Hallo boys: traversammo tutto l’Illinois!

crosswalk

Foto F. Bottini

Quando alla fine degli anni ’70 l’ayatollah Khomeini tornò dal suo lungo esilio parigino dopo la caduta dello Scià e l’istituzione della Repubblica Islamica iraniana, una delle piccole cose di cui si occupò la cronaca fu la pubblicazione dei suoi precetti di vita quotidiana, una serie di regole che stabilivano cosa fosse giusto, un po’ meno, giusto, o addirittura peccato contro l’uomo e Dio. Colpiva forse la nostra sensibilità secolarizzata, assai poco abituata a certi toni dogmatici, ad esempio la lunga distinzione fra trasgressioni veniali e gravi alla morale sessuale, in cui si scoprivano diversità fra il tradire il coniuge a seconda dei casi, e la più o meno punibile procreazione fuori dal matrimonio, sempre al variare di parentele, o magari localizzazione dei relativi villaggi. Sembravano, e in buona parte probabilmente erano, regole di vita nate e cresciute in un contesto remoto, antico, dove magari in parte avevano avuto qualche senso: chissà mai che il figlio di una nubile in un sistema pastorale fosse meno vulnerabile se quella nubile era la seconda o terza cugina della moglie del padre (ma non la sorella o la prima cugina: peccato mortale!). Certo era, che tutti quei precetti ci apparivano come piuttosto assurdi, un po’ come vietare di stare in equilibrio su un uovo sodo sul balcone di casa, ma solo la domenica.

Contesto che vai, regole che sviluppi

In altre parole, non esistono regole e comportamenti giusti o sbagliati, ma semplici adattamenti, graduali o no, agli stimoli del contesto, che poi eventuali poteri pubblici, culturali o istituzionali, fissano in norme con gli strumenti a disposizione, che siano i precetti religiosi, i proverbi contadini, o vere e proprie leggi. Comunque sia, anche nella forma più codificata della legge, è sempre il rapporto coi comportamenti reali e diffusi a rappresentare il vero prodotto finale, indipendentemente dalle intenzioni dei legislatori. Per esempio il codice della strada, basato su esigenze di sicurezza ed efficienza, oltre che di possibilità tecnologiche e abitudini, ma anche spesso inchiodato, come e peggio del vecchio ayatollah, a dogmi superati, o quantomeno ad approcci ormai privi di senso. Pensiamo ai limiti di velocità, alle precedenze, e confrontiamoli con i contesti fisici entro cui dovrebbero dispiegarsi: si coglie immediatamente la contraddizione, ad esempio, fra cartelli che invitano gli automobilisti a procedere praticamente a passo d’uomo, precise indicazioni per consentire ad eventuali pedoni o ciclisti di attraversare in qualunque momento … e quattro corsie di arteria veloce su infiniti rettifili. Vero: le legge è la legge, come direbbe qualche sceriffo da film, ma la legge può anche essere piuttosto scema.

On the road dall’abitacolo

Tutte le volte che la cronaca ci racconta di qualche incidente in cui sono gravemente coinvolti auto, pedoni, ciclisti, è quasi puntuale, e obbligatorio, proprio il riferimento a queste norme codificate, i cartelli, il codice. Ma chi conosce un po’ di più i contesti capisce immediatamente il retroscena, ci è passato tante volte da lì, sa benissimo che quella scritta 50 o anche 70 ha poco o nulla senso, se non di principio teorico, quando stai dentro un abitacolo, in un mezzo che non fa alcuna fatica a superare quelle velocità. Lo confermano tutte le rilevazioni, o tutte le infinite polemiche quando si mettono dei rilevatori in qualche tratto stradale con relative sanzioni ai trasgressori loro malgrado. Il percorso per adeguare comportamenti, contesti, obiettivi, dovrebbe di norma essere più complesso, affrontato su più fronti, invece di calare dall’alto un Grande Principio. L’ha scoperto, buona ultima, un’associazione dell’Illinois dopo che lo stato ha iniziato a dispiegare imperfettamente proprio un approccio complesso del genere, ovvero il programma federale detto Complete Streets. Dentro l’abitacolo di un’auto si sentono molto attutiti, i dogmi della legge.

Me ne vado tranquillo per la mia strada

Strade complete vuol dire riprendersi la via urbana dopo che per tanti anni tutta la progettazione, organizzazione, realizzazione, si è dispiegata attorno all’auto, e al massimo a strumenti tecnologici di interfaccia assai imperfetti, dai semafori alle passerelle. Spazi fisici da trasformare, sia urbanisticamente che sul versante degli arredi, e nuove regole ad accompagnare le trasformazioni fisiche: cosa ben diversa da una voce tonante che dall’alto di un assurdo cartello ti impone VAI A TRENTA ALL’ORA chissà perché e percome. Accade però che ci siano degli squilibri nei tempi e modi di messa in atto, e così di fatto la gran maggioranza degli automobilisti procede per automatismi percettivi, continuando come è sempre stato a considerare quella canna di fucile asfaltata come il proprio ambiente in assoluto: c’è la precedenza per gli attraversamenti, ma loro non si fermano per lasciar attraversare. Se il tempo è galantuomo, e le istituzioni responsabili anche, accadrà via via che il messaggio comunicato dall’organizzazione delle strade inizierà ad essere GUARDA CHE NON SEI SOLO, QUI. E le regole di velocità, precedenze, comportamenti, ad entrare nel normale metabolismo di chi è alla guida. Ma ci vuole una certa costanza, soprattutto nel costruire spazi fisici coerenti, e magari introdurre nuove tecnologie soft sui veicoli, come limitatori automatici di velocità attivati nelle varie zone. La cosa certa, però, è che la Cosa Giusta così come la si vede da un abitacolo di auto in movimento, non è mai la stessa di chi sbuca da un vialetto laterale a piedi o in bicicletta. Cosa che vale ovunque davvero in assoluto, dall’Illinois all’eternità.

Riferimenti:

Sito Active Transport Alliance (tutti quelli che si spostano hanno uguali diritti)

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