dai tanti documenti di pianificazione della serie «strade attive», dedicati alle forme e dimensioni dei marciapiedi, al tipo di affacci e rapporto vie-attività, alle mescolanze di funzioni che contribuiscono a rendere più efficiente e sinergico qualche minuto di spostamento a piedi o in bicicletta, da e verso servizi incluso il trasporto meccanico collettivo. Obiettivo di massima, cogliere ogni occasione per provare a evadere dal condizionamento della «Matrix automobilistica» che ci siamo costruiti attorno sull’arco di un secolo, ci ha aiutati a progredire in un certo senso, ma si è fatta via via troppo ingombrante e pervasiva.

Riferimenti:
National Physical Activity Plan Alliance, Walking and walkable communities, rapporto 2017

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