Industria edilizia e sviluppo post-industriale in Italia

Per capire l’origine della perversione nazionale per il mattone, occorre rileggere la nostra storia, le opportunità perdute e la stretta connessione tra scelte politiche, mancato sviluppo e distribuzione della ricchezza. Questo testo, tratto dal libro La moneta d’argilla (Ornitorinco, 2017) rimanda all’attualità delle scelte di politica economica in occasione della crisi energetica del 1973. Allora come oggi si trattava di dare una svolta a un’economia imperniata sul mito del mattone, confidando sull’inevitabilità dei sacrifici per imboccare la via di un modello più moderno e più giusto. Oggi come allora, pur in un quadro di risorse comunque copiose per effetto delle politiche europee, non ci sono troppi motivi per essere ottimisti.

Il 1962 è un anno cruciale per la storia economica italiana. La svolta non c’è stata e l’occasione è perduta. Una nuova opportunità per cambiare rotta si offre un decennio più tardi, con la crisi energetica del ’73. La Malfa riprende in mano la sua Nota aggiuntiva, frutto maturo della collaborazione con Claudio Napoleoni. I temi sono sempre gli stessi, gli squilibri del Paese e il suo meccanismo di sviluppo. Da allora è passato mezzo secolo, ma il nodo è sempre lo stesso, anche se si è dispersa la consapevolezza delle intelaiature teoriche di quel dibattito. L’avvio di un nuovo modello di sviluppo presuppone, secondo La Malfa, anzi «impone la lotta all’inflazione senza ristagno», possibile unicamente attraverso una vasta opera di conversione da uno schema economico basato sui consumi privati e individuali ad un impianto in cui si confidi «nella capacità del nostro meccanismo produttivo a fornire investimenti pubblici su commessa, che la pubblica amministrazione non saprebbe dare se dovesse produrli direttamente»1.

Siamo dunque nel pieno di quella crisi energetica, «acuita, ma non creata ex novo dalle vicende internazionali di questi mesi»2 e La Malfa si chiede se questa, «con le sue evidenti e clamorose ripercussioni, ci renderà sensibili, non a questo solo problema, ma agli altri problemi, relativi al meccanismo di sviluppo, che sembravano inesistenti ed erano semplicemente non percepiti? Se sì, noi possiamo entrare in una nuova fase della vita italiana. Attraverso sacrifici e rinunce, possiamo gradatamente avviare un meccanismo di sviluppo che sia più aderente ai bisogni veri della nostra società.»3 In altre parole, dal momento che i sacrifici ci toccheranno comunque, sta a noi fare in modo che il prezzo da pagare non sia inutile, rifiutando sistematicamente «le misure che scoraggino i consumi privati e rendano disponibili le risorse per i consumi collettivi e gli investimenti». Troppo spesso ha prevalso l’abitudine, da parte dei governi, di «stanziare i fondi per mille programmi di investimento», per poi «distoglierli verso la spesa corrente».

«Non sarebbe perciò il caso, alla luce delle esperienze passate, e mentre stanno venendo al pettine i nodi di uno sviluppo che ha spinto in alto i consumi individuali, senza risolvere o addirittura aggravando i problemi di fondo del paese, di spostare il dibattito dalla genericità delle formule e degli schemi precostituiti ad un diverso livello di consapevolezza?»4 Si tratta ancora, a bene vedere, di dare spazio a quella consapevolezza e a quella concretezza cui il Paese aveva rinunciato dieci anni prima. In termini di politica economica si tratta di scegliere tra un dispositivo acriticamente incrementale, che ci porti fuori dalla crisi in qualche modo, e un dispositivo sostitutivo, che risolva la contingenza modificando una volta per tutte la dinamica dello sviluppo. A che serve, sempre e in ogni occasione, pompare nell’economia nuove risorse, cioè altro debito, se li lascia mano libera alle attività speculative, che quelle risorse assorbono come idrovore? A cosa serve far ricorso a una ricchezza effimera che lascia o più spesso acuisce gli squilibri antichi, le disuguaglianze strutturali, senza mai correggere nulla?

Forse La Malfa è un po’ noioso tanto che sembrano avere buon gioco tutti coloro, tra i quali un Malagodi fattosi curiosamente keynesiano, che, richiamando l’attenzione sulle crescenti tensioni sociali, sconsigliano l’eccesso di rigore, ma l’impianto complessivo del suo approccio è solido e regge la prova del tempo.5 E intanto, denuncia il Ministro, invece di sostituire, togliendo fondi da impieghi dispersivi, indirizzandoli verso un superiore e lungimirante interesse collettivo, «si è continuato nella vecchia e trita politica di continuare ad iniettare nel sistema economico, potere di acquisto e di consumo individuali, proclamando nel frattempo la necessità delle riforme come fattore aggiuntivo e non sostitutivo di un potere d’acquisto già bell’e distribuito»6.

Si chiamava politica dei redditi. Oggi che il problema della crescente disuguaglianza è diventato planetario e frena l’economia del mondo ne parlano Piketty, Atkinson e, con diverse sottolineature, più o meno tutti gli economisti. Ma le risposte dei governi sono deboli, pressoché inesistenti e non di rado vanno nella direzione opposta a quella che sarebbe auspicabile. Guardando in casa nostra, le politiche sono addirittura paradossali: le urgenze economiche e ambientali suggerirebbero un deciso cambio di rotta rispetto alle scelte economiche del passato, un freno alla speculazione, una politica pubblica per la casa, un uso più coerente del territorio e invece si continua a comprimere il risparmio, a dare risorse alla speculazione coi pretesti più svariati per nascondere perdite ormai inevitabili, a stimolare in tutti modi la proprietà privata della casa e un mercato immobiliare da terzo mondo.

Estratto da La Moneta di Argilla, su questo sito vedi anche Il primo gradino nella Scala della Proprietà 

NOTE

1 Ugo La Malfa, La Caporetto economica, Rizzoli, Milano, 1974, pag. 132.
2 Ibidem, pag. 125.
3 Ibidem, pagg. 128 – 129.
4 Ibidem, pagg. 125 – 126.
5 Purtroppo il tema degli squilibri territoriali e sociali, legato alle posizioni di rendita, alla speculazione edilizia, alla politica del risparmio e degli investimenti, contenuto nel discorso di La Malfa è stato successivamente offuscato dal prevalere della polemica sulla politica dei redditi e sul costo della manodopera sostenibile. Di ciò è almeno in parte responsabile lo stesso La Malfa, poco propenso a cogliere le grande trasformazioni di carattere sociale in corso e fin troppo rigoroso nel sostenere l’impianto complessivo del suo piano. Ancora nel ’77 ebbe a scrivere: “Ci fu un errore di fondo, che divenne mastodontico intorno al ’69. L’errore fu di non capire che i salari alti, propri delle economie più avanzate, sono un punto di arrivo, non di partenza. Una società che d’un colpo ha avuto uno sviluppo eccezionale, ma insieme territorialmente squilibrato, ha in sé contraddizioni profonde, disoccupazione cronica, depressione cronica in alcune zone, dunque non può subito modellarsi sulle altre società. Prima è necessario allargare la base degli investimenti, creare la struttura che regga l’occupazione.” U. La Malfa, Intervista sul non-governo, a cura di A. Ronchey, Bari, Laterza, 1977, pag. 62.
6 U. La Malfa, La Caporetto economica, Rizzoli, Milano, 1974, pag. 128.

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