Materiali naturali da costruzione urbana

Foto J. B. Hunter

Quando si dice che la città contemporanea deve allontanarsi dagli schemi meccanici del passato, risultati sia lacunosi per la qualità abitativa e l’economia, che micidiali per l’ambiente, si intendono varie cose. La prima in assoluto, è che la naturalità non va ricercata di sicuro nel modo classico della fuga centrifuga, in quell’immergere dentro la campagna e diluire di fatto le medesime strutture urbane che prima venivano posate in forma densa sul territorio. Quella è la cultura che ha condotto alla suburbanizzazione, ovvero al peggior errore concettuale insediativo, per quanto compiuto in buona fede, e da un certo punto di vista pare virtuoso «invertire la rotta» tornando a pensare che le soluzioni ai gravi problemi della città si debbano trovare dentro, la città, e non in una ormai esausta nuova frontiera antiurbana. Il secondo aspetto dell’allontanarsi dagli schemi del passato, si articola a sua volta in due filoni complementari, un primo di metodo e un secondo piuttosto pratico di «materie prime e attrezzi». Si tratta qui di stabilire schematicamente gli obiettivi.

Il territorio naturale antropizzato

Se nell’idea originaria e diremmo pure arcaica di città si concentra tutto ciò che è artificiale, contrapposto alla naturalità di quanto la circonda e ne garantisce la complementare sopravvivenza, uscire dallo schema meccanico vuol dire in qualche misura mescolare invece i due termini, ma farlo in una logica del tutto diversa che col suburbio, dove con la scusa di «immergersi nella natura» in realtà quella natura la si è del tutto obliterata. Si tratta in realtà di accettare l’idea che il territorio naturale antropizzato possa essere non meno, ma più artificiale, nella concezione di fondo, ovvero nei modelli di grande scala, ben riassunti in realtà dal termine «infrastrutture verdi» se interpretato correttamente. Perché tutto nasce comunque dalle esigenze umane, dalle attività, dalle relazioni, dai bisogni, e necessariamente allo stato originario dei territori si sovrappone, si aggiunge, impone modifiche magari radicali, da accettare come tali consapevolmente. Ma concepite al tempo stesso tenendo in massimo conto la loro sostenibilità, resilienza, e i loro «bisogni naturali», in quanto entità vive, tanto diverse dalle infrastrutture grigie di origine ingegneristica. Il medesimo mutamento di paradigma che sta alla base di quella grande intuizione otto-novecentesca, della città come «madrepora umana», del biologo urbanista-sociologo Patrick Geddes. Ma sviluppato oggi con tante conoscenze scientifiche e strumenti tecnologici in più.

Dall’universale al particolare di dettaglio, e viceversa

Qui entra in campo l’altra estremità del ragionamento, ovvero i singoli tasselli destinati a costruire il grande mosaico dell’insediamento umano artificiale-naturale plasmato sulle infrastrutture versi: la materia prima di cui è costituito. Che al tempo stesso deve essere coerente agli obiettivi di massima, ma finisce per condizionarli, come accade per la vegetazione consapevolmente selezionata a costituire le nervature-infrastrutture verdi, con caratteri ben diversi da quelli del classico verde ornamentale urbano, e non solo per l’ormai consolidata tecnica della cosiddetta forestazione urbana generalmente diffusa per questo tipo di interventi. Dove nonostante tutto si finisce per scegliere come tradizione le specie sulla base di criteri principalmente estetici (o simbolici, che è più o meno la stessa cosa), ma si tratta di un approccio insufficiente dal punto di vista dei servizi all’ecosistema vero obiettivo della natura-artificio urbana. Che riguarderanno la regolazione del clima, l’arricchimento dell’habitat animale, oltre naturalmente a svolgere comunque benissimo la storica funzione estetico-meccanica delle alberature stradali e dei parchi, fornire ombra, riparo, separare luoghi diversi e via dicendo. E una volta fissati gli obiettivi, generali e di zona, si può passare a una scientifica selezione delle specie in grado di garantirne il conseguimento sul lungo termine, nel quadro dell’organizzazione urbana specifica.

Riferimenti:
Andrew Hirons, Henrik Sjöman, Tree Species Selection for Green Infrastructure, Trees and Design Action Group, 2018

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